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Politica

"Berlusconi non può essere nascosto"

Alessandro Bianchi / Reuters
Alessandro Bianchi / Reuters 

A fine giornata Matteo Salvini è in viaggio tra Vicenza e Treviso, per un'ultima iniziativa. Il vertice di Arcore ha prodotto un chiarimento. Non definitivo tra i leader del centrodestra che, nei prossimi giorni, torneranno a incontrarsi per mettere a punto come presentarsi all'appuntamento con Mattarella e chi parlerà: se Salvini a nome di tutti o anche Silvio Berlusconi che, comunque, sarà presente. Però c'è un punto fermo nel rapporto tra il centrodestra e i Cinque Stelle. Dice Salvini all'HuffPost: "Il punto fermo è che si parte dal centrodestra e dal suo programma. È la coalizione che ha vinto le elezioni. Su questo non ci piove".

È la linea del comunicato diramato dopo il vertice di Arcore, con una aggiunta però non irrilevante. Perché tra le righe di quel comunicato si legge anche la formula di un governo di minoranza, ovvero la richiesta al capo dello Stato di un incarico per andare a cercare voti in Parlamento. Ipotesi che il leader della Lega scarta nettamente: "Eventuali maggioranze – dice – si costruiscono prima, non dopo. Anche perché Mattarella ha chiarito, nel corso del primo giro di consultazioni che affiderà l'incarico a chi dimostra di avere i numeri. Una maggioranza certa per governare. E non sarò io a proporre di andare in Parlamento a raccattare voti. Come fai a chiedere voti legge per legge?".

Salvini sarebbe disponibile ad essere indicato come premier, se Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni faranno il suo nome: "Anche io – dice sorridendo – indico il mio... Ma le ripeto: sono indisponibile ad andare in Parlamento a raccogliere voti come funghi. O c'è una maggioranza chiara o niente". Il leader della Lega concepisce questa indicazione come un mandato sulla base del quale condurre la trattativa con le altre forse politiche, a partire dai Cinque Stelle: "Incontrerò tutti a nome di tutti, a partire da Luigi Di Maio. Escludo un accordo organico col Pd, ma anche disorganico e quant'altro. Se vuoi onorare il mandato dei cittadini devi essere coerente con quello che hai detto in campagna elettorale. E cioè: mai accordi con quelli che hanno governato negli ultimi 7 anni. Di cosa dovrei parlare con loro? Di come abrogare la Fornero, riformare il mondo della lavoro e della scuola, e di come espellere gli immigrati clandestini? Siamo seri. Io credo alla coerenza".

Il tentativo, dunque, riguarda i Cinque Stelle. Nei prossimi giorni si capirà se Berlusconi è davvero convinto fino in fondo di questa interlocuzione a senso unico. E quanto l'intesa di oggi reggerà. Al momento sembra solida, perché su Berlusconi Salvini non accetta veti: "La coalizione vincente è tutto il centrodestra, che ha preso voti anche come coalizione. È evidente che siamo stati premiati noi. E siamo stati premiati mica giocando a nascondino in campagna elettorale. Capisco i dubbi di Di Maio, anche se non capisco il suo dialogo col Pd e col sistema di potere che il Pd rappresenta".

Parole che scavano un solco con i Cinque Stelle, se lette in parallelo a quelle nervose di Luigi Di Maio sul punto. È il punto dirimente dell'intero ragionamento. Perché, come ha spiegato Giancarlo Giorgetti a In Mezz'ora in più, l'unico schema possibile di mediazione è questo: nessun veto da parte di Berlusconi sui Cinque Stelle, nessun veto dei Cinque Stelle su Berlusconi e la rassicurazione per il Cavaliere dei suoi interessi aziendali, un po' come ha fatto l'attuale governo sulla vicenda Telecom difendendo "interesse nazionale".

È chiaro che in questo ragionamento rientra l'assicurazione di un atteggiamento, diciamo così, "responsabile" da parte di Berlusconi, nell'ambito di un patto complessivo. La dimissione cioè dei toni utilizzati solo qualche giorno fa al Quirinale contro "populisti, pauperisti, giustizialisti". Ma non la rottura di ciò che gli elettori hanno unito. Né il famoso passo indietro del Cavaliere. Perché Berlusconi è Forza Italia e Forza Italia è Berlusconi: "Berlusconi – prosegue il leader della Lega - non si può nascondere. Ma sarò io a parlare a nome di tutti".

Ecco. Uno schema del genere porta dritto all'altro punto dirimente che irrigidisce il dialogo con i Cinque Stelle, perché al momento per Luigi Di Maio la sua presenza a palazzo Chigi è la precondizione di ogni discorso. Non è una questione di vanità o solo di ambizione. È una questione politica. Un Movimento che ha predicato purezza e intransigenza su principi e alleanze, riesce a sostenere un accordo con gli altri – in questo caso Lega o Pd – solo se c'è il suo leader a palazzo Chigi. Per la serie: fidatevi di me, ci sono comunque io. Qui Salvini è particolarmente tranchant nel ragionamento: "Io più di una volta ho detto che sono pronto a fare il premier, ma non ho mai detto 'o io o nessuno'. Se Di Maio continua a dire 'o me o nessuno', allora è nessuno. Non si va da nessuna parte. E si torna a votare. Mica si può rimanere con Gentiloni mentre in Europa stanno preparando la nuova politica comune, il nuovo budget, gli accordi commerciali. O c'è un governo o torniamo a rivolgerci agli italiani".

È una opzione che non dispiace affatto al leader della Lega. E che, per i più maliziosi, è il punto di approdo dell'intera strategia. Tornare al più presto al voto, consumare il parricidio nelle urne, trasformando l'Italia in un grande Friuli, consentendo a Di Maio specularmente di fare lo stesso col Pd. Complicato anche approvare senza governo una legge elettorale: "Sarebbe bello – dice Salvini - e quella presentata dalla Meloni andrebbe benissimo, ma come fai ad impegnare il Parlamento sulla legge elettorale. Di economia chi si occupa, Gentiloni?". Conclusione: "Se ragionassi per convenienza dovrei far saltare il tavolo. Ma mi impegnerò con vigore nel tentativo di far nascere un governo". Alla domanda su quanto, a questo punto, ci creda, non c'è risposta. Perché nel frattempo Salvini è stato assorbito dalla folla che lo aspettava a Vicenza.

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