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Esteri

Il professor Stefano Silvestri, ex presidente Iai: "Dopo i missili, Trump e Putin non faranno nulla, o meglio faranno del teatro"

Handout . / Reuters
Handout . / Reuters 

"Macron e May hanno cercato di 'arruolare' Trump, un po' come Sarkozy e Cameron fecero con Obama per la Libia. Solo che Trump è più difficile di arruolare perché è meno attendibile e prevedibile". A sostenerlo, in questa intervista concessa a Huffpost, è uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera: il professor Stefano Silvestri, già presidente dell'Istituto Affari Internazionali (Iai).

Professor Silvestri, dopo la notte di fuoco in Siria, quali mosse c'è da attendersi da parte del presidente americano e del suo omologo russo?

"Credo che Trump e Putin per il momento non faranno nulla di sostanziale. Si scambieranno accuse, magari insulti, si rimpalleranno le responsabilità, arriveranno alle minacce, insomma faranno del teatro. Ma da questo a determinare azioni più pervasive, tali da determinare reazioni altrettanto dirompenti che come tali non si limiterebbero al solo teatro siriano, ce ne passa. Il problema, semmai è un altro...".

Quale?

"Il problema è che la questione siriana resta irrisolta e questo può creare in qualsiasi momento una nuova occasione di crisi e bisognerà vedere come verrà affrontata..".

E quella che sembra essersi conclusa, come è stata affrontata?

"Direi con estrema moderazione. La moderazione è stata e tale che Assad ha potuto presentarla come una sua vittoria. Ora, nell'atteggiamento del presidente siriano c'è molto di propagandistico. Rimango convinto che Bashar al-Assad non ha un grande futuro davanti a sé, ma proprio per questo lui rappresenta una variabile 'impazzita' nel gioco siriano. Perché Assad potrebbe interpretare la reazione moderata alla strage di Douma come un segno di debolezza dei suoi nemici e dunque alzare ancora l'asticella, magari portando avanti altre iniziative come quella di Douma, in quel caso ci sarà un problema molto grosso che non riguarderà solo Washington, Parigi e Londra, ma anche Mosca. Putin dovrà decidere se continuare a proteggere Assad anche di fronte ad attacchi più forti delle altre potenze. La risposta non è scontata, perché spesso si commette l'errore di considerare non solo Assad figlio ma anche Assad padre, come altri dittatori presenti e passati che hanno imperversato in Medio Oriente, come dei semplici burattini che rispondono a bacchetta ai comandi dei loro burattinai. La storia ha dimostrato che le cose sono un po' più complicate, e questo chi comanda a Mosca lo sa molto bene. Tanto più che nel sistema di alleanze realizzato, con indubbia maestria, da Putin c'è anche un'altra incognita di non poco conto: l'Iran. E qui il discorso deve necessariamente estendersi oltre la questione siriana e investire altri attori regionali, a partire da Israele e Arabia Saudita per finire con la Turchia. Teheran è nel libro nero di Trump, oltre che di Israele e del Regno Saud. Generalmente si parla di crisi siriana ma essa è strettamente legata alla situazione, tutt'altro che stabilizzata, nel vicino Iraq, altro Paese in cui l'Iran è fortemente impegnato. Se la crisi siro-irachena dovesse sfociare in una crisi con l'Iran, allora le cose si complicherebbero di molto e finirebbero per investire il Grande Medio Oriente. Perché in quel caso, un altro teatro di confronto diretto diverrebbe l'Afghanistan, perché a quel punto il Pakistan dovrebbe schierarsi..".

Professor Silvestri, la guerra in Siria è entrata ormai nel suo ottavo anno. Ci si indigna a corrente alternata, si fissano innumerevoli red line, a volte si esercita la forza da parte dell'Occidente o di parte di esso. Ma tra gli attori principali di questa tragedia, ce ne è uno che abbia una idea politica sul futuro della Siria?

"A mio avviso, no. La Russia sembrerebbe pensare ad una Siria governata nominalmente da Assad, con aree di influenza controllate dai vari attori interni e regionali. Ritengo che questa soluzione non possa reggere di fronte alle preoccupazioni della Turchia, che mai accetterebbe un 'cantone' amministrato dai curdi, o di Israele, che vedrebbe minacciata la sua sicurezza da un'area di fatto controllata dagli sciiti con il supporto iraniano e degli hezbollah libanesi, per non parlare di Assad che farebbe la fine di un prestanome senza potere. Se questa dovese essere la 'pax russa' per la Siria, la vedo estremamente fragile perché troppo esposta a crisi, a scontri tra comunità. Il problema è capire se si può trovare un'autorità centrale che venga accettata da tutti i siriani: questa, tra mille incertezze e contraddizioni, sembrerebbe essere il fondamento di una "pax occidentale'. In passato si è provato a capire se all'interno del regime baathista, fuori dal clan Assad, magari nelle fila dell'esercito, vi fossero figure alternative al rais. Non sembra che siano state trovate. Sul tavolo resta anche una effettiva spartizione che, se dovesse essere la strada perseguita, finirebbe per investire anche l'Iraq e il Libano. Certo, è estremamente complicato immaginare di mantenere una unità della Siria senza doverla 'colonizzare' Per tornare all'altra notte, diciamo che si è fatto il minimo sindacale della reazione annunciata, ma questa era diventata una scelta obbligata a fronte del rischio di un confronto diretto con la Russia, che avrebbe determinato una riedizione, ancor più allarmante per le sue conseguenze, di uno scontro Est-Ovest".

Tornando agli eventi di questi giorni. Come valuta l'atteggiamento assunto dall'Europa?

"Direi niente di nuovo sotto il sole. L'Europa si è mostrata divisa come al solito quando in ballo c'è l'uso, anche se moderato, della forza. Eppure l'Europa dovrebbe essere molto più interessata degli Usa alla soluzione della crisi siriana. Penso alla minaccia terroristica o al problema dei rifugiati. Stiamo parlando di un Paese che conta già oltre sei milioni di profughi, e il numero potrebbe ulteriormente crescere se la situazione si farà ancora più grave, investendo anche le aree dove è più presente la comunità curda. Ora, è vero che la Turchia ha fatto da 'tappo' al flusso di rifugiati dalla Siria all'Europa, ma Erdogan lo ha fatto a nostre spese e usando i profughi siriani come arma di ricatto nei confronti dell'Europa. Quanto poi al protagonismo di Francia e Regno Unito, in questo caso e su questo fronte non dovrebbe suscitare particolare scandalo. La storia, più che la geopolitica, può aiutarci a capirne il perché. L'Iraq è stato per tanto tempo un dominio britannico o comunque un Paese che ha sentito fortemente l'influenza del Regno Unito. Lo stesso discorso può essere fatto per la Francia con la Siria e il Libano. Si tratta allora di provare a individuare, in chiave europea, interessi condivisi, sapendo che Francia e Gran Bretagna restano le porte d'ingresso in Medio Oriente dei Paesi europei".

Professor Silvestri, ma in tutto questo che fine ha fatto la guerra al terrorismo che in passato sembrava essere il centro assoluto che tutto giustificava, in Siria e non solo?

"Il problema vero si chiama Bashar al-Assad. Perché lui si presenta come il perno della lotta al terrorismo jihadista, quando invece anche lui pensa, si muove e agisce come un terrorista, diciamo un terrorista di stato. Forse non avrà commesso o sponsorizzato attentati nei Paesi europei, ma lo ha fatto in Libano. Non dimentichiamo poi che per favorire l'affermarsi della componente jihadista nel fronte dei ribelli, Assad ha rimesso in libertà personaggi che hanno ingrossato le fila dell'Isis anche con funzioni di comando. Se non ci si libera da Assad le ambiguità resteranno. Ma oggi questa via è improponibile perché vorrebbe dire fare i conti con la Russia su un teatro molto più ampio di quello siriano".

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