Erwin Kostedde

Erwin Kostedde, il primo calciatore nero della Germania: l'alcol, la solitudine e il razzismo

Dalla stagione 2013/14 i Kickers Offenbach vivacchiano nella medio-alta classifica della Regionalliga Südwest, accontentandosi di un posto tra i semiprofessionisti che poco si addice ad un club con una storia di certo più importante di una quarta serie. Certo, per trovare l’ultima stagione in Bundesliga del club dell’Assia, la cui rivalità con l’Eintracht Francoforte è sempre molto accesa, bisogna risalire al 1984. Poi tanti su e giù tra seconda e terza divisione, con un passaggio anche in quarta, dove ora è in maniera stabile. I migliori anni la società li ha vissuti all’inizio dei ’70, quando in panchina c’era Otto Rehhagel e in campo un ragazzo di origini americane da parte di padre, un soldato americano di stanza in Germania: si chiamava Erwin Kostedde. 

Se di recente siete stati ad Offenbach - non propriamente una meta turistica rinomata, con tutto il rispetto - e avete scelto di passare un pomeriggio a seguire i Kickers allo Stadion am Bieberer Berg (un piccolo gioiellino da 20mila posti se consideriamo il livello in cui gioca la  squadra di casa), vi potrebbe essere capitato per le mani il tipico match program. La rivista è curata dai tifosi, che hanno deciso di darle un nome speciale: Erwin. Non è una coincidenza.

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Nato nel maggio 1946 a Münster, in una Germania devastata dagli orrori delle guerra, Kostedde vive un’infanzia difficile a causa del colore della sua pelle: è nero. E affronta le difficoltà della discriminazione, che segnano la sua infanzia. Per farsi accettare dai coetanei doveva dimostrare qualcosa e quando gli è stato lanciato un pallone, sì, ha trovato quella chiave per poter stare con i bambini bianchi. Un obiettivo da perseguire.

Quando arriva con il Duisburg ha appena 21 anni, viene da un paio di annate con Preußen Münster in seconda serie. Il suo sogno era quello di diventare un giocatore della Bundesliga, sembrava averlo realizzato, ma forti dissapori con la società portarono a multe, sospensioni e all’interruzione anticipata del contratto, vendendo pure tutti gli elementi d’arredo del suo appartamento. Che, dettaglio, erano di proprietà del club.

"Non voglio più giocare a calcio. Preferirei semplicemente stare al bar a bere. Sarò un spillatore di birra o un saldatore. Almeno allora sarò felice!”
“Sono sempre stato un tipo strano. Non potevi fare affidamento su di me” dice nel libro che racconta la sua biografia, scritto da Alexander Heflik.

Lo Standard Liegi avrebbe rilanciato la sua carriera. Tre campionati vinti in tre anni, giocando regolarmente anche la Coppa dei Campioni e vincendo anche la classifica cannonieri. Mentre la bottiglia tormentava la sua vita fuori dal campo, nel rettangolo di gioco Erwin illuminava. Quando è tornato in Germania ai Kickers, nel 1971, fa un anno di praticantato in seconda serie sfiorando le 30 reti e poi diventa immediatamente uno dei migliori marcatori della Bundesliga. Arriva sempre intorno ai 20 gol stagionali, giocando in coppia con Siggi Held, nazionale tedesco che era tornato nella squadra che lo aveva lanciato dopo una parentesi al Borussia Dortmund. 

La conseguenza può essere una sola: la chiamata nazionale tedesca. È il 22 dicembre 1974, Gerd Müller ha appena lasciato la Mannschaft e il nuovo ciclo, sempre sotto la guida del leggendario Helmut Schön, cerca nuovi punti fermi da cui ripartire. Kostedde ha 28 anni quel giorno. La cornice è quella di Malta, non propriamente l’Azteca o l’Olympiastadion, ma non importa.

Erwin fa il suo esordio assoluto, parte titolare. Non segna, ma la storia è comunque scritta. Kostedde è il primo giocatore di colore a vestire la maglia della nazionale tedesca, abbattendo un muro culturale a livello calcistico.

“Giocare con la nazionale da uomo nero era qualcosa di sensazionale per i media e per il pubblico, avevo tutti gli occhi su di me. Ma ero solo, davvero solo. Il Ct mi suggeriva di dire che in Germania non c’era più razzismo. Ma non era vero. Gliel’ho detto, si è infuriato con me. Dovevo essere migliore dei miei compagni bianchi, in campo. Ma se commettevo un errore era tre volte peggio, non riuscivo a esprimermi. E in spogliatoio non piacevo a tutti, lo percepivo”, ha raccontato a DW Sports.

Il capitano di quella nazionale era ovviamente Franz Beckenbauer, che Kostedde aveva già affrontato alla prima giornata della stagione 1974/75, partita terminata on una storica sconfitta per  6-0 in cui Erwin segnò una doppietta. Il Kaiser ebbe un ruolo fondamentale per il suo inserimento nella Germania, tanto che la seconda presenza con la nazionale - a marzo, a Wembley, contro l’Inghilterrra - arrivò per merito suo.

“Schön non voleva mettermi in campo, ma Beckenbauer insistette. E io giocai. Senza di lui non ce l’avrei mai fatta”.

Arrivò una terza presenza nell’ottobre del 1975, in coppia in attacco con Jupp Heynckes. Ancora senza un gol, nella partita che sarebbe valsa il pass per l’Europeo del 1976, a cui Kostedde non avrebbe comunque preso parte. Tre presenze, zero reti. 

Negli anni successivi la sua carriera lo ha potato a giocare con Hertha Berlino, Borussia Dortmund, Werder Brema (di nuovo con Rehhagel), prima di chiudere all’Osnabrück. Un totale di 9 maglie diverse, in giro per la Germania, segnando oltre 250 reti in assoluto e sfiorando le 100 soltanto in Bundesliga.

Dopo il ritiro a 37 anni, il vuoto. L’oblio. La vita post calcio lo portò su strade difficili, tanto da tentare il suicidio nell’estate del 1990. I soldi guadagnati negli anni da calciatore erano stati tutti sperperati. Aveva una moglie e un figlio, ma non trovava la pace. L’episodio da cui è scaturito tutto è stata un’accusa di furto ad un negozio. Reato mai commesso, come avrebbe poi dimostrato anche un giudice. Nel mentre però Erwin era stato in carcere, un’esperienza che lo ha segnato e traumatizzato. E come risarcimento ha ottenuto 3000 marchi, non più di 1500 euro.

Ha provato ad allenare, un’esperienza con l’SV Bremer nelle serie minori che è durata giusto qualche mese. Poi nel 1995 ha deciso di uscire una volta per tutte dal mondo del calcio. Ha cambiato vita, ha anche prestato servizi socialmente utili.

La sua speranza di rompere una barriera, di far sentire i calciatori e le persone di colore più accettate in Germania, non l’ha mai sentita realizzata.

“L’80% delle persone in Germania è brava gente, ma l’altro 20% non vuole nulla di buono per l  persone come me. Lo sento quando esco. Non mi sento il benvenuto. È sempre stato così. È bello vedere che in nazionale ci sono sempre giocatori di colore, ma saranno sempre seconde scelte. E guardate cosa succede ogni volta che commettono un errore. Vedo che però loro hanno molta fiducia in loro stessi, qualcosa che io non avevo mai sentito”.

Oggi nella Germania giocano Sané, Gnabry, Kehrer, Rüdiger. Hanno giocato i Boateng, gli Asamoah. Tutto, però, grazie a Kostedde. Anche se non lo vuole ammettere.

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