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Politica

Renzi in controllo di quel che resta del Pd

KONTROLAB via Getty Images
KONTROLAB via Getty Images 

Parliamoci chiaro, in premessa, per i non addetti allo psicodramma democratico: l'ipotesi, quella di un accordo politico con l'M5s, è caduta nel corso della diretta di Fabio Fazio domenica scorsa, col grande ritorno di Matteo Renzi. Quel che è accaduto oggi ne rappresenta, semplicemente, il secondo prevedibile atto: la battaglia per il controllo del Pd, o di ciò che resta del Pd, e su quali basi.

È questo il senso della "conta per evitare la conta", ovvero del documento preparato dal mite Lorenzo Guerini e sottoscritto dal grosso dei parlamentari e senatori di stretto rito renziano, ma anche di meno ortodossi come Andrea De Maria e Carla Cantone: 80 deputati e 39 senatori, ovvero la maggioranza della direzione. Il documento, a leggerlo con attenzione, non è incendiario, anzi è una quasi banale presa d'atto di ciò che la cronaca politica ha certificato: "no a un governo a guida Di Maio o Salvini" e disponibilità "insieme a tutte le altre forze politiche, per riscrivere insieme le regole del nostro sistema politico-istituzionale". Praticamente ciò che disse Dario Franceschini, dopo il voto, quando propose una legislatura costituente.

E allora, sempre per parlarci chiaro, quale è il fattore scatenante di tanta tensione, e di una attesa della direzione come se fosse l'Armageddon? È il fattore Renzi. O meglio, la dinamica di un partito che ha tentato il renzicidio passando per l'accordo di governo con i Cinque Stelle più che per la democrazia di partito, tranne poi prendere atto che l'ex segretario né è morto né ha scelto la via dell'esilio. Anzi, in tre giorni, ha picconato un accordo che passava sulla sua pelle e ha messo nero su bianco i numeri i numeri della sua maggioranza tra i gruppi parlamentari e in direzione, appunto di ciò che resta del Pd. Può piacere o no, ma è la fotografia di una leadership e, al tempo stesso, l'assenza di una alternativa, perché in fondo (e non da oggi) il Pd è diventato il Pdr, nel senso di partito di Renzi. Ma questo è un altro discorso.

Tornando alla direzione, alla "conta per evitare la conta". E alla prossima conta. Perché già si intravede la prossima: se il reggente Maurizio Martina dovesse fare una relazione dura, invotabile per i renziani, per certificare la spaccatura, allora accadrà questo: il presidente del partito Matteo Orfini il minuto dopo convocherà l'assemblea del partito per il primo fine settimana utile, il 12 maggio, perché viene meno quel presupposto di gestione condivisa (da parte del reggente) sulla base del quale si era deciso di rinviare l'appuntamento. E a quel punto o si elegge il segretario o si indicono le primarie. E l'assemblea, a sentire i renziani, non è un pranzo di gala: "Martina ha due strade, o sta morbido domani e lo votiamo tutti, altrimenti si va in assemblea e si sa come entra ma non si sa come esce".

Ecco. E c'è un passaggio, nella e-news di Matteo Renzi a fine giornata, che sembra un dettaglio ma è sostanza politica, perché fa capire quali siano le basi politiche del ritorno dell'ex segretario e della battaglia per la guida del Pd. Questo: "Qualcuno dei nostri amici e compagni di partito – come Piero Fassino a Porta a Porta – ha chiesto al Pd di allearsi con il Movimento Cinque Stelle per un nuovo bipolarismo centrosinistra-centrodestra. A me sembra un errore. Chi ci ha votato, lo ha fatto sulla base di una proposta radicalmente alternativa al Movimento Cinque Stelle". Ed è il punto di fondo su cui, come si dice in questi casi, i renziani chiederanno "chiarezza" già in direzione e, semmai, in assemblea. E, quando sarà, al congresso.

È un punto politico e culturale. E tocca corde sensibili nel popolo democratico: diventare un partitino proporzionale dell'establishment che, con la benedizione di Mattarella, si rassegna all'idea che il Pd sia una costola della Casaleggio Associati o tenere viva l'idea della vocazione su cui è nato il Pd, provando ad essere un soggetto maggioritario nel sistema politico italiano? Posta così, l'elettore medio del Pd, risponderebbe: la seconda che hai detto. In verità, la sensazione è che questo ritorno di Renzi sia all'insegna di una nuova linea col Pd che, per la prima volta, si è sottratto alla dinamica politica del presidente della Repubblica ed è pronto anche all'ipotesi di un ritorno alle urne. È la dinamica di un partito che si tira fuori dall'attuale quadro, ponendosi non sull'Aventino ma all'opposizione del nuovo sistema politico, provando a interpretare il ruolo di forze anti-establishment. Fuori. Nell'illusione, calcolo o speranza di rimettersi, da lì, en marche.

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