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Esteri

Hezbollah non risponde alla chiamata iraniana alle armi

Aziz Taher / Reuters
Aziz Taher / Reuters 

Non è un gioco delle parti. Ma l'inizio di una incrinatura che potrebbe portare ad uno strappo destinato a pesare nella nuova partita mediorientale che si aprirà dopo l'uscita degli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare iraniano. Solo una lettura superficiale può registrare il successo elettorale del blocco di alleanze imperniato, ma non assolutizzato, su Hezbollah come una deriva jihadista del Paese dei Cedri. Le cose non stanno così. E a lasciarlo intendere è stato lo stesso Hassan Nasrallah, capo indiscusso del partito di Dio sciita. "I risultati parlano chiaro – ha affermato Nasrallah, parlando ieri pomeriggio in diretta televisiva ad Al Manar, l'emittente legata ad Hezbollah – e indicano la grande vittoria del nostro partito e dei suoi alleati".

"Si è trattato di una grande vittoria morale e politica per il campo della resistenza", ha insistito il segretario generale del partito di Dio, senza tuttavia indicare il numero dei seggi conquistati da Hezbollah e dai suoi alleati. Ma Nasrallah non dimentica di riconoscere il merito dei suoi alleati e, soprattutto, cerca di vestire i panni di un leader nazionale, attento a preservare l'unità del Paese. "Il voto – sottolinea – ha rappresentato un grande successo nazionale, dopo nove anni senza elezioni, in ragione delle proroghe del mandato dei parlamentari, indipendentemente dai limiti e dalle critiche che riguardano la nuova legge elettorale".

Il passaggio più importante, per le sue proiezioni future, è quello conclusivo. "Si è trattato – dice il leader di Hezbollah – di un successo per il presidente Michel Aoun, il governo attuale, tutte le forze politiche e il popolo libanese". Non sono affermazioni di comodo, concordano gli analisti politici indipendenti a Beirut. Nasrallah ha il polso della situazione nel proprio campo, e sa che la popolazione sciita, che fa le fortune di Hezbollah, è stanca e stremata per il prezzo pagato nel combattere in Siria a fianco del regime di Bashar al-Assad. Sono almeno 7000 i miliziani del partito di Dio caduti feriti nella guerra siriana, ed altissimo è anche il prezzo economico che Hezbollah ha dovuto sostenere sul fronte siriano.

Tutto vogliono i giovani che hanno manifestato per le vie di Beirut e di Tripoli, come nel Sud del Paese, dove i partiti sciiti – Hezbollah e Amal – hanno fatto il pieno dei seggi a disposizione, tranne che morire per Damasco.

Nasrallah ha promesso loro stabilità, benessere: impegnarsi in un'altra, devastante guerra, vorrebbe dire tradirli. E qui entrano in gioco i falchi di Teheran. Lo strappo di Trump sul nucleare rafforza l'ala conservatrice del regime iraniano, quella che fa capo alla Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, e che ha nella "Pasdaran holding" molto più che il suo braccio armato.

Dell'ala dura del regime, Ali Akbar Velayati, consigliere per gli affari internazionali dell'ayatollah Khamenei, è uno dei più autorevoli esponenti. La sua lettura del successo di Hezbollah è un messaggio, tutt'altro che velato, lanciato allo stesso Nasrallah. Alla base della vittoria elettorale di Hezbollah e dei suoi alleati, sostiene Velayati, stando a quanto riportato dalla tv di Stato iraniana, c'è innanzitutto "la lotta contro Israele e gli Stati Uniti". Questa vittoria, aggiunge Velayati, "completa i successi militari. Il popolo libanese e i suoi rappresentanti, a partire da Hezbollah e dagli altri gruppi della resistenza, è il frutto della lotta condotta contro Israele e i suoi alleati, a cominciare dagli Stati Uniti". Quella del consigliere di Khamenei è una chiamata alle armi per la guerra prossima ventura. Riferendosi all'impegno militare di Hezbollah in Siria a sostegno del regime di Bashar al-Assad, Velayati giunge alla conclusione che il successo nelle legislative di Hezbollah e soci, è anche il portato dell'aiuto determinante offerto alla Siria nella lotta contro i terroristi". Tutto, nella presa di posizione del consigliere di Khamenei, va nella direzione di richiamare all'ordine Hezbollah e il suo leader. "Questa vittoria del popolo libanese e della resistenza della politica del governo libanese - insiste Velaiaty - è anche il segno dell'approvazione della politica del governo libanese volta a preservare l'indipendenza del Libano minacciata da Israele". La chiosa finale, è tutto un programma. Per Velayati, "il potere del Fronte della resistenza è destinato a rafforzarsi nel mondo", dopo le elezioni di domenica scorsa in Libano e le legislative del 12 maggio in Iraq.

Nella terminologia della Repubblica islamica dell'Iran, il "Fronte della resistenza" designa l'Iran, la Siria, l'Iraq, Hezbollah e i gruppi islamisti palestinesi, Hamas e la Jihad islamica, vicini a Teheran. Hezbollah non può e non vuole chiamarsi fuori dal "Fronte" ma oggi, dopo i risultati del voto, le sue priorità sembrano essere altre rispetto alla chiamata alle armi dei Pasdaran iraniani. E la priorità assoluta si chiama pacificazione interna al Paese dei Cedri. Priorità che Nasrallah condivide con l'altro vincitore di questa tornata elettorale: il capo dello Stato (cristiano) Michel Aoun.

Quel che è certo, è che Hezbollah ora dispone della più potente forza armata libanese, 40 mila uomini meglio equipaggiati dello stesso esercito, e del principale blocco in Parlamento, 26 seggi assieme all'altro partito sciita Amal. Sommati ai deputati dei partiti alleati, a cominciare Al-Tayyar al-Watani al-Hor, il Movimento libero patriottico del presidente cristiano Michel Aoun, più gli indipendenti e formazioni minori, si arriva a 67, oltre la metà dei 128 dell'Assemblea. È un dato preoccupante per il premier in carica, Saad Hariri. Anche se sarà confermato primo ministro, i suoi spazi di manovra saranno ristretti. Il suo partito Mostaqbal, Futuro, ha conquistato soltanto 21 seggi, contro i 33 delle precedenti elezioni. Ed Hezbollah è riuscito anche a far eleggere alcuni deputati sunniti suoi alleati, tanto che voci nel partito fanno trapelare che c'è il rischio di "perdere la rappresentanza dei sunniti", mentre il quotidiano filosiriano Al-Akhbar ha titolato "schiaffo" al premier. Hariri ha cercato di minimizzare. Ha detto che comunque il voto "è un segnale positivo per la comunità internazionale", che ha messo sul piatto 11 miliardi di aiuti a patto che il Paese proceda "con le riforme".

Undici miliardi di aiuti fanno gola a tutti in un Paese segnato dalla crisi economica aggravata dalla perenne emergenza dei rifugiati siriani. Una convergenza d'interessi che potrebbe portare a un nuovo patto tra Nasrallah e Hariri, con Aoun come garante. "Il Libano - ha affermato Hariri - può essere solo governato da tutte le sue componenti politiche, e chi dice il contrario inganna se stesso. Dobbiamo lavorare insieme per costruire il Paese". Poco dopo gli ha fatto eco il capo di Hezbollah: "Se vogliamo la sicurezza e la stabilità, i partiti devono cooperare tra loro e devono risolvere i conflitti su questioni di politica interna ed estera". Ma per realizzare questa aspirazione, il capo di Hezbollah deve guardarsi anche all'interno del movimento, contenendo gli elementi che vorrebbero usare la vittoria elettorale per prendersi tutto.

Il muftì della Repubblica libanese, sheikh Abdel Latif Deriane, ha chiesto che vengano sanzionati i "fauteurs de troubles" che hanno sfilato nelle vie di Beirut, brandendo le bandiere di Hezbollah e di Amal, affermando che questi incidenti non devono ripetersi. "La sicurezza del Libano e dei Libanesi è responsabilità dell'esercito e delle forze di sicurezza, e incidenti come quelli avvenuti a Beirut non devono più ripetersi", avverte il dignitario sunnita, che si trova attualmente ad Abu Dhabi per partecipare a un meeting religioso. "Senza la saggezza del presidente della Repubblica Michel, del capo del governo Saad Hariri e del presidente del Parlamento Nabih Berri, e il dispiegamento dell'esercito e delle forze di sicurezza, Beirut sarebbe diventata il teatro del caos e della discordia", rimarca Deriane, riferendosi alle centinaia di manifestanti che, agitando vessilli di Hezbollah e Amal, hanno preso d'assalto diversi quartieri della capitale. Il messaggio della massima autorità religiosa sunnita ha un destinatario principale: Hassan Nasrallah. In ballo vi sono 11 miliardi che il leader del partito di Dio vuole cogestire, indirizzare, come il futuro del Paese dei Cedri. Ma per farlo, per essere della partita, Nasrallah non può presentarsi all'Occidente, e alle petromonarchie del Golfo, come il "burattino" di Teheran in Libano.

Una immagine coltivata da Israele. I risultati delle elezioni libanesi rafforzano quello che da un po' di tempo è il nostro approccio: Hezbollah = Libano", scrive su Twitter il ministro dell'Educazione Naftali Bennett, anche membro del gabinetto di sicurezza nazionale che ha l'ultima parola sugli interventi militari. "Lo Stato di Israele non farà differenza tra lo Stato sovrano del Libano e Hezbollah, e riterrà il Libano responsabile per qualsiasi azione all'interno del suo territorio", avverte il leader della destra radicale israeliana. Ma chi sa cosa significhi fare una guerra a Gerusalemme, i servizi di intelligence dello Stato ebraico, i vertici di Tsahal, le Forze di difesa israeliane, sa che un'avventura militare contro Hezbollah sarebbe oggi molto più dolorosa di quella dell'estate 2006. Il perché è presto detto. L'organico attuale degli Hezbollah conta su circa 45.000 combattenti, di cui 25.000 in servizio attivo, con un arsenale di oltre 120.000 razzi. Non più una milizia, ma un vero e proprio esercito. Un esercito specializzato nella tattica della guerriglia, ben addestrato, ben equipaggiato, ben disciplinato. Ha dietro di sé l'assistenza, i soldi e le forniture di armi dell'Iran. E quel che è peggio (per Israele) è che l'impegno militare nella guerra civile siriana, dove stanno combattendo oltre 7.000 miliziani, ha fornito agli Hezbollah un'esperienza bellica al fianco degli iraniani e dei russi che tornerà utile in un futuro confronto militare contro Israele. Lo stesso dicasi per i consiglieri militari che affiancano le milizie Houthi in Yemen. Questi report dei servizi israeliani sono da tempo sul tavolo di Netanyahu e dei ministri del gabinetto di crisi. Ma i falchi di Gerusalemme sono da tempo convinti, e non l'anno mai mascherato, che quello del 2006 è stato solo il primo tempo della "partita" contro Hezbollah, e che è giunto il momento di chiudere i conti. Dal fronte opposto, i falchi di Teheran mirano allo stesso obiettivo: trascinare in una guerra diretta annunciata, anche Hezbollah. Gli opposti convergono. Una storia che si ripete in Medio Oriente. Ed è una storia mai a lieto fine.

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