Messenger Kids: così Facebook coltiva una nuova generazione di utenti-bambini

Lanciata negli Stati Uniti una versione superprotetta della chat di Menlo Park. Bene gli ambienti pensati per gli under 13 ma il problema rimangono i minori iscritti alle piattaforme per adulti

Quella verso i bambini è una marcia lenta e inesorabile che Facebook e tutti gli altri social network hanno intrapreso ormai da anni. Almeno sei. Era il 2011, a un summit nel New Jersey, quando Mark Zuckerberg, non ancora papà di Max e August, spiegava che la soglia dei 13 anni si sarebbe dovuta superare, “a un certo punto”. Il pubblico dei preadolescenti è d’altronde un chiodo fisso di Menlo Park. Che ha provato più volte a papparsi applicazioni come Snapchat la cui ragion d’essere non è tanto nel numero di utenti, pure notevole (oltre 250 milioni registrati), ma nel coinvolgimento e nella loro composizione, fatta prevalentemente di bambini e ragazzi a cavallo del fatidico limite. Tredici.

Dunque era praticamente ovvio che il colosso di Menlo Park – come d’altronde hanno già fatto i cugini di Google – arrivasse prima o poi a lanciare una versione per bambini delle sue piattaforme più popolari. Ciò che è appena accaduto con Messenger Kids, annunciato poche ore fa dalla California. Qualche esperimento c’era stato con delle videochat – e tuttora in Danimarca si sta testando Bonfire – oltre che con un brevetto per un “Facebook Kids” poi lasciato cadere qualche anno fa. Ma ovviamente la massa s’intercetta quando nasce un prodotto che gode della notorietà e di una mole di utenza spaventosa.

Negli Stati Uniti, e a cascata in tutto il mondo sebbene fuori da ogni coerenza giuridica, i minori di 13 anni dovrebbero teoricamente essere protetti dal Children’s Online Privacy Protection Act, una legge approvata vent’anni fa dal Congresso statunitense che tuttavia nulla dice e prescrive sui contenuti né sui meccanismi di verifica dell’età dell’iscrizione a un social network, davvero troppo blandi per quanto rivisti nel corso del tempo. Si tratta insomma di una norma che prevede una regolamentazione più ferrea per chi voglia raccogliere informazioni di minori di 13 anni offrendo loro dei servizi. Ma nulla di più.

Tornando a Messenger Kids, si tratta in realtà di un’app client che sarà gestita da mamma o papà, tramite il loro normale account Facebook, attraverso il quale potranno stabilire quali contatti possano chattare col bambino oltre a dare un’occhiata alle conversazioni. Lato piccolo-utente, invece, il minimessenger dà l’opportunità di mandare testi e gif (adeguate alla fascia d’età) oltre a foto e video ritoccati con le solite maschere e gli effetti. C’è infine la possibilità di lanciarsi in videochat uno ad uno o di gruppo, che sembra un po’ l’aspetto principe della piattaforma.

Il meccanismo non è poi molto diverso da Family Link, il sistema – ben più ricco – lanciato da Google per gli ambienti Android (ma si può parzialmente usare anche su iOS) negli Stati Uniti un paio di mesi fa: in quel caso, però, l’applicazione prende il controllo di un dispositivo e non di una singola applicazione. Consente di gestire il download dei programmi e anche di deciderne la tipologia. Può impostare i limiti di tempo per l’uso dello smartphone e analizzare i dati di utilizzo, per capire come i propri figli utilizzino il dispositivo.

Tuttavia, invece di occuparsi di quella scivolosa “terra di mezzo” in cui milioni di minori si muovono senza grandi tutele e diventano potenziali vittime di numerose minacce (dal cyberbullismo alla pedopornografia fino al rapimento digitale), “bonificando” le proprie piattaforme dalla presenza di under 13, i social network predispongono nuovi ambienti su misura per loro. Anche con l’obiettivo di foraggiare la crescita di una nuova generazione di utenti. Una notizia positiva - la prima - solo nella misura in cui il resto della polvere nascosta sotto al tappeto venga affrontata ed eliminata con serietà.

Il problema non è portare i bambini su un'app pensata per loro ma allontanarli da quelle pensate per gli adulti.