La solitudine degli Eroi, l’editoriale del direttore su GQ luglio-agosto 2018

La solitudine degli Eroi leditoriale di GQ luglioagosto 2018

A proposito di figurine Panini, quelle che riscoprite a pag. 104: il mio album di fine Anni 60 me lo ricordo. Nella pagina dell’Inter c’era la Stella dei dieci Scudetti di cui potevo vantarmi con il fratello milanista, ma soprattutto c’erano le due Coppe dei Campioni e le due Coppe Intercontinentali che potevo rinfacciare all’altro fratello, lo juventino. Mi piacevano, quelle Coppe. I tornei internazionali mi hanno sempre appassionato più del nostro Campionato. Il Mondiale, poi, era il massimo. Avevo solo un anno quando in Inghilterra nel 1966 fummo fatti fuori dalla Nazionale di Pyongyang – un’amica piombinese per farti notare che stai cercando alibi dice ancora «te dai la colpa alla Corea» – ma gli altri me li ricordo tutti. Quelli umilianti finiti al primo turno: Germania 1974, ci elimina la Polonia; Sudafrica 2010, la Slovacchia ci suona le vuvuzela; Brasile 2014, Uruguay. Quelli andati un po’ meglio: Messico 1986, battuti agli Ottavi dalla Francia; di nuovo da loro, ma stavolta ai maledetti rigori e ai Quarti, a Francia 1998; e dall’altra Corea, quella del Sud aiutata dal pubblico di casa e da «Schiatta Moreno / possibilmente sotto un treno», agli Ottavi del 2002. E quelli che ci hanno fatto sognare. Messico 1970, il debutto dell’Adidas Telstar cucito con 12 pentagoni neri e 20 esagoni bianchi per rotolare meglio e risaltare sullo schermo in bianco e nero di quella pazzesca semifinale, la Partita del secolo, Italia-Germania 4-3. Argentina 1978, il primo Mondiale visto a colori: il disonore di chiudere entrambi gli occhi davanti ai massacri della Giunta di Buenos Aires, l’onore di arrivare quarti, con i primi gol di Paolo Rossi. Che quattro anni dopo, Spagna 1982, con la storica tripletta della Tragedia del Sarriá manda a casa il Brasile e noi verso il trionfo in finale a Madrid, seguito dallo scopone di Pertini e Zoff contro Causio e Bearzot, e dalla prima e unica sbronza del mio quadratissimo vicino di casa. Le notti magiche del 1990, l’anno di Schillaci, che sigla il terzo posto a Bari. E la notte più folle di tutte: Berlino, 9 luglio 2006, la testata di Zidane e i nostri 5 rigori tutti andati in rete, l’ultimo calciato da Grosso. Da allora le cose per gli Azzurri non sono andate bene. Per Russia 2018, poi, sono andate malissimo. In copertina di questo numero dedicato allo sport mettiamo l’uomo che nel 2022 vuole portarci in Qatar. Dice Roberto Mancini, nella molto bella intervista di Paolo Condò, che «la Nazionale non è roba per tutti», e spiega perché lui non giocò mai neppure un minuto di Mondiale, né nel 1986 né nel 1990 né nel 1994. Doveva essere, in quel 1994, la riserva di Baggio poi protagonista, nella finale a Pasadena, dell’episodio che ne fa, per me, l’edizione più memorabile di tutte: l’ultimo rigore tirato troppo alto. È proprio vero che la Nazionale non è roba per tutti. Baggio davanti alla porta, nel momento decisivo della partita della vita, è come il tenore al debutto alla Scala quando si apre il sipario, è come il primo uomo sulla Luna. È la solitudine degli Eroi, che noi mortali guardiamo con un misto di orrore e di invidia.

Da GQ di Luglio/Agosto 2018, in edicola. Artwork Federigo Gabellieri