La faida tra i baby boss a Forcella, condanne definitive per sei dei Buonerba: 20 anni a testa per l’omicidio D’Alpino

Condanne definitive per sei esponenti dei Buonerba
di Manuela Galletta

Venti anni di carcere per avere ucciso Salvatore D’Alpino detto ‘o brillante nella faida scoppiata coi Sibillo per il controllo degli affari illeciti nel ventre molle di Napoli. Si è chiuso così, in via definitiva, l’iter processuale che vedeva imputati sei esponenti del clan Buonerba, i ‘ras’ del «vicolo della morte» come essi stessi ribattezzarono via Oronzio Costa dove era ubicata loro base operativa. Ieri sera i giudici della Corte di Cassazione hanno confermato la sentenza emessa nel luglio dello scorso dai giudici della prima sezione penale della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, hanno confermato cioè il drastico sconto di pena concesso rispetto al verdetto di primo grado a seguito della concessione delle attenuanti generiche (prelevanti sulle aggravanti) scaturite dall’ammissione degli addebiti formulata dagli imputati. Il rito abbreviato si era concluso con 4 condanne all’ergastolo e una condanna a 30 anni.

Per l’omicidio di Salvatore D’Alpino, avvenuto il 31 luglio del 2015 in piazza Mancini (nel raid rimase ferito anche il 37enne Sebastiano Carlarelli che era estraneo all’agguato), dovranno scontare 20 anni di carcere il boss Gennaro Buonerba (che oggi ha 27 anni ma all’epoca della guerra ne aveva 23), Antonio Amoroso (che premette il grilletto, oggi ha 25 anni) e Luigi Criscuolo, Assunta Buonerba, Luigi Scafaro (che aveva avuto il compito di effettuare sopralluoghi per individuare la vittima) e Salvatore Mazio (che affiancò Amoroso nel raid di morte). Tutti gli imputati, ad eccezione di Assunta Buonerba e di Scafaro, sono stati riconosciuti colpevoli anche per associazione di stampo mafioso: nel rito abbreviato i 4 uomini furono condannati all’ergastolo, Assunta Buonerba a 30 anni. Gli imputati sono stati difesi, tra gli altri, dagli avvocati Lepoldo Perone e Antonio Rizzo.

D’Alpino venne eliminato perché era in affari con Antonio Napoletano detto ‘o nannone, che era l’originario obiettivo dell’agguato: non riuscendo però a stanare Napoletano, che se ne stava nascosto, i Buonerba decisero di ripiegare su D’Alpino, che andava a riscuotere il pizzo presso gli ambulanti di Porta Capuana che era zona dei Buonerba. Contro gli imputati c’erano una serie di intercettazioni ambientali dal contenuto inequivocabile: gli investigatori erano riusciti a piazzare una cimice in casa di Gennaro Buonerba, dove si svolgevano i summit di camorra e venivano pianificate le azioni armate ai danni dei Sibillo. Quando al boss venne comunicata la posizione di D’Alpino, che era inserito nella black list del ras di via Oronzio Costa, la moglie di Buonerba, Emilia Sibillo, esclamò: «Questa occasione ce la manda il Padreterno».

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mercoledì, 29 Maggio 2019 - 09:46
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