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Esteri

LIbano al voto per non fare la fine della Siria

Jamal Saidi / Reuters
Jamal Saidi / Reuters 

Un voto per allontanare lo "spettro" siriano. E per cercare di mantenere in vita un modello politico-istituzionale più unico che raro nel dissestato quadrante mediorientale. Il Libano domani torna a votare per le legislative dopo nove anni di pausa: per due volte il Parlamento si era prolungato il mandato. Il ritardo - annota Ugo Tramballi, tra i più seri ed equilibrati conoscitori della realtà mediorientale. "ha due cause: l'ufficiale era la necessità di riformare il sistema elettorale; l'implicita è la guerra in Siria, il timore di aumentare la tensione con una campagna elettorale ed essere risucchiati dal caos oltre la frontiera. Il Paese ne aveva visto l'abisso quando tre anni fa Hezbollah, il movimento sciita filo-iraniano, aveva mandato i suoi miliziani a combattere accanto a Bashar Assad. Come reazione l'Isis era penetrato nel Nord del Libano e milizie sunnite avevano compiuto attentati in tutto il Paese". Per la prima volta ci saranno anche liste della società civile. Quei gruppi che dal 2011 avevano protestato contro l'immondizia nelle strade, la mancanza di acqua, la corruzione del sistema. La lista "Tahaluf Watani", confederazione patriottica, riunisce 11 movimenti "non settari né di parte per offrire soluzioni". Significativa anche la presenza femminile: in un Paese dove le donne rappresentano il 3 per cento del Parlamento, il 3 per cento, è da registrare la cifra record di 86 candidate che competono per i 128 seggi. Gli aventi diritto al voto sono 3.663.518. L'attuale ripartizione prevede 64 seggi alla comunità cristiana (34 ai cristiano maroniti, 14 ai greco-ortodossi, 8 ai melchiti, 5 agli armeno-ortodossi, uno a testa per le restanti minoranze cristiane) e 64 seggi alla comunità musulmana (27 ai sunniti, 27 agli sciiti, 8 ai drusi e 2 agli alawiti). I libanesi andranno a votare con una nuova legge elettorale, approvata dal Parlamento lo scorso che ha instaurato in Libano un sistema proporzionale al posto del maggioritario, in vigore dal 1960. Il Libano è stato diviso in 15 collegi elettorali, relativamente omogenei al loro interno dal punto di vista confessionale. La legge elettorale prevede una soglia di sbarramento al 10 per cento a livello nazionale.

Il nuovo sistema elettorale non intacca la regola - inclusa negli Accordi di Taif, con cui nel 1989 fu sancita la fine della guerra civile - la quale stabilisce che metà dei 128 deputati del Parlamento siano cristiani, e l'altra metà sia formata da parlamentari musulmani - sciiti e sunniti - e drusi. "Andiamo finalmente al voto dopo che il parlamento ha annullato tre elezioni consecutive. E' un passo enorme verso il ritorno alla democrazia- afferma in una intervista a euronews Marwan Maalouf, tra i più accreditati analisti politici a Beirut -. La gente è motivata a votare. Per la prima volta i libanesi all'estero hanno potuto votare; io non sono un grande fan di questa legge elettorale, ma ci sono dei grandi cambiamenti. E' innegabile. Adesso si può￲ sperare di essere eletti anche ottenendo il 9, 10% dei suffragi. Non accadeva prima. Ha spinto più gente fuori dai partiti a candidarsi. Certo possiamo ancora predire, più o meno, le percentuali dei vari partiti, ma possiamo aspettarci delle sorprese fra le candidature. Perché adesso abbiamo le preferenze e ora ogni candidato deve avere una base elettorale".

La campagna elettorale è stata dominata dalle problematiche interne: la corruzione, il miglioramento del sistema produttivo ed economico per contrastare l'alto tasso di disoccupazione e la riforma del welfare nazionale, messo in crisi dagli oltre 900mila profughi siriani nel paese. Ma non meno avvertiti sono stati i temi riguardanti la politica estera: dal vicino conflitto siriano alle continue pressioni di nazioni esterne (Iran, Arabia Saudita e Francia) nelle dinamiche nazionali, dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, al largo delle coste libanesi, alle costanti provocazioni e sconfinamenti dello spazio - aereo, terrestre e navale - da parte di Israele con un continuo innalzamento della tensione ed il rischio di un ormai prossimo conflitto. "Uno dei grandi problemi del Libano è il grande numero dei profughi". A rimarcarlo è il presidente della Caritas Libano, padre Paul Karam, in un'intervista a InBlu Radio, il network delle radio della Cei, alla vigilia del voto "Queste elezioni - ha aggiunto padre Karam - rappresentano per noi un momento di cambiamento per la vita sociale del Paese. Per nove anni non abbiamo esercitato il diritto democratico per l'elezione dei nuovi deputati. Queste elezioni devono cambiare la faccia del Libano ed essere di aiuto nella lotta alla corruzione. Come Chiesa e Caritas abbiamo il dovere di accogliere i profughi e aiutare i bisognosi, ma è anche dovere dello Stato garantire l'organizzazione delle entrate e uscite dei profughi organizzando anche gli aiuti umanitari. La Comunità internazionale deve assicurare il ritorno dei profughi dal Libano in Siria. Il Libano è un piccolo Paese e da solo non pu￲ gestire questo grande problema. La Comunità internazionale aiuti il Libano. Anche il nuovo governo ha la responsabilità di varare nuove leggi che possano assicurare la dignità del popolo libanese e dei profughi".

Tema rilanciato dal primo ministro libanese Saad Hariri il 26 aprile scorso, in occasione della seconda Conferenza dei Paesi donatori svoltasi a Bruxelles: " Se un rifugiato viene in Europa - annotava Hariri - il costo per qualsiasi Paese europeo è di 30mila euro l'anno. In Libano, quello che riceviamo dalla comunità internazionale è meno di mille euro l'anno (per rifugiato, ndr). Immaginatevi i problemi che abbiamo. Non chiediamo 30mila euro l'anno, non preoccupatevi, ma chiediamo abbastanza soldi per far s↓ che le comunità che ospitano i rifugiati possano sostenerli e nello stesso tempo per fornire qualche aiuto umanitario, specialmente per i rifugiati". I riflettori internazionali sono puntati soprattutto su Hezbolllah, il Partito di Dio sciita guidato da Hassan Nasrallah. Partito di governo e di lotta (armata), che dalla nuova legge elettorale potrebbe uscire premiato, perché un Parlamento frammentato garantirà che non ci sia alcuna opposizione specifica contro le politiche del partito sciita. Da notare che solo i due movimenti sciiti di Amal ed Hezbollah hanno presentato liste condivise a livello nazionale. Tutti gli altri partiti hanno formato liste congiunte dal valore contingente a livello locale, scontrandosi invece in altri distretti.

Anche in questo frangente si è riproposto il problema mai risolto e che già in passato è stato foriero di crisi finite nel sangue: la smilitarizzazione delle milizie di Hezbollah. Una richiesta che non ha mia avuto seguito. "Hezbollah è nel governo istituzionale e al tempo stesso si comporta come un contropotere armato, come uno stato nello stato", si lascia andare, con la garanzia dell'anonimato, un dirigente vicino al premier dimissionario. "La situazione è molto grave - aggiunge- Hezbollah sta sfruttando i successi militari in Siria (dove le milizie di Hassan Nasrallah combattono a fianco dell'esercito lealista, ndr) per consolidare le sue posizioni interne e creare le condizioni per uno stato sciita che unisca una parte della Siria con la Beqaa che Hezbollah controlla militarmente". Ed è su questa dorsale che il Partito di Dio riceve le forniture di armi da parte iraniana. Ed è proprio in questa zona strategica ai confini tra Siria e Libano, che si sono ripetute nei mesi scorsi incursioni aeree dei caccia israeliani contro convogli o depositi di armi destinati, secondo l'intelligence militare di Gerusalemme, alle milizie di Hezbollah. Quelle incursioni, sembrano essere il preludio di una guerra che sarebbe devastante per tutto il Medio Oriente. "Tre delle cinque guerre d'Israele sono scoppiate in estate, nel 1967, 1982 e 2006. Una nuova guerra sarebbe diversa, con uno scenario apocalittico per il Libano, Israele e per l'intero Medio Oriente. A differenza dei conflitti precedenti, rappresenterebbe una battaglia per la sopravvivenza di Hezbollah. Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha più volte ripetuto di essere pronto a combattere", rimarca Sami Moubayed in un documentato report su Asia Times.

"Se Hezbollah farà l'errore di andare a un conflitto con Israele, il Libano tornerà all'età della pietra", ha affermato lo scorso settembre, Yoav Galant, ministro dell'edilizia del governo Netanyahu e generale della riserva, mentre nel Nord di Israele proseguivano le esercitazioni militari di preparazione proprio ad una possibile guerra tra lo Stato ebraico e il movimento sciita libanese. "Hezbollah è oggi un nemico atipico perché nel mondo non sono molti a disporre di 100 mila missili", ha detto Galant in un'intervista radiofonica. Secondo Galant l'Iran si starebbe assicurando il controllo di fatto di un territorio va dal Golfo fino al Mediterraneo. E' questa la teoria del cosiddetto "corridoio sciita" che, nelle affermazioni israeliane, porterebbe Teheran a stabilire basi militari permanenti in Siria. Le dinamiche regionali influenzano pesantemente, e non da oggi, le vicende interne al Libano. Al centro delle quali, almeno negli ultimi anni, vi sono due figure-chiavi nel panorama politico del Paese dei Cedri: Saad Hariri e, per l'appunto, lo sheikh Hassan Nasrallah. Nominato primo ministro alla fine del 2016, Saad Hariri ha guidato un governo di unità nazionale formato da 30 membri tra cui anche componenti di Hezbollah. D'altro canto, anche alla luce dei successi militari conseguiti nella guerra siriana, Hezbollah, ormai considerato da numerosi analisti vera forza regionale dell'area, non nasconde più le proprie capacità militari ed ha fatto mostra del proprio arsenale, composto anche da carri armati e mezzi blindati, nella parata militare del novembre 2016 in Siria. Al Akhbar, quotidiano libanese, afferma come, grazie al suo intervento militare in Siria ed alla lotta contro i miliziani jihadisti di Daesh e Al Nusra all'interno dei confini nazionali, "Hezbollah si sia affermato ormai come la vera risorsa militare del paese per difendere la sua integrit¢ territoriale da qualsiasi minaccia (Al Nusra, ma soprattutto Israele, ndr)".

E da vincitore si comporta e parla Nasrallah. "Hezbollah - ha avvertito in un discorso trasmesso da Al-Manar, la Tv del Partito di Dio sciita - non è più quello del 2006, ha capacità militari offensive e difensive migliori e resta vigile lungo tutti i suoi confini. L'entità sionista dovrà pensare bene se lanciare una nuova operazione militare in Libano per vedere, poi, decine di migliaia di combattenti sciiti provenienti dall'Iraq dall'Afghanistan e dalla Siria entrare nei suoi territori".

Quale sia la posta in gioco, la sintetizza bene Tramballi: "Salvare il Libano dal precipizio siriano è la priorità: dopo la Tunisia, è l'unico Paese della regione che con qualche concessione possa essere chiamato democratico". In Medio Oriente vige una legge non scritta: quando la politica diserta, abbandona il campo, il vuoto viene subito colmato dalle armi. Il Libano oggi prova a giocare la carta della politica. Una carta che si spera vincente.

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