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Politica

Il "giustizialista" della Lega (che disturba Forza Italia): chi è Molteni, scelto da Di Maio e Salvini per la Commissione della Camera

ANSA
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Già in tempi non sospetti Nicola Molteni in tv invitava a non "demonizzare" e a non considerare un "pericolo per la democrazia" il Movimento 5 Stelle. Una ragionevole esortazione che avrà di certo riscontrato l'apprezzamento del partito guidato da Luigi Di Maio insieme al quale Matteo Salvini, dopo una breve telefonata, ha raggiunto l'accordo per la guida della Commissione speciale della Camera. Sarà quindi Molteni e non Giancarlo Giorgetti - il fedelissimo del segretario del Carroccio dato inizialmente per favorito - a presiedere i lavori dell'organo che tra le prime cose dovrà lavorare sul Def. Una decisione che rinsalda, a poche ore dal secondo round di consultazioni al Quirinale, l'intesa tra M5S e Lega sugli incarichi e le cariche istituzionali che fin qui ha prodotto l'elezione dei presidenti di Camera e Senato e del presidente della Commissione analoga di Palazzo Madama. Tramontata invece l'idea di assegnare la presidenza, come da prassi, all'ex presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia: ipotesi che poteva forse aprire un canale con il Partito Democratico dopo i segnali sul contratto di governo lanciati da Di Maio al Pd, ma i dem hanno chiuso la porta ad ogni confronto preliminare.

Nel grande gioco post elettorale, però, la scelta di Molteni potrebbe non essere casuale. Perché consente a Giorgetti di fare da battitore libero in attesa (e ammesso che succeda) che si formi un esecutivo per un possibile incarico di Governo. Ma soprattutto perché Molteni rappresenta quell'anima "giustizialista" della Lega che in passato ha generato più di qualche attrito tra i due principali alleati della coalizione di centrodestra. Nella scorsa legislatura Forza Italia si è opposta alle proposte di legge avanzate o sponsorizzate da Nicola Molteni, contribuendo ad affossarle nelle aule parlamentari. C'è chi crede che la sua elezione, d'intesa con M5S, possa essere letta come uno sgarbo tutto indirizzato all'alleato azzurro. Un segnale, l'ennesimo, nella partita che si gioca sul filo delle dichiarazioni politiche, dal momento che la Commissione dovrà per prima cosa occuparsi del Def e lo stesso Molteni non ha spiccate competenze economiche.

Originario di Cantù, marito dell'ultima direttrice del quotidiano leghista La Padania Aurora Lussana prima della chiusura, Molteni pur non essendo noto ai più è un politico navigato. Alla sua terza legislatura, si è distinto soprattutto in quella da poco conclusa per aver perorato da vicepresidente dei deputati leghisti le cause più radicali sul fronte della giustizia. Dal no all'abolizione del reato di clandestinità alla contrarietà sulla riforma delle carceri del ministro Orlando fino alla castrazione chimica per chi commette stupri e abusi sui minori, è entrato in collisione con i colleghi di Forza Italia soprattutto per due provvedimenti di legge che il Carroccio ha provato a introdurre senza tuttavia riuscirvi.

Di Molteni era infatti la proposta di legge sulla legittima difesa e sua è stata la battaglia contro lo sconto di pena per i reati più gravi. La prima, di cui era originariamente relatore, mirava a estendere il diritto di legittima difesa considerandola, appunto, sempre legittima. Ma la proposta venne riscritta e svuotata in Commissione Giustizia alla Camera da un emendamento del Pd. La Lega promise le barricate in Aula e il dibattito parlamentare si protrasse tra accuse incrociate e rinvii. Nella sua battaglia la Lega venne affiancata da Fratelli d'Italia mentre Forza Italia, pur supportando la proposta originaria del Carroccio, non si spese particolarmente in sua difesa. Tant'è che votò a favore della ben nota "esenzione notturna" da colpe per chi reagiva ad aggressioni e che fece tanto scalpore sui giornali: per Molteni quella norma introdotta dopo la mediazione tra maggioranza e Forza Italia non migliorava il testo che lasciava "campo libero ai delinquenti". Alla fine, su indicazione di Berlusconi, gli azzurri votarono comunque contro il provvedimento.

Ma a far litigare Salvini e Berlusconi fu la legge, sempre firmata Molteni, che mirava a introdurre l'inapplicabilità del rito abbreviato per i reati "gravissimi". Il disegno di legge, anche noto come 'anti-Kabobo, prevedeva l'impossibilità per gli imputati di reati che prevedono l'ergastolo di ricorrere all'abbreviato, godendo così dello sconto fino a un terzo della pena. Il ddl venne affossato in Commissione Giustizia al Senato grazie al voto di Giovanardi (Idea) e soprattutto del forzista Giacomo Caliendo. "Questa legge - disse Molteni - è per noi imprescindibile ed è uno dei punti di programma della premiership di Matteo Salvini. Questi senatori hanno offeso le famiglie delle vittime che vedono i propri cari uccisi due volte".

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