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Politica

Governo elettorale

Alessandro Bianchi / Reuters
Alessandro Bianchi / Reuters 

In questa lunga crisi, inedita e confusa, ogni giorno si consuma una scenario. E deve essere apparso chiaro al Quirinale, a dire il vero non da oggi, che le condizioni per un "governo del presidente", inteso in modo classico non ci sono già più. Certo, saranno ascoltati i partiti nell'auspicio che questa ennesima concessione di tempo, di qui a lunedì, faccia maturare nuove consapevolezze. Ma questo auspicio rientra più nella categoria degli atti dovuti che in quella delle ragionevoli speranze.

Già si registra, con una certa preoccupazione, un dibattito permeato dall'ebrezza da piazza e da richiami, più o meno espliciti alle urne. In particolare la virata dei Cinque Stelle, che in pochi giorni hanno dismesso la grisaglia ministeriale, affidabile ed europeista per indossare abiti più consoni ai comizi, lascia intendere che il tempo, e con esso le illusioni di una composizione ordinata del quadro, è scaduto. E, specularmente, il no di Salvini a ogni governo "tecnico", del "presidente", "di tutti" suona come una sentenza definitiva e tombale per la diciottesima legislatura.

Che cosa può fare Mattarella per arrestare questo repentino e inesorabile precipitare degli eventi? Tra i frequentatori del Colle, la risposta che viene data è che non può che prenderne atto, pur comprendendo la gravità della situazione. Se ci fossero le condizioni, l'ipotesi più razionale da offrire ai partiti, sarebbe quella di un governo, diciamo così, di "tregua", con una mission definita sia in termini di obiettivi che di tempo: un esecutivo fino a dicembre per varare la delicata manovra finanziaria, evitando che scattino le clausole di salvaguardia e, con esse, l'aumento dell'Iva. Un governo del genere presuppone, appunto, una "tregua" tra i partiti, ovvero un minimo di condivisione programmatica e un sussulto di "responsabilità nazionale" nel sostenerlo. È chiaro che non sarebbe composto dalle personalità più esposte dei partiti, perché sennò si tratterebbe di un governo politico in senso stretto, ma evidentemente vi farebbero parte i famosi "tecnici di area" o "personalità di altro profilo", comunque espressione delle varie sensibilità politiche e culturali, presenti in Parlamento.

Per un'operazione del genere, comunque ambiziosa, già sembrano essere crollati i presupposti, anche se non la necessità, con partiti incapaci di indicare uno sbocco possibile e imprigionati in una sorta di eccitazione autoreferenziale, a costo di trascinare le istituzioni, persino la principale come la presidenza della Repubblica, dentro le proprie contraddizioni. E rendendo, per prima volta nella storia repubblicana, un'impresa impossibile avviare un governo e, con esso la legislatura.

La questione è, come potete immaginare, al centro delle riflessioni con i consiglieri e dei discreti contatti informali con le forze politiche. Ve lo immaginate un governo comunque impegnativo e di altro profilo, che nasce su iniziativa del Quirinale, che va in Aula e non riceve la fiducia? Equivarebbe a dire che il capo dello Stato viene bocciato dal Parlamento. La certificazione, di fronte al mondo, di una clamorosa crisi istituzionale.

Ecco. È questo il punto. In questa partita senza assi da calare all'ultima mano, in parecchi, anche tra i consiglieri, suggeriscono di non esporre il Quirinale a rischi e di prendere atto che andare a votare a settembre o qualche settimana prima a luglio, sciogliendo le Camere immediatamente non fa poi una gran differenza, in termini politici. Anzi, proprio questa drammatizzazione, dopo un solenne appello ai partiti nel nome della responsabilità nazionale e un vibrante messaggio al paese sui rischi di un ritorno al voto, renderebbe comprensibile, di fronte a un ennesimo no, di chi sono le colpe per l'incertezza che verrà: una nuova ordalia elettorale, con quello stesso Rosatellum che assicura nuova ingovernabilità; l'impossibilità, in questo contesto, a fare una manovra; l'esercizio provvisorio.

L'ipotesi viene considerata davvero estrema, proprio nel caso i partiti si imputassero, perché c'è un motivo se a luglio non si è mai votato. Fa caldo, le scuole sono chiuse, milioni di italiani sono già in vacanza e davvero, per dirla con una battuta, si rischia di vedere bagnini inferociti ed albergatori sull'orlo di una crisi di nervi sotto il Quirinale. Comunque è il Mattarella pensiero, un governo che porti in modo ordinato al voto serve. E al centro della riflessione di queste ore c'è il vecchio classico di un "governo elettorale": un governo che, appunto, nasce col semplice obiettivo di guidare il paese alle urne, guidato da un Cincinnato della Repubblica che, dopo qualche settimana, torna nelle sue terre senza avere tentazioni di restare nell'agone politico. Sembra una questione da addetti ai lavori, ma fa una bella differenza: un conto è bocciare alle Camere un "governo del presidente" , che comunque è una operazione politica quirinalizia e sostenuta dai partiti, altro è che viene sfiduciato un governo che praticamente nasce solo per l'ordinaria amministrazione. E che rappresenta già la presa d'atto di un fallimento dei partiti.

In questo c'è l'estremo rigore costituzionale di Sergio Mattarella. Il quale è consapevole che non sarebbe corretto tornare al voto con Gentiloni. Nonostante sia diventato il governo degli editorialisti che ne invocano una "proroga", considerandolo un governo quasi nel pieno delle sue funzioni, il capo dello Stato è consapevole che è sgrammaticato, e non poco, far tornare al voto un esecutivo espressione della scorsa legislatura. Non verrebbe vissuto come "neutrale" e la sua stessa presenza in campo sarebbe un elemento polemico della prossima campagna elettorale, i cui veleni sono già sparsi ovunque.

Sia come sia, è evidente che, per quanto al Quirinale l'eventualità di questo scenario venga considerata la peggiore che si potesse immaginare, sbaglia chi pensa che la minaccia delle urne a settembre o quando sarà sia una messinscena per spaventare i partiti costringendoli a fare un governo, a dispetto della loro volontà, perché in realtà il capo dello Stato è pronto ad immolarsi pur di scongiurarle. È chiaro che le eviterebbe volentieri ma non possiede la bacchetta magica. E, a giudicare dagli indici di fiducia raggiunti, è evidente che questo approccio ha creato un rapporto molto positivo col paese. Non a caso i partiti, col loro furor polemico, almeno per ora, hanno evitato di attaccare il capo dello Stato, nella consapevolezza che, prima o poi parlerà. Magari non è un novello Pertini, ma insomma quando spiegherà che si sono buttati 60 giorni nell'inconcludenza e che si viaggia a fari spenti nella notte, qualche emozione nel paese la susciterà.

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