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Pierluigi Casiraghi, il centravanti che ha provato a battere anche la sfortuna

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Ci sono storie che vale la pena raccontare dalla fine, anche se l’epilogo è di quelli dolorosi. Tra queste c’è probabilmente anche quella di Pierluigi Casiraghi, un giocatore che ha sempre fatto della forza e della determinazione due tra le sue armi migliori e che poi, proprio a queste due doti innate, si è aggrappato con tutto se stesso nel momento più difficile della sua intera carriera.

E’ l’8 novembre 1998 quando con il suo Chelsea, squadra nella quale è approdato l’estate precedente e con la quale ha già vinto una Supercoppa Europea, è protagonista sul prato del Boleyn Ground, per affrontare il West Ham in un derby valido per il dodicesimo turno del campionato di Premier League.

A volerlo fortemente con sé a Londra è stato Gianluca Vialli che al Chelsea riveste il doppio incarico di allenatore e calciatore e che con lui ha giocato sia nella Juventus che in Nazionale. Lo conosce bene e sa che per caratteristiche Casiraghi, che a molti ricorda uno di quei centravanti tipici degli anni settanta, è perfetto per il calcio inglese.

E’ un attaccante che le dà e le prende, è insomma uno di quelli che sui campi della Premier League può starci come nel suo giardino di casa. Nel corso della sua carriera è stato apprezzato da tutti i tecnici che ha avuto e questo perché sopperiva ad alcune carenze qualitative con una dose enorme di generosità, quella stessa generosità che lo porterà ad avventarsi sul suo ultimo pallone giocabile da calciatore.

Ad Upton Park il risultato vede il West Ham avanti grazie ad una rete siglata in apertura da Neil Ruddock, quando al 21’ Gianfranco Zola, la stella più lucente di quella colonia italiana approdata in Inghilterra per rafforzare un Chelsea che in quegli anni provava a tornare grande, si accorge del movimento in area di rigore di Casiraghi e lascia partire dalla destra un cross verso l’area piccola. Il centravanti, come sempre fatto in carriera, dà tutto per arrivare sulla sfera, ma a differenza di altre volte, in questa occasione le cose non andranno come spera.

Si butta in spaccata alla ricerca della deviazione vincente, ma viene anticipato da un ottimo intervento difensivo di un giovanissimo Rio Ferdinand ed essendo ormai totalmente sbilanciato non riesce ad evitare il contatto con Hislop che gli frana sul ginocchio con il suo quasi quintale di peso. E’ uno scontro di una violenza inaudita: Casiraghi non metterà mai più un piede in campo da giocatore.

A rendersi conto per primo della gravità della cosa è proprio il portiere trinidadiano che subito si dirige verso il collega a terra e straziato da dolore. L’intervento dello staff sanitario del Chelsea è immediato, ma c’è un’unica cosa da fare: chiamare la barella che porterà il 10 dei 'Blues' fuori dal rettangolo di gioco.

Gli esami ai quali Casiraghi si sottoporrà nelle ore decisive, racconteranno di un quadro disarmante: rottura del crociato anteriore e posteriore, del collaterale e dei menischi. Del ginocchio non resta praticamente nulla e, come se non bastasse, viene riscontrata anche una lesione al nervo sciatico popliteo esterno.

E’ uno degli infortuni più gravi che si siano mai verificati su un campo di calcio, così come confermato tempo dopo da Maurilio Marcacci, il professore che lo seguirà nei mesi successivi.

“Ha subito delle lesioni gravi, di quelle che raramente si riscontrano nei calciatori. Ho visto traumi simili nel rugby o nello sci d’acqua”.

In molti in una situazione del genere annuncerebbero il ritiro, ma non Casiraghi uno che nella sua carriera si è sempre avventato sul pallone come se fosse l’ultimo. Ha ancora ventinove anni e l’opzione di arrendersi senza averci provato non è contemplata.

Seguiranno anni durissimi scanditi da dieci interventi chirurgici e da lunghi mesi fatti di tanto lavoro, il tutto con un obiettivo: tornare almeno un’altra volta in campo. Casiraghi si trasferisce anche con la famiglia nei pressi di Bologna per stare vicino al centro che lo ha in cura, ma mentre vede tanti colleghi con problemi più o meno seri passargli a fianco, lavorare con lui e recuperare, per lui il tempo e le sessioni di fisioterapia non passano mai.

E’ il 2000 e sono trascorsi poco meno di due anni dall’inizio del calvario, quando il Chelsea annuncia il suo licenziamento. Casiraghi a 31 anni deve porre fine ad una carriera che l’aveva portato ad essere uno degli attaccanti più forti della sua generazione.

“Non ho ricevuto nemmeno una telefonata dall’Inghilterra, né dai dirigenti del Chelsea né dal personale medico. Molti miei compagni, come Gianluca Vialli, mi hanno telefonato, ma lui è l’allenatore e non un funzionario del club. Tutto quello che ho fatto dal momento dell’infortunio l’ho fatto da solo”.

Fino a quell’8 novembre 1998, quella di Casiraghi era stata, ed è così che viene ricordata, l’eccellente carriera di un bomber che, cresciuto calcisticamente nel Monza, la squadra della sua città, ad appena sedici anni aveva esordito a livello professionistico immaginandosi un avvoltoio nelle aree di rigore proprio come il suo idolo Mark Hateley.

“Quando ero ragazzino tifavo per il Milan e Hateley mi piaceva tanto perché aveva caratteristiche simili alle mie”.

Proprio quelle caratteristiche gli consentiranno di risultare spesso il compagno di reparto ideale per la maggior parte degli attaccanti con i quali ha giocato ed il primo ad accorgersene è stato Maurizio Ganz, con il quale al Monza ha formato una coppia tanto giovane quanto letale.

A vent’anni il grande salto. La Juventus, che è in fase di ricostruzione, decide di puntare su due punte che hanno fatto intravedere cose molto importanti in Serie B e che per la prima volta mettono piede in A: Salvatore Schillaci, che approda in bianconero dopo aver vinto la classifica dei marcatori della serie cadetta e appunto Casiraghi per il quale imbastisce un’operazione da sei miliardi e mezzo di lire pur di superare la concorrenza.

Il primo si rivelerà il miglior marcatore bianconero in campionato, il secondo sarà invece decisivo in Coppa UEFA realizzando una doppietta nella semifinale d’andata contro la Roma ed un goal nella finale d’andata contro la Fiorentina. La loro prima stagione con la Juve si chiuderà con due titoli messi in bacheca: oltre alla Coppa UEFA, la Vecchia Signora si impone infatti anche in Coppa Italia.

Pierluigi Casiraghi ItalyGetty

Mentre per Schillaci si schiuderanno subito le porte della Nazionale e ad attenderlo ci sarà un Mondiale, quello di Italia ’90, da protagonista assoluto delle ‘Notti Magiche’, Casiraghi dovrà attendere il 1991 per ricevere la prima chiamata dall’allora commissario tecnico Azeglio Vicini. Inizierà così un rapporto, quello con l’Azzurro, intenso al punto tale da portarlo a prendere decisioni che poi incideranno non poco sulla sua carriera.

Nel 1993 infatti, quando gli spazi per lui si sono ormai sempre più assottigliati dopo gli arrivi di Vialli e Ravanelli, decide di lasciare la Juventus e lo fa perché vuole meritarsi una chiamata per USA ’94. Sa che ha l’occasione di far parte del gruppo guidato da Arrigo Sacchi, ma sa anche che la concorrenza è tanta e che dovrà lottare per guadagnarsi una convocazione.

Approda così alla Lazio, dove ad attenderlo c’è quel Dino Zoff che già lo aveva accolto alla Juventus e che lo vuole con sé anche nelle Capitale. Per molti quella scelta rappresenta un passo indietro in fatto di ambizioni, ma in realtà è proprio in biancoceleste che Casiraghi vivrà i migliori anni della sua vita da calciatore.

Roma è diversa da Torino e il primo impatto è abbastanza traumatico, ma gli basta poco per calarsi nella nuova realtà. I goal non saranno moltissimi e spesso si ritroverà ad inseguire nelle gerarchie Boksic, grande colpo biancoceleste messo a segno nel corso della sessione autunnale di calciomercato, ma quando scenderà in campo con i suoi movimenti valorizzerà non poco le caratteristiche di un Signori che al termine della stagione per la seconda volta si laureerà capocannoniere della Serie A.

Quando Sacchi diramerà la lista degli Azzurri per i Mondiali americani, tra i ‘bocciati’ illustri figureranno diversi attaccanti, tra i quali Vialli su tutti, ma per Casiraghi un posto ci sarà. In USA scenderà in campo per tre volte e sempre da titolare contro Norvegia e Messico nella fase a gironi e la Bulgaria nelle semifinali. Il goal non arriverà, ma ci sarà anche del suo nel secondo posto finale.

“Ricordo che in quel Mondiale giocavamo ad orari assurdi, il caldo era una cosa allucinante. Arrivammo alla fine del torneo con troppi giocatori in condizioni non buone”.

Ad attenderlo al ritorno in Italia c’è intanto una novità importante: la Lazio ha deciso di puntare su Zdenek Zeman. Il tecnico boemo farà la fortuna di Casiraghi perché con il suo gioco super offensivo riuscirà a fare del centravanti ciò che fondamentalmente non è mai stato: ovvero un bomber.

Pierluigi Casiraghi LazioGetty

Gli allenamenti sono massacranti, ma poi la domenica il tutto si traduce in divertimento. Il nuovo allenatore non rinuncia mai a Casiraghi (che ormai un idolo assoluto della tifoseria per il cuore e la forza che mette in campo si è guadagnato il soprannome di Tyson) che ripaga la fiducia segnando 12 goal in un campionato chiuso al secondo posto. L’ultima volta che era andato in doppia cifra aveva diciannove anni e giocava con il Monza in Serie C.

“Con Zeman ho vissuto il mio anno migliore. Il suo era un gioco molto offensivo e avvantaggiava noi attaccanti e inoltre il suo lavoro dava risultati enormi sul mio fisico. E’ stato con lui che ho dato veramente il meglio di me”.

L’annata successiva sarà ancora più prolifica, visto che i goal in campionato saranno 14 in 28 partite e gli varranno un posto ad Euro 1996. Il suo esordio nella massima competizione continentale sarà bagnato da una doppietta contro la Russia, ma saranno quelle le sue ultime reti in una grande competizione con la Nazionale. Il cammino Azzurro nel torneo si sarebbe chiuso già nella fase a gironi, mentre due anni dopo Cesare Maldini non lo convocherà per i Mondiali del 1998.

Nel frattempo per lui un capitolo si è ormai chiuso ed un altro se ne sta per aprire: quello finale. I rapporti non propriamente idilliaci con Eriksson lo porteranno alla decisione di lasciare la sua Lazio per provare un qualcosa di totalmente nuovo in Inghilterra al Chelsea. Sarà questa la squadra con la quale giocherà le sue ultime quindici partite prima di quel terribile 8 novembre 1998.

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