Con La Linea Verticale la Rai si dà al dramedy (con risultati sorprendenti)

Disponibile in anteprima su RaiPlay, la nuova serie tv firmata da uno degli autori di Boris è l'ennesima dimostrazione che un'altra serialità televisiva italiana è possibile

Oggigiorno la frase "io guardo la televisione" suona quasi come una bestemmia, soprattutto tra i più giovani, che vedono la qualità solo nei contenuti prodotti dalle moderne piattaforme di streaming on demand come Netflix e Amazon Prime Video. Tuttavia, seppur molto lentamente, nella televisione pubblica qualcosa sta cambiando, soprattutto nell'ambito delle serie tv. È infatti innegabile che, negli ultimi anni, la Rai stia cercando in tutti i modi di "svecchiare" le sue fiction e aprirsi alle nuove generazioni, proponendo una sua personale piattaforma di streaming on demand (RaiPlay) e alzando sempre di più il livello qualitativo delle nuove produzioni.

La Linea Verticale, miniserie tv in otto puntate scritta e diretta da Mattia Torre (uno dei tre autori del cult Boris), si inserisce perfettamente in questo processo, andando a toccare un genere, il dramedy, quasi del tutto inesplorato dalla televisione pubblica. In partenza sabato 13 gennaio su Rai 3 ma già disponibile in anteprima su RaiPlay, la serie racconta la degenza in un reparto di urologia oncologica di Luigi, interpretato da un sempre ottimo Valerio Mastandrea, un quarantenne con una figlia piccola e una moglie incinta (una convincente Greta Scarano) a cui viene improvvisamente diagnosticato un tumore a un rene.

Una trama, sulla carta, da cui difficilmente ci aspetteremo di ridere, ma che nelle mani di Torre, che un'esperienza simile l'ha vissuta davvero, diviene un pretesto per raccontare con tono surreale e satirico i riti e le figure che abitano la struttura. C'è il chirurgo buono, dedito totalmente al suo lavoro e considerato da tutti al pari di un Dio; c'è l'oncologo che gira per i corridoi seguito dalla morte; c'è il prete in crisi che di spirituale ha molto poco; ma soprattutto ci sono i pazienti, coloro che con il trascorrere dei giorni diverranno una sorta di seconda famiglia per Luigi, tra cui emerge quello interpretato da Giorgio Tirabassi, un ristoratore appassionato di medicina protagonista di alcuni dei segmenti migliori della serie.

No, non ci troviamo davanti né a uno Scrubs all'italiana né a un nuovo Boris. La Linea Verticale, che nelle intenzioni del suo creatore simboleggia la capacità di stare in piedi, di avere il coraggio di reagire alle difficoltà della vita, è un prodotto dal taglio originale e innovativo per la televisione pubblica italiana. E lo è non tanto per il formato (ogni puntata dura mediamente mezz'ora) o per la messa in scena (curata e nettamente superiore agli standard proposti dalle fiction del nostro paese) ma principalmente per la scrittura di Torre, in grado di fare ironia su argomenti anche pesanti come può essere la scoperta di un tumore senza mai scadere nel bieco cinismo.

Dopo aver donato nuova linfa al genere crime con Rocco Schiavone e Non Uccidere, due prodotti elogiati egualmente da pubblico e critica, la Rai mette dunque a segno un altro colpo vincente, chiarendo ancora una volta che un'altra televisione, diversa, migliore e più moderna di quella attuale, è possibile. Solo il tempo ci dirà se queste sempre meno sporadiche iniziative porteranno a un'effettiva inversione di rotto nel modo di fare e percepire la serialità della tv generalista. Nel frattempo godiamoci una mini serie "made in Italy" che ha finalmente qualcosa da dire (e lo dice molto bene).