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Politica

Pronti a sederci al tavolo con M5s, ma da una posizione di forza per trattare al meglio: Renzi in campo in vista della direzione Pd

Ciro De Luca / Reuters
Ciro De Luca / Reuters 

Obiettivo: sedersi al tavolo con i Cinquestelle ma senza umiliarsi, con una posizione di forza, con la delegazione giusta per trattare al meglio (cioè senza Maurizio Martina). Matteo Renzi vuole giocarla fino in fondo questa partita: è la sua occasione per riabilitarsi in politica, di nuovo da leader dopo la sconfitta elettorale. E allora oggi, archiviato il mandato esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico, il segretario dimissionario del Pd tiene a freno la parte ortodossa tra i suoi, contrari al dialogo con i 5s. E si mette al lavoro per pianificare per bene la direzione Dem di giovedì prossimo. Domenica, dopo un lungo silenzio, torna in tv, da Fabio Fazio su Raiuno.

Oggi intanto è tornato a Roma dopo aver passato i giorni a cavallo della festività del 25 aprile a Firenze. Uno stop in libreria, a comprare testi che immortala e posta su Facebook: 'Era di maggio, cronache di uno psicodramma' di Mughini, 'Con i piedi nel fango' di Carofiglio, titoli che non a caso evocano la tormentata condizione del Pd e dei suoi dirigenti, a partire da Renzi stesso. Poi è a pranzo con il tesoriere Francesco Bonifazi e il fedelissimo ex portavoce Filippo Sensi. Inizia una settimana di fuoco, quella più importante per il futuro politico del Pd.

"Se ci giochiamo male questa partita, non lo avremo più un futuro", ci dice un dirigente Dem, mettendo l'accento "non tanto sul sì o sul no ai cinquestelle, ma sul come ci si arriva. Il punto non è cosa si fa alla fine, ma come si arriva a quel punto: forti o deboli?".

Ecco spiegato il perché delle parole grosse volate fino a ieri. Non è escluso che ritornino da qui a giovedì, se servirà allo scopo. Cioè costruirsi una corazza per arrivare 'armati' al confronto con i pentastellati. Di certo, ora il Pd renziano sta soppesando tutte le mosse per potersi sedere al tavolo di confronto sul programma e sul governo con i cinquestelle da una condizione di forza. Spiega il Dem Ettore Rosato, vicepresidente della Camera: "Ci sono due precondizioni" nel confronto con i 5 Stelle, "la prima è quella che loro considerino chiuso il dialogo con la Lega e la seconda è che considerino la stagione delle riforme del Pd un elemento positivo per questo Paese. Se ciò non fosse per noi non sarebbe possibile fare un governo con chi considera quei 5 anni" in modo negativo e "vuole smontare le cose fatte dal centrosinistra".

Ma questi sono i preamboli. Come pure la questione 'Di Maio premier': nel Pd e tra gli stessi renziani ci sono approcci diversi sul tema: c'è chi lo accetterebbe, chi invece è convinto che debba fare un passo indietro per aprire il dialogo. Il fatto è che a monte di tutto, ci sono altri problemi. Interni al Pd.

Il primo si chiama Maurizio Martina, il reggente. Nella cerchia del segretario dimissionario ormai hanno sciolto le riserve su di lui dopo un periodo di attenta osservazione: pollice verso, lo giudicano inadatto alla trattativa. "Ieri dopo aver incontrato Fico - si sfoga un renziano – Martina ha esordito con un 'Ci sono passi in avanti...'! Poi è uscito Di Maio a criticare l'operato dei governi Renzi e Gentiloni... Insomma il Pd ne è uscito umiliato! Non è così che si fa una trattativa. Lo dico per il bene del partito, non per una sua parte... Martina è capace di uscire dall'incontro con Di Maio dicendo che la Tav non si deve fare!".

Battute al veleno. Insomma, il primo problema da risolvere è a chi affidare un confronto così delicato. E' escluso che sia Renzi stesso ad assumersi direttamente l'onere della trattativa, nonostante che nel partito più di qualcuno gli stia chiedendo di ritirare le dimissioni e tornare alla guida. "Non lo bruciamo così", dicono i suoi. "Non si può abdicare dall'essere un leader, Renzi è in campo senza se e senza ma. Ma non è nei suoi programmi tornare segretario: è nel programma di tanti nostri militanti, non di Renzi", dice Rosato.

Problema aperto, ma giovedì il nodo dovrà essere sciolto se davvero si riuscirà ad approvare un documento che dà l'ok all'avvio del tavolo con i cinquestelle per verificare se esistono le condizioni per parlarsi. Di più non potrà esserci, per ora.

"Anche solo per tattica, non possiamo non sederci al tavolo con il M5s – ragiona un altro renziano – Nel 2013 i Cinquestelle si sono seduti al nostro tavolo, prima con Bersani, poi con Renzi. E' finita come è finita, Renzi ha detto a Grillo 'esci da questo blog!', ma ci sono venuti. Dobbiamo farlo anche noi".

Naturalmente per ora il punto è fare bella figura nel confronto con Di Maio, non è farci un governo insieme a ogni condizione. Ovvio. Anche perché una volta partito il tavolo, la sua riuscita dipende anche dalle condizioni esterne. E cioè dal rapporto che ci sarà e se ci sarà tra Di Maio e Salvini dopo le elezioni in Friuli. "E' chiaro che se il M5s perde definitivamente la sponda leghista, perché Salvini non strappa con Berlusconi, sono costretti a trattare solo con noi e possiamo ottenere di più", sono i calcoli di casa Pd. Salvini e Berlusconi per ora smentiscono prospettive di rottura. E il leader leghista oggi rinnova l'invito a Di Maio, ma soprattutto parla molto di voto anticipato prima dell'estate. "Bastano 15 giorni per fare una nuova legge elettorale" con una maggioranza Lega-M5s, dice.

Una cornice esterna che spinge il M5s spalle al muro, vero, ma non migliora la condizione del Pd, partito sconfitto che certo non punta al voto anticipato. Si incontreranno nel mezzo?

Su entrambi ci sono le pressioni del Quirinale. Sergio Mattarella di fatto aspetta la direzione del Pd prima della sua prossima mossa. Soprattutto per i Dem sta diventando difficile reggere la pressione esterna e interna. Renzi dal canto suo comincia a mettere a fuoco l'occasione per rientrare in partita. Fino a qualche settimana fa, non aveva un ruolo in campo: ora sì, non lo molla facilmente, ma lo tiene solo a certe condizioni. Obiettivo: riabilitazione politica. Quella che la parte cosiddetta 'dialogante' del partito, da Martina a Franceschini, non vuole dargli. Ecco: il punto è che la trattativa-non-trattativa con il M5s si incrocia con lo scontro interno sul congresso, non un dettaglio.

Ma d'altronde, senza Renzi un accordo tra Pd e M5s è impossibile. Perché se anche i renziani finissero in minoranza in direzione, se vincessero Martina e Franceschini, a Di Maio non converrebbe siglare un'intesa solo con loro, senza Renzi. Si tradurrebbe in un "Gigino stai sereno". A Enrico Letta, si sa come è finita.

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