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Politica

I segnali M5S rispediti al mittente dal Pd compatto. Renzi: "Impossibile, lo dicono i numeri"

Getty Images
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"I numeri sono quelli...". Il ragionamento che fa Matteo Renzi prima di lasciare il Senato dopo la votazione su questori e vicepresidenti è fatto di numeri, appunto, più che di parole. Ed è questo: "Serve il 90 per cento dei gruppi parlamentari del Pd per fare un governo con il M5S. Se anche qualcuno nel Pd facesse un accordo, vuoi che il senatore di Rignano non riuscirebbe a tenere con sé almeno 7 dei suoi?". Insomma, 7 renziani sarebbero sufficienti a bloccare qualsiasi eventuale tentazione di intesa con tra i dem e il M5S. Tentazione che oggi non trapela, nemmeno tra i non-renziani. Domani all'incontro dei capigruppo convocato da Di Maio il Pd non andrà.

I segnali del M5S verso i Dem ("Delrio interlocutore", dicevano stamane riferendosi al capogruppo appena eletto alla Camera) finiscono nella rete di Renzi e si trasformano in fumo. Anche perché la mossa pentastellata di non offrire ai democratici nemmeno un posto da questore in uno dei due rami del Parlamento ha fatto perdere la pazienza anche ai non-renziani.

"Significa che a una forza di opposizione non viene garantito un occhio sui conti del Parlamento: è grave, mai successo nella storia della Repubblica", ci dice in Transatlantico l'ex capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda, uno che certo renziano non è, eppure oggi anche lui non vede alcun segnale di dialogo da parte del Movimento. "Noi cinque anni fa lo abbiamo eletto un questore pentastellato in Senato...".

Il fatto che oggi M5S non abbia contraccambiato con il Pd (se non con l'offerta scontata di una vicepresidenza al Senato) viene letto dai dem come un altro segnale di mancanza di interlocuzione. "Del resto - ci dice una fonte Dem - noi non abbiamo nulla da offrire perché siamo all'opposizione. Dunque perché dovrebbero offrirci delle cariche e trattare con noi?".

"Una cosa molto grave, mai successa: la maggioranza che ha già eletto i presidenti ha deciso di non dare possibilità di accesso all'opposizione" nei ruoli dell'ufficio di presidenza al Senato, dice il neo-capogruppo Pd a Palazzo Madama Andrea Marcucci. E' "un rapporto basato sulla spartizione e sull'assenza di trasparenza tra M5S e Lega".

C'è anche il ragionamento che fa Renzi con i giornalisti alla buvette. I 5 Stelle fano l'asso-pigliatutto per "dinamiche loro, interne. Essendo tanti dovranno dare un qualcosa a ciascuno. Solo che quando lo facevamo noi era una 'spartizione di potere', ora che lo fanno loro è 'libera espressione della democrazia'. Ecco: l'espressione della volontà popolare 'is the new' spartizione di poltrone".

A differenza dei primi giorni in Senato, oggi Renzi è più incline a lasciarsi andare a qualche commento politico. Segno di sicurezza sulla linea: ne ha parlato con Maurizio Martina in una delle salette del gruppo Pd, il fronte dell'opposizione è compatto per ora. E così nelle chiacchiere coi cronisti oggi c'è meno spazio per battute sui film visti al cinema, il jogging mattutino o le partite di tennis. Riaffiora la politica perché l'ex segretario è riuscito a sgominare i tentativi dei non-renziani del Pd di fare da sponda ai 5 Stelle. "Hanno sbagliato i calcoli - dice ai suoi - io non avrei consigliato a Di Maio di far sponda con chi nel Pd pensava di far fuori me per poi fare un accordo con il M5S...".

In effetti, così non è andata, al di là delle "processioni" che qualche esponente dem non-renziano racconta sotto anonimato: "Processioni di 5 Stelle ci vengono a chiedere di salvarli da Salvini...". Ecco: ora M5S agita la favola di un dialogo con una parte del Pd per gridare aiuto, "ci usano", dice Renzi. E' la lettura anche di Lorenzo Guerini, il quasi-capogruppo alla Camera che ieri ha fatto un passo indietro in nome dell'unità. "Ho capito che fare i passi indietro è popolare: mi stanno arrivando complimenti da ogni dove", ci dice alla Camera. Poco dopo Delrio lo chiama sul cellulare.

Il Pd si rannicchia all'opposizione e chi nel partito ha altre idee non ha una exit strategy. Ma certo nessuno ha interesse a consumare ora la resa dei conti interna che prima o poi arriverà. "Aspettiamo il terzo giro di consultazioni e vediamo cosa mette in campo Mattarella", ci dice un renziano. "Credo che le consultazioni debbano essere sempre fatte, credo che i partiti che hanno vinto le elezioni debbano avere l'incarico e poi valuteremo", dice Marcucci. Sarà lunga.

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