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Esteri

Giro d'Italia nel conflitto

AFP/Getty Images
AFP/Getty Images 

Nella città ombelico del mondo, lo sport non unisce, al di là delle buone intenzioni degli atleti e dei promotori. Perché a Gerusalemme, ogni via, ogni pietra, racconta di una bramosia di possesso assoluto che ha segnato, nei secoli, la Città che racchiude in sé i luoghi sacri delle tre grandi religioni monoteiste. L'edizione del 2018 del Giro d'Italia è partita da qui, con la tappa a cronometro che ha preso avvio a pochi metri dal Santo Sepolcro, dal Muro del Pianto e dalla Spianata delle moschee. . Una location più evocativa di questa, più suggestiva, fascinosa non esiste al mondo. Perché Gerusalemme è unica. Alle 13,50 ora locale (le 12,50 in Italia) è scattata la crono individuale di apertura del Giro d'Italia numero 101. Poco meno di 10 chilometri per assegnare una maglia rosa dal sapore storico: la prima fuori dai confini europei.

Gerusalemme, ribadiscono con orgoglio gli organizzatori, è pronta. Il governo, che ha stanziato 7,5 milioni di euro (in aggiunta ai quasi 20 messi dall'appassionato magnate ebreo-canadese Sylvan Adams), ha dedicato estrema attenzione all'evento che porterà Israele sugli schermi di almeno 800 milioni di telespettatori attraverso 31 telecamere e 2 elicotteri. Sulle strade di Gerusalemme e Tel Aviv saranno attive complessivamente 122 telecamere di sorveglianza per evitare qualunque pericolo. Ma le polemiche, quelle neanche mille telecamere potevano evitarle. La minaccia di Israele di non prendere parte alla manifestazione aveva infatti spinto gli organizzatori a cancellare la dicitura "Gerusalemme Ovest" dal sito ufficiale dell'evento.

Sul tema si è espressa anche la piattaforma delle Ong italiane in Mediterraneo e Medio Oriente, che riunisce più di 40 Organizzazioni non governative, tra cui Terre des Hommes: "La scelta di far partire il Giro d'Italia da Gerusalemme, avendo peraltro rimosso l'originaria dicitura Gerusalemme Ovest è inopportuna – spiegano le Ong - perché sembra voler avallare la pretesa israeliana che la città sia la capitale 'unica e indivisibile' dello Stato di Israele e di conseguenza l'illegale annessione di Gerusalemme Est allo Stato di Israele, in violazione del diritto internazionale e di molteplici risoluzioni delle Nazioni Unite. Tale scelta rischia di alimentare tensioni perché il Giro d'Italia comincia in un momento assai difficile della storia palestinese, quando, dal 30 marzo ad oggi, l'uso sproporzionato della forza da parte dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza ha causato l'uccisione di almeno 44 civili palestinesi, inclusi tre bambini e un giornalista, mentre il governo israeliano si rifiuta di condurre una indagine imparziale e trasparente sull'accaduto... La scelta di fare partire il Giro da Gerusalemme contraddice l'impegno pluridecennale della società civile e delle istituzioni italiane per favorire il dialogo e la costruzione della pace tra Palestinesi e Israeliani, per sostenere la prospettiva di due Stati, con Gerusalemme capitale sia dello Stato di Israele sia dello Stato di Palestina, nel rispetto dei diritti di entrambi i popoli, dei diritti umani e del diritto internazionale.

La posizione italiana su Gerusalemme – come ricordato anche dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano nel dicembre 2017 – "è e rimane ancorata a quella europea e al consenso internazionale maturato in ambito ONU. Una soluzione per Gerusalemme quale futura capitale di due Stati va ricercata tra israeliani e palestinesi attraverso i negoziati, nell'ambito del processo di pace basato sui due Stati, tenendo conto delle legittime aspettative di entrambi", concludono le Ong italiane. "Il Giro d'Italia è tra i maggiori eventi sportivi tenuti in Israele – ha ribadito ieri la ministra allo Sport Miri Regev – è una operazione logistica senza precedenti". L'evento ha infatti avuto un forte sostegno finanziario da parte statale: il direttore del ministero del Turismo, Amir Halevi, ha assicurato che l'investimento di "diversi" milioni d'euro produrrà ricavi molto maggiori.

C'è chi poi come Yoni Yarom, il capo delle Federazione ciclistica israeliana, spera che la competizione possa sviluppare negli anni una "cultura ciclistica" nel Paese, aumentando il numero degli appassionati di questo sport che conta in Israele 2.200 ciclisti agonistici. Ma a protestare, in campo israeliano, non sono solo le associazioni che credono nel dialogo con i palestinesi. Aspre critiche per l'assenso dei responsabili israeliani allo svolgimento del Giro d'Italia anche durante il riposo sabbatico sono espresse oggi con titoli vistosi in prima pagina da due quotidiani degli ebrei ortodossi. ''Con massima vergogna ed angoscia - scrive Hamodia - profanazioni di massa del sabato sono previste domani in alcune città del Paese in occasione di una gara internazionale di ciclismo''. Sulla stessa lunghezza d'onda è Yeted Neeman secondo cui si avverte ''una forte afflizione nel mondo ebraico per le profanazioni di massa e senza precedenti'' previste per domani.

Il riferimento è al ricorso alle forze dell'ordine, alle trasmissioni televisive e alla disponibilità di alcuni municipi di rendere possibile lo svolgimento della gara. Yeted Neeman accusa i dirigenti di Israele di aver dato ''un calcio'' ad uno dei valori centrali dell'ebraismo: il rispetto del riposo sabbatico negli spazi pubblici del Paese. Domani, i ciclisti affronteranno 167 chilometri (da Haifa a Tel Aviv) e, infine, l'ultimo giorno, pedaleranno da Beersheba, nel deserto del Neghev, verso sud fino a Eilat (229 chilometri). Circoscrivere l'evento al mero ambito sportivo è chiudere gli occhi di fronte alla realtà. "È auspicabile che il Giro d'Italia diventi un'opportunità per non far passare inosservata l'occupazione militare dei territori palestinesi e le gravi violazioni dei diritti umani", rimarcano Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj), Federazion Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) e Palestinian Journalists Syndicate (Pjs), che hanno unito le forze per sensibilizzare i giornalisti sportivi del Giro d'Italia sugli inarrestabili attacchi contro i loro colleghi palestinesi. "Tali attacchi – spiega l'appello – includono arresti, interrogatori, detenzioni arbitrarie e aggressioni fisiche che vanno dalle molestie al lancio di granate stordenti, proiettili di gomma e percosse. Questo è stato ampiamente documentato e condannato dai giornalisti, dalle organizzazioni per la libertà di stampa in tutto il mondo oltre che da numerosi cronisti e intellettuali israeliani, e considerato un'evidente violazione degli obblighi internazionali di Israele in materia di diritti umani e diritto internazionale umanitario delle Nazioni Unite".

Il 2017 ha visto un significativo picco nelle violazioni commesse dalle forze israeliane contro la libertà dei media: 909 violazioni hanno avuto luogo durante l'anno, con un aumento del 33% rispetto al 2016; 8 uffici di tre società di media e due stazioni radio sono stati chiusi per ordine militare; 28 giornalisti sono detenuti nelle carceri israeliane di cui cinque in attesa di essere condannati e sei in detenzione amministrativa; Facebook ha chiuso 158 account palestinesi su richiesta israeliana. A Gerusalemme anche i punti cardinali sono politica. Ovest, Est... "Il Giro d'Italia cede al ricatto" rimuovendo l'aggettivo 'Ovest' dalla denominazione 'Gerusalemme Ovest'". Così si era espressa l'ambasciata di Palestina in Italia, sottolineando "l'evidente politicizzazione" del Giro. "Cedendo alle pressioni politiche di Israele, gli organizzatori – affermava l'ambasciata - assecondano una pretesa di annessione condannata da risoluzioni Onu, assumendosi una responsabilità politica che non solo non compete loro, ma che differisce dalla posizione politica della comunità internazionale, compresa l'Italia". "Gerusalemme - hanno tuonato i ministri Miri Regev e Yariv Levin (Turismo), entrambi del Likud - è la capitale di Israele. Non c'è Est e Ovest: c'è una sola Gerusalemme, unificata".

Da Ramallah, interviene una delle figure più conosciute della dirigenza palestinese: Hanan Ashrawi, più volte ministra, oggi ai vertici dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). HP l'ha raggiunta telefonicamente nel suo ufficio a Ramallah: "Ho ascoltato le dichiarazioni dei ministri israeliani, il battage promozionale fatto – annota Ashrawi, che è stata, tra l'altro, la prima portavoce donna della Lega araba – e purtroppo ho avuto conferma di ciò che temevamo: la corsa servirà solo a legittimare l'annessione di Gerusalemme e a distorcere l'autenticità e il carattere della città". C'è grande amarezza, nelle sue parole, e anche una profonda delusione verso l'"amica Italia". L'esponente palestinese rivela ad HuffPost di aver fatto presente, più volte, ai diplomatici che, per i Palestinesi, organizzando un simile evento," il Giro si sarebbe reso complice dell'occupazione militare israeliana e delle sue palesi violazioni degli accordi, delle convenzioni e delle consuetudini internazionali". E di questo erano stati informati attraverso canali diplomatici sia la Farnesina, sia il ministro italiano allo Sport, Luca Lotti, in occasione della sua presenza a Gerusalemme per la presentazione del Giro, lo scorso 18 settembre. "Avevamo chiesto – confida ancora Ashrawi – che quanto meno gli organizzatori mantenessero la denominazione 'Gerusalemme Ovest, rimanendo nel perimetro definito dalle risoluzioni Onu. Ci erano state date rassicurazioni al riguardo, anche da autorità di governo italiane. Ma alla fine, il diktat di Israele ha avuto il sopravvento. E lo sport è stato piegato agli interessi di parte, del più forte. Forte con le armi, non in bicicletta".

Tutto a Gerusalemme rimanda a una visione assolutistica che non contempla l'esistenza di aree "grigie" né favorisce incontri a metà strada tra le rispettive ragioni. Qui, nell'ombelico del mondo, neanche una corsa ciclistica viene condivisa. Per qualche giorno, Israele prova a uscire di "trincea" e non pensare ai venti di guerra che spirano sempre più forti, in direzione Siria. Ma la guerra diretta con l'Iran incombe e così, nello stesso giorno in cui si apre il Giro, sempre a Gerusalemme, la Knesset ( il parlamento israeliano), ha approvato una legge che garantisce al primo ministro Benjamin Netanyahu, previa la sola consultazione con il ministro della Difesa, di ordinare un attacco militare senza dover passare dal governo. Con 62 voti a favore e 42 contrari la Knesset si è schierata a favore dell'iniziativa legislativa, cambiando la legge esistente che richiedeva un'unanimità di voti da parte dell'esecutivo per poter portare Israele in guerra. Ora il leader del Paese è libero di agire, senza che nessun organo esecutivo o legislativo possa fare nulla per impedirglielo. La diplomazia delle due rote non ha conquistato la maglia rosa, ma quei ragazzi che hanno seguito, festanti, la corsa, in un futuro che si fa sempre più immanente, potrebbero essere spediti al fronte, a combattere. Per qualche ora, l'hanno dimenticato, grazie ad altri ragazzi in bicicletta. E non è poca cosa.

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