La Sofferenza e il Dolore sono la stessa cosa? Sembrerebbe di sì…

Ho un amico che recentemente mi ha scritto: “Oggi prendo contatto con la realtà che non potrò mai essere padre”. Ciò che è accaduto è che ha scoperto che la sua compagna non può mettere al mondo un figlio che ha il 50% dei suoi geni. Questa affermazione è vera nella misura in cui lui assegna alla parola padre il significato di ‘colui che genera’. Mi chiedo: sarebbe ‘vera’ questa affermazione se intendessimo con padre la persona che provvede ai bisogni fisiologici, psicologici, emotivi e spirituali di un bambino finché è sufficientemente abile e capace di provvedere da solo a questi bisogni – finché è cresciuto in un adulto?
L’affermazione “non potrò mai essere padre” consente lo spazio per la Sofferenza. “È doloroso per me scoprire che non avrò un figlio con la mia eredità genetica” è un’affermazione che abbraccia il Dolore e limita il Dolore a ‘Ciò che è’.

La Sofferenza è il risultato della resistenza che facciamo nell’abbracciare il Dolore; quando diciamo: “non ce la faccio”, “il mio cuore si spezzerà”. Dolore è riconoscere che il cuore è già rotto; che il Dolore è già presente sia che io lo senta, lo abbracci, lo rifiuti o vi resista. Il Dolore è l’accettazione di ‘Ciò che è’ (indipendentemente che io sia d’accordo con esso o che mi piaccia; oppure no!). La Sofferenza è il rifiuto di ‘Ciò che è’. La Sofferenza è la storia che ci raccontiamo riguardo a ciò che è accaduto. Il Dolore è la risposta del corpo a ciò che è accaduto. Quindi sembra che ci sia la possibilità di una notevole differenza tra Sofferenza e Dolore.

La via di uscita dalla Sofferenza è attraverso il Dolore e la trasformazione di questo Dolore alle sue origini nell’Amore. Il poeta Robert Frost dice “Il miglior modo per uscirne è passarci in mezzo”; l’attivista per la Pace Thich Nhat Hanh dice “La via d’uscita è dentro”. Sembrerebbe un paradosso: la via per uscire dal Dolore è quella di entrare nel Dolore.

La Sofferenza ci mantiene in contatto con il Dolore senza l’abilità di trasformarlo o accettarlo. Ho avuto alcuni incontri con una persona in questi mesi, con la quale abbiamo elaborato la sofferenza e il dolore per la perdita del primo figlio nato morto. Solo quando questa persona si è permessa di sentire il Dolore di questo evento, si è creato uno spazio di serenità per vedere la bellezza di questo dolore; dopo tutto, come potrebbe non essere doloroso? E’ doloroso perché significa tanto, in conseguenza dell’amore che sente per il figlio. Quando pensava alla perdita delle sue speranze e dei suoi sogni; di giocare con il bambino e di vederlo crescere da bambino in adolescente, e trasformarsi da adolescente in adulto, il dolore rimaneva e soffriva per il futuro che ‘non è’. Io soffro quando il mio focus è sulla perdita; quando la storia che mi racconto per descrivere la mia realtà di dolore, parla di ciò che ‘non è’. Quando mi focalizzo su ‘Ciò che è’, posso essere con il dolore che viene dall’amore. Il dolore e l’amore sono come due lati della stessa moneta e – come una moneta – sembra che possiamo fare esperienza di un lato o dell’altro.

Riconosco che tutto questo è vero per me, perché io provo dolore solo in risposta a ciò che davvero conta per me, e provo il dolore più grande in relazione a ciò che amo di più. Conoscere il legame esistente tra dolore e amore rende reale la possibilità di trasformare il dolore nuovamente in amore (dal quale proviene); questo sì che può colmare il vuoto della sofferenza che sentiamo, e che scaturisce dall’evitare il dolore e – ahimè, di default – evitare l’amore.