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Politica

Aspettando Renzi

Alessandro Bianchi / Reuters
Alessandro Bianchi / Reuters 

In fondo, il capo dello Stato non poteva fare altro che concedere altro tempo. Perché l'esploratore Roberto Fico, diversamente dalla sua omologa al Senato, non si è presentato al Colle per dire, allargando le braccia, che "non ci sono le condizioni per andare avanti". Ha rappresentato una situazione diversa: certo complicata ma, insomma, qualcosa tra Pd e Cinque Stelle si è mosso. Il classico spiraglio di dialogo, sia pur avvolto da una nube di pessimismo per un esito che appare annunciato (leggi qui Angela Mauro). Come si dice in questi casi, Mattarella non poteva che prenderne atto, concedendo altro tempo in attesa che si pronunci la direzione del Pd.

Del resto, è stato questo l'approccio seguito sin dal primo giorno di questa lunga e inedita crisi: tentarle tutte, ma proprio tutte, anche semplicemente per mettere agli atti, quando sarà, che ogni via è stata percorsa, anche se non ha portato a nessuna meta. Né quella del confronto tra centrodestra e Cinque Stelle che tra tattiche, puntigli e veti, si è protratto, a conti fatti, almeno per una ventina di giorni. Né, eventualmente, quella tra Pd e Cinque Stelle che si consumerà in una decina di giorni.

Parliamoci chiaro, il titolo della giornata è Aspettando Renzi. Perché le consultazioni sono appese a quel che farà l'ex segretario del Pd, così come il precedente giro è stato appeso alla questione Berlusconi: al suo nome ingombrante, al suo ruolo da nascondere, alla sua presenza da camuffare in un governo a trazione Salvini-Di Maio. I due partner del Nazareno che fu, sepolti come due impresentabili nella retorica dei due vincitori dimezzati, con troppa fretta e ottimismo, sono risuscitati, perché la politica è, innanzitutto, rapporti di forza. E i rapporti di forza raccontano l'ovvio, palese già la sera del voto. E cioè che nessuno dei due vincitori aveva i numeri e l'autosufficienza per formare un governo e, dunque, per formarlo era, ed è, necessario un accordo. Che, a rigor di logica, si sigla con i titolari delle ditte, si chiamino Forza Italia e Pd, non con i soci di minoranza.

Ecco, può piacere o no, ma in questo supplemento di consultazioni c'è già una vittoria di Renzi, come al precedente giro, ci fu una vittoria di Berlusconi: ha atteso che tornassero indispensabili i voti del suo partito, ha dimostrato di controllarlo ancora (in questi giorni si sarebbe dovuta tenere l'assemblea di cui ha imposto il rinvio), ha tirato per le lunghe la convocazione della direzione che in parecchi avrebbero voluto già nella giornata di lunedì, insomma ha dimostrato che senza il suo consenso non ci sarà intesa possibile tra Pd e M5s. È, letta dal suo punto di vista, una vittoria e uno sfoggio di leadership. Ecco il punto. Tra i frequentatori del Colle in parecchi si domandano: "Anche se in direzione dovesse prevalere, ed è difficile, la linea di Martina, che cosa farà Renzi? Anche se dovesse perdere la metà dei suoi senatori, comunque sarebbe in grado di impedire l'intesa". Attorno alla questione del governo si sta consumando l'ennesima tappa di un infinito congresso del Pd, confuso e scomposto, o meglio l'inizio del prossimo, dall'esito non scontato se sono vere le voci che l'ex segretario avrebbe già depositato il suo simbolo di un movimento In Cammino e che ha deciso di puntare sul voto anticipato, nella convinzione o illusione che lo stallo dei due vincitori favorisca la sua risurrezione elettorale.

E c'è un motivo se il Quirinale ha accordato altro tempo, pur sapendo che l'esito della direzione è scontato. La verità è che non c'è un "piano B", inteso come un "governo del presidente". Al momento non c'è un Parlamento pronto ad accogliere un nome indicato dal capo dello Stato, in un rigurgito, si sarebbe detto una volta, di "responsabilità nazionale". Anzi, al momento un governo del genere rischierebbe di essere figlio di nessuno. Salvini e Di Maio hanno già messo agli atti la loro contrarietà. E senza Lega e Cinque Stelle, mancano i numeri per un tentativo del genere. Detta in modo tranchant: se fallisce questo tentativo tra Pd e Cinque Stelle all'ordine del giorno non c'è la grande manovra istituzionale di un governo di tutti, in nome dell'interesse nazionale, ma una sorta di governo di nessuno. Ovvero il capo dello Stato che mette su un accrocco "balneare" che nasce con l'obiettivo limitato di riportare il paese al voto dopo l'estate. Con la stessa legge elettorale che assicura una nuova non vittoria, e dunque la difficoltà di far nascere un governo in tempi brevi che vari la manovra. Come in un gioco dell'oca, drammatico e costoso, perché a quel punto sarà scaduta la pazienza dei mercati e, con essa, l'attesa degli speculatori.

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