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Politica

Pressare la Lega guardando al Pd (e a Delrio...). M5S convoca pre-consultazioni, ma i dem si tirano fuori

Tony Gentile / Reuters
Tony Gentile / Reuters 

Giovedì di Pasqua, Montecitorio, palazzo dei gruppi parlamentari, singole delegazioni che si avvicendano. Sono questi il quando e il come dell'ennesima girandola di pre-consultazioni promosse dal Movimento 5 Stelle. Un calendario ancora tutto da fissare, ma che ha già anche un "chi". Saranno infatti i capigruppo dei vari partiti, da ieri eletti anche formalmente, a guardarsi occhi negli occhi e a provare a dirimere una matassa talmente spessa che, allo stato attuale, verrebbe cestinata all'ingresso una volta introdotta al Quirinale.

"Abbiamo invitato i capigruppo di tutti i gruppi parlamentari ad incontrarsi con noi per un confronto sui temi. Per noi il punto di partenza è il nostro programma e l'obiettivo è trovare le convergenze con i programmi degli altri. Non è un esercizio di stile" scrivono sul blog delle Stelle i capigruppo M5S Danilo Toninelli e Giulia Grillo. "L'appuntamento è per domani alle ore 9.30 alla Camera dei Deputati. Chiameremo tutti gli altri capigruppo per conoscere la disponibilità di ciascun gruppo. Auspichiamo che dimostrino la massima responsabilità",

Mentre aleggia l'ipotesi di un incontro fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini (quest'ultimo parla di messaggi telefonici, in vista di un incontro "la prossima settimana"), è stato lo stesso capo politico dei 5 Stelle da un lato a convocare un nuovo round di esplorazioni, dall'altro a bocciare l'ipotesi che a incontrarsi fossero i leader. Per evitare, ancora una volta, il randez vous con il bacio della morte di Silvio Berlusconi.

Anzi. La decisione è stata presa proprio dopo l'irrigidimento del Carroccio, che continua a perorare la causa del centrodestra unito, e non offre segnali di voler scaricare gli azzurri. Ecco così la convocazione dei nuovi incontri. Formalmente per parlare di temi. Un passaggio che ha tutti i crismi per risultare sterile, ma potrebbe caratterizzarsi anche come un modo per lanciare sonde in varie direzioni, e verificare l'esistenza o meno di affinità elettive sui vari punti in vista della partita di governo. Informalmente, per mandare un messaggio alla banda Salvini: "Noi parliamo con tutti – il senso – qualunque porta è ancora aperta".

In queste ore stato maggiore e peones 5 Stelle, indistintamente, a domanda rispondono: "Il Pd? Non è chiusa nessun tipo d'interlocuzione". Uno dei colonnelli del nord aggiunge significativamente: "Se ci fidiamo di loro? Tanto quanto la Lega". I Dem ributtano la palla nel campo avversario, spiegano che sono veline spinte solo per far bagnare di sudore freddo le camicie verdi. 'Il Partito Democratico - dice il reggente Maurizio Martina in una nota - di certo non parteciperà a nessun incontro sui programmi con altri in questi giorni. Noi attendiamo con rispetto prima di tutto le consultazioni del Presidente della Repubblica".

Di Maio&friends giocano la stessa partita a rimpiattino che hanno messo in campo per la presidenza delle Camere. Allorché, il venerdì mattina, di fronte all'inamovibilità della candidatura di Paolo Romani al Senato, iniziarono a far circolare l'ipotesi che tutto sommato un nome del Pd a Palazzo Madama sarebbe anche potuto andare bene. La differenza, cruciale, è nei tempi. La rapidità sincopata di uno spuntino mangiato per strada contro i tempi interminabili e da gestire con oculatezza e parsimonia di un interminabile pranzo pasquale. Perché per arrivare alla tavola imbandita del governo occorre pazienza, sapersi fare concavi e convessi, aspettare, scegliere i momenti per muoversi e calibrare i messaggi al millimetro.

Con un unico punto fermo: Di Maio premier. Perché fosse con la Lega, fosse con i Dem, il mondo 5 Stelle mal tollererebbe il matrimonio di convenienza. E l'unico modo per farglielo digerire sarebbe il volto del capo politico a guida e garanzia dell'intesa. Il dire "Conduco io, fidatevi di me". Per questo l'interlocuzione con il Pd ha una sua parte di strumentalità, ma anche un robusto pezzo di sostanza. Perché se è vero che i tempi sono lunghi, i giri di consultazione quirinalizi probabilmente plurimi, e gli schemi sondabili più d'uno, è altrettanto vero che al momento Salvini non schioda dal suo disegno.

Un altro forno va dunque tenuto aperto. Per ora semifreddo, ma chissà che non si scaldi. E nelle ultime 24 ore due dei luogotenenti di Di Maio, a microfoni spenti, hanno espresso parole al miele per la scelta del capogruppo dem alla Camera: Graziano Delrio. Il primo dice: "È l'unica scelta di buon senso che il Pd ha fatto nelle ultime settimane". Il secondo lascia cadere sibillino: "Quante cose stanno cambiando tra di loro negli ultimi giorni, eh? Chissà fra due settimane come saranno". Tra mezze parole e ammiccamenti, si capisce che l'ex ministro dei Trasporti è considerato un interlocutore affidabile. Anche se, dinanzi al caos delle vicepresidenze e agli scambi al veleno fra Di Maio e Salvini, Delrio ribadisca la linea della "opposizione responsabile" e dica chiaramente che "i voti del Pd non sono a disposizione. Decidiamo noi". Bisogna vedere quando e se il secondo forno si arroventerà. E chissà che non sia proprio lì che si cuocerà il pane.

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