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Esteri

Gli strappi di Netanyahu mettono il timing ad una nuova guerra in Medio Oriente. Nel settantesimo di Israele

Kevin Lamarque / Reuters
Kevin Lamarque / Reuters 

Il conto alla rovescia è iniziato. Le tappe scandite. 12 maggio, Trump annuncia ufficialmente l'uscita degli Usa dall'accordo sul nucleare. 14 maggio: inaugurazione dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. Fiamme nei Territori, Hamas e Hezbollah entrano sul piede di guerra. 15 maggio: nel settantesimo dello Stato d'Israele, Netanyahu ordina nuovi raid contro basi iraniane in Siria. E' l'inizio della guerra diretta tra Israele e Iran, combattuta in Siria, ma col rischio, altamente probabile, che il conflitto possa estendersi nel vicino Libano. L'Iran "risponderà a tempo debito" alla presunta "aggressione israeliana" contro le sue basi militari in Siria. Lo ha detto il presidente della commissione parlamentare per gli Affari esteri iraniano, Allaeddine Boroujerdi, nel corso di una conferenza stampa al termine della sua visita a Damasco.

Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Londra, almeno 26 combattenti iraniani sarebbero morti nei bombardamenti contro due basi usate da militari in Siria, una ad Hama (40 chilometri a nord di Homs) e l'altra Aleppo (roccaforte ribelle situata a 50 chilometri dal confine con la Turchia) nella notte fra il 29 e il 30 aprile. Nessuno ha rivendicato l'operazione, ma i sospetti sono ricaduti sugli israeliani. Le perdite sono state prima smentite da Teheran e ora confermate da Boroujerdi. "L'aggressione dell'entità sionista contro i nostri consulenti in Siria ci garantisce il diritto di rispondere", ha detto il parlamentare iraniano, citato dalla stampa internazionale. "Ci rivarremo a tempo debito", ha aggiunto Boroujerdi, ribadendo che la presenza militare iraniana in Siria avviene "su richiesta del governo siriano". Nei giorni scorsi, ufficiali americani, rimasti anonimi, hanno confermato a media statunitensi e israeliani che il raid nella notte tra il 29 e il 30 di aprile, è stato condotto da "F-15 israeliani".

I jet hanno sorvolato la Giordania e l'Iraq e sono entrati nello spazio aereo siriano da Est, nella zona controllata dagli americani. Nel raid sono stati distrutti "200 missili anti-aerei" appena arrivati dall'Iran, che dovevano rafforzare le difese delle basi utilizzate anche dai Pasdaran e già colpite più volte da Israele. Tra un raid e l'altro, c'è tempo per gli avvertimenti a mezzo stampa. Non potrà che essere gravido delle peggiori conseguenze l'attacco sulla Siria degli Usa, della Francia e della Gran Bretagna. Così il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in una lunga intervista con il settimanale Panorama. "Chiara manifestazione" di una "linea distruttiva sono stati gli attacchi missilistici al territorio della Repubblica araba siriana, inflitti il 14 aprile con un pretesto assolutamente inventato".

Secondo Lavrov "un tale comportamento irresponsabile è gravido delle più gravi conseguenze per la sicurezza globale. E quelli che oggi giocano con il fuoco in varie regioni, cercando di foraggiare i terroristi per sfruttarli nei loro giochi geopolitici, domani dovranno pagarne il prezzo in casa propria". "Israele dovrebbe trasferire le informazioni sul programma nucleare dell'Iran all'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA)", insiste il capo della diplomazia russa. "Gli specialisti che hanno partecipato ai colloqui sulla stesura dell'accordo indicano che è abbastanza probabile che questi documenti si trattino di attività precedenti, già registrate dalle ispezioni dell'Aiea", rimarca ancora Lavrov. Tempi di minacce e di appelli. Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha rivolto un appello al presidente americano, Donald Trump, perché non denunci l'accordo sul nucleare con l'Iran, evocando il pericolo di una guerra. Guterres, parlando alla Bbc, ha definito il trattato del 2015 una "importante vittoria della diplomazia" e ha detto che dovrebbe essere salvaguardato. "Non dovremmo cancellarlo, a meno che non abbiamo una valida alternativa ad esso", ha detto, aggiungendo che "ci spettano tempi molto pericolosi".

Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha affermato in un intervento video che l'Iran non "rinegozierà o integrerà" l'accordo nucleare internazionale sottoscritto nel 2015. Zarif ha risposto così, ribadendo la posizione iraniana degli ultimi giorni, alle minacce degli americani di ritirarsi dall'accordo nucleare. Il ministro iraniano ha sottolineato che il programma missilistico di Teheran non può essere oggetto di negoziato internazionale, come chiedono invece alcuni occidentali, ad integrazione dell'intesa nucleare, perché è una questione interna che riguarda la sicurezza dell'Iran. In precedenza, Ali Akbar Velayati, consigliere del Capo supremo per gli affari internazionali, aveva affermato che Teheran "non resterà" nell'accordo sul nucleare iraniano del 2015 se gli Stati Uniti ne usciranno. "L'Iran ha conservato tutti i suoi piani", rilancia il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in occasione del suo incontro con il suo omologo giapponese, Shinzo Abe, riferendosi ai documenti di cui di recente i servizi segreti israeliani sono entrati in possesso. "Chi non è interessato ad armi atomiche – ha aggiunto – non li avrebbe né preparati, né conservati. L'accordo sul nucleare – ha insistito – è cattivo, si basa sulle menzogne e sugli inganni dell'Iran". Secondo gli analisti israeliani, Hezbollah e gli sponsor iraniani vogliono combattere la prossima guerra con attacchi a saturazione, una moltitudine di missili lanciati assieme dalla Siria e dal Libano verso bersagli dentro Israele in quantità così elevata da sopraffare le contromisure missilistiche. Secondo una notizia apparsa sul sito francese Intelligence Online a luglio, Hezbollah ha anche due fabbriche militari in Libano, una nella Beqaa libanese per produrre il razzo al Fatah 110 e l'altra per produrre munizioni tra Tiro e Sidone. Il problema è che prima Hezbollah aveva a disposizione soltanto il sud del Libano per fare la guerra, ora ha quasi tutta la Siria. Prima il terreno di gioco era quel pezzo di Libano a sud che s'incunea verso Israele, ora è tutta la linea di confine del Golan.

Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha avvertito che "se qualcuno pensa di poter lanciare missili, attaccare Israele o anche i nostri aerei, non c'è dubbio che risponderemo e risponderemo con molta forza, anche se non vogliano interferire con la politica interna siriana o attaccare la Russia". Resta il fatto che agire militarmente in Siria senza mettere in conto possibili coinvolgimenti russi, è qualcosa di altamente improbabile, concordano analisti e fonti governative a Gerusalemme. Voli diretti fra Damasco e una base militare nel Sud della Russia, dove è di stanza una brigata delle forze speciali russe. E' l'ultimo indizio, rivelato dalla Reuters e media israeliani, sul coinvolgimento dei militari russi nei combattimenti in Siria. Mosca ha sempre negato un'azione diretta sul campo e sostiene che le sue truppe sono nel Paese soltanto per proteggere le basi aeronavali a Tartus e Lattakia e i sistemi anti-aerei sparsi sul territorio, oppure impegnati in missioni di addestramento. L'aviazione russa ha appoggiato invece fin dal settembre 2015 i militari siriani gli alleati sciiti. I russi hanno però smentito finora l'impiego di forze di terra. I voli fra Damasco e la base di Molkino, che ospita la Decima brigata delle forze speciali, sembrano indicare il contrario. Nella base ci sono probabilmente anche contractors.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, il 14 febbraio scorso, aveva ribadito che in Siria ci possono essere "combattenti russi", ma non delle "forze regolari". A ciò si aggiunge la notizia che la Russia potrebbe presto dislocare in Siria i missili di difesa aerea S-300, in grado di contrastare efficacemente attacchi aerei o missilistici. La notizia, riportata dal quotidiano russo Kommersant, mette in allarme Israele. Anche perché le fonti militari di Mosca citate dal quotidiano avvertono che se Israele reagirà militarmente le conseguenze sarebbero "catastrofiche per tutte le parti. Ma in Israele non ci si interroga più sul se ma solo sul come, dove e quando la guerra diretta deflagrerà. Amos Yadlin, già capo dell'intelligence militare e attualmente direttore dell'Institute for National Security Studies all'università di Tel Aviv, invoca un intervento "ufficiale". L'ex capo dell'intelligence militare non usa solo argomentazioni geomilitari, ma va al di là, toccando corde sensibili nella coscienza del popolo ebraico: E' importante – afferma – che Israele espliciti la sua posizione morale, a pochi giorni dal momento in cui commemoriamo la Shoah, e colpisca un assassino che non esita a usare armi di distruzione di massa contro la sua gente. In questo caso – conclude Yadlin – gli interessi strategici coincidono con un obbligo etico".

Ma più che l'etica, è la geopolitica a motivare la guerra diretta. l'Iran con le sue milizie controlla militarmente, senza soluzione di continuità, tutto l'Iraq, buona parte della Siria e il Libano. Il rafforzamento della mezzaluna sciita sulla direttrice Baghdad-Damasco- Beirut non è avvertita come una minaccia mortale solo da Israele, ma anche dall'Arabia Saudita e dall'insieme dei regimi sunniti mediorientali. Da tempo, Riyadh e Gerusalemme hanno aperto canali di comunicazione diretti tra le rispettive intelligence. Il tutto in funzione anti-iraniana. Deciso fautore dell'uscita degli Usa dall'accordo sul nucleare, è il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman. Una richiesta in tal senso, l'erede al trono Saud l'ha reiterata nel suo recente incontro a Washington con Trump, ricordando all'inquilino della Casa Bianca i contratti da oltre 300 miliardi di dollari stipulati dai governanti sauditi con gli Usa in campo militare. E altri affari di questa portata potrebbero essere chiusi a breve, se Riyadh entrerà in guerra contro i "Persiani".

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