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Politica

Renzi rafforza il no al M5s, fondativo di un "nuovo inizio". I suoi: se la direzione boccia Martina, non può essere più reggente del Pd

Armando Dadi / AGF
Armando Dadi / AGF 

Alla vigilia del secondo giro di consultazioni di Roberto Fico con il Pd, Matteo Renzi chiude il 'forno democratico'. Lo fa a Firenze, dove passa il 25 aprile in piazza, partecipa alle celebrazioni per il 25 aprile e, bici al seguito, ne approfitta per chiacchierare con i passanti sull'ipotesi di un accordo di governo con il M5s. Il sondaggio improvvisato non ha naturalmente valore scientifico, ma per il segretario dimissionario contiene tanta valenza politica. Pur continuando a osservare silenzio sulle trattative sul governo, oggi da Firenze Renzi si sente molto rafforzato nel suo no ai pentastellati: un passaggio che si annuncia sempre più decisivo per i rapporti di forza nel Pd.

Renzi infatti non cede. Anzi: questa discussione sta diventando il suo 'nuovo inizio'. Un modo per tornare in scena nel partito o con un nuovo percorso politico, chissà. Mette persino in conto una scissione, se nel partito chi insiste a vedere ponti di dialogo con il M5s non si placa. Questa storia è diventata per lui quella definitiva. E i dialoganti tra i Dem sono diventati i nuovi rivali interni, che vengano dalla sua stessa maggioranza, come Dario Franceschini e Maurizio Martina, o dalle minoranze come Michele Emiliano e Francesco Boccia. Basta sentire i suoi: "Se la linea di Martina verrà sfiduciata dalla direzione nazionale la prossima settimana, beh è evidente che non potrà fare più il reggente...". Dunque si accelererebbe sul congresso nazionale. Ad ogni modo, Martina è avvertito.

Domani quindi il nuovo round di Fico non servirà a granché. Nello studio del presidente della Camera, la delegazione Dem composta dai due capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio, il presidente Matteo Orfini e Martina, andrà a ripetere che il partito discuterà nella direzione nazionale della settimana prossima. "Nè Martina potrà 'allargarsi' di più, come ha tentato di fare ieri...", avverte una ancora fonte renziana.

Per arrivare a far prevalere la linea del no, la cerchia renziana si sta organizzando al millimetro. Per il 2 maggio, il giorno in cui dovrebbe riunirsi la direzione del Pd, Marcucci ha convocato anche la riunione dei senatori Dem. E' una vera prova di forza, un modo per arrivare 'corazzati' alla direzione. Il capogruppo conta almeno 34-36 senatori contrari all'accordo con i cinquestelle, su un totale di 52 eletti. Non è una maggioranza schiacciante, ma sufficiente per dire in direzione che a Palazzo Madama, territorio sempre difficile per le maggioranze di governo, non ci sono i numeri per procedere all'intesa con i pentastellati. Senza considerare che, a conti fatti, anche una maggioranza con tutto il Pd e il M5s (109) sarebbe risicata al Senato: 161 senatori, che è esattamente il minimo indispensabile. Certo, andrebbero aggiunti eletti pescati da Leu, gruppo misto e Autonomie, ma anche così non c'è la certezza di arrivare a numeri solidi.

Eppure nel Pd il pressing resta fortissimo. Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria e deputato comunque vicino a Renzi, è uno dei pontieri, al lavoro per favorire il confronto interno: per questo ha chiesto di convocare la direzione solo il 2 maggio. Qualche giorno in più, insomma, per cercare di arrivare ad una posizione comune e non spaccare un partito che per ora si muove diviso.

Anche il vicepresidente della Camera Ettore Rosato sta in questa terra di mezzo che cerca di riannodare fili per mantenere l'unità. "Le distanze tra noi e il M5S sono abissali, enormi, siamo stati avversari per cinque anni non per caso ma per profondi motivi di divergenza sui programmi - dice da San Sabba, dove partecipa alle celebrazioni della Festa della Liberazione - Con senso di responsabilità, convochiamo i nostri organismi dirigenti" per capire "se è utile o no, nell'interesse del Paese, fare un governo con forze politiche così distanti".

Ma anche i 'pontieri' sono consapevoli che, se non si smuove Renzi, questa storia del dialogo con i cinquestelle va a sbattere contro un muro. "Se Renzi dice no, il 70 per cento della direzione nazionale lo segue", ci dice un dirigente Dem. Insomma non c'è partita.

Martina intanto insiste: "L'impressione che ho è che tanti chiedano di provare a fare un lavoro, sapendo che è complicato, nessuno la fa facile - dice il reggente partecipando al corteo del 25 aprile a Roma - C'è preoccupazione vera rispetto a un governo a trazione leghista: se il rischio è consegnare il Paese a derive pericolose, c'è una consapevolezza del Pd nel provare a prendere un'iniziativa. Decideremo insieme e quel che decideremo impegnerà tutti".

Oggi più di ieri: si va verso la conta finale. Ai blocchi di partenza, posizioni distanti. Tra i renziani si avverte il fastidio per il secondo giro di domani con Fico: "Frutto di un evidente pressing di Mattarella", dicono i più scocciati. Nel pomeriggio di domani, il presidente della Camera salirà al Colle a riferire. Se il capo dello Stato deciderà di aspettare la direzione del Pd prima di fare la prossima mossa, i renziani avranno solo più tempo per inchiodare chi nel partito vorrebbe aprire, riuscendo quindi a ridefinire a proprio favore i giochi nel Pd, a due mesi dalla sconfitta elettorale.

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