Una storia senza nome, quando il giallo sorprende e diverte

In sala dal 20 settembre l'ultimo film di Roberto Andò, che mescola il giallo al comico, la realtà all'immaginazione e infila il cinema nel cinema
Una storia senza nome recensione di un insolito giallo

Prendi una storia vera, quella di un furto con un’opera d’arte in cui potrebbe c’entrare la mafia, rendila oggetto di una crime story che sembra una commedia, aggiungici tanto amore per il cinema et voilà, ecco la ricetta di Una storia senza nome, il nuovo film di Roberto Andò in sala da giovedì 20 settembre.

Presentata fuori concorso a Venezia75, la pellicola arriva due anni dopo Le confessioni, da cui è lontana anni luce – cosa che potrebbe essere di buon auspicio, dal momento che, nonostante le candidature ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento, il film del 2016 di Andò non ha riscosso grande successo. Maggiore fortuna potrebbe avere invece Una storia senza nome, che coinvolge lo spettatore nelle indagini di un giallo da risolvere, attraverso il racconto di un film nel film nel linguaggio della commedia e con personaggi rappresentati con ironia.

Un cast brillante per un giallo insolito e molto divertente

Protagonista è Micaela Ramazzotti, segretaria di uno studio di produzione cinematografica, donna quarantenne che vive con la madre Laura Morante che le ha tenuto nascosto l’identità del padre. La Ramazzotti interpreta Valeria, che durante il film compie un’allegra evoluzione, in una versione femminile e un po' svampita di Clark Kent: dietro l’aria dimessa di segretaria si nasconde in realtà una brillante scrittrice, cui l’acclamato sceneggiatore Alessandro - un Alessandro Gassmann in versione gigione latin lover - deve il successo, dal momento che, in realtà, da anni non scrive una parola degli script per cui viene ricordato. Per coincidenze apparentemente fortuite, un misterioso uomo contatta Valeria per raccontarle una storia, quella del furto della Natività del Caravaggio, dipinto scomparso nel 1969 a Palermo, il cui furto è ancora oggi irrisolto e su cui si allunga l’ombra della mafia. La storia diventa una sceneggiatura e si cominciano le riprese del film – con un regista straniero (Jerzy Skolimowski) – ma l’aggressione al presunto autore Alessandro rende necessaria la trasformazione di Valeria in investigatrice e qui la Ramazzotti sfodera il meglio del suo personaggio: l’impacciata segretaria si trasforma, all'occorrenza, in femme fatale, pur mantenendo una certa ingenuità che la rende spesso una sorta di Bond Girl un po’ impacciata – il vero investigatore è infatti Renato Carpentieri, che le racconta la storia e coinvolge nel caso.

Il cinema nel cinema

Una storia senza nome è un giallo dai toni comici, ma è anche una storia d’amore per il cinema, in primis perché il contesto intorno a cui si sviluppa la vicenda è la sceneggiatura e la produzione di un film, dunque un vero e proprio film nel film. È stato lo stesso regista Andò a presentare Una storia senza nome come «Un film sul cinema, un atto di fede, ironico e paradossale, sulle sue capacità di investigare la realtà e di trascenderla». Sono numerosi, più o meno impliciti, gli omaggi rivolti verso il genere di film, che spazia dai crime di Hitchcock alle pellicole anni Sessanta, fino a True Lies e, di contro, a racconti impegnati di storia e politica - anche attraverso la presenza di scene a Palazzo Marino, riunioni di politici collusi con la mafia o radioguidati - come Piazza delle Cinque Lune, Suburra etc. Tra le citazioni più esplicite c’è quella, di vero cinema nel cinema, di Alessandro Gassmann, che pronuncia la stessa battuta del padre Vittorio Gassman ne La grande guerra: «Mi te disi propri un bel nient, hai capito, faccia de merda?».