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Esteri

Schiaffo Onu a Israele: commissione d'inchiesta su Gaza. Mentre Erdogan arringa le folle

Anadolu Agency via Getty Images
Anadolu Agency via Getty Images 

L'Onu "inchiesta" Israele. Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ha votato a maggioranza una risoluzione in cui si chiede la istituzione di una commissione internazionale indipendente che indaghi sulle violenze a Gaza. La risoluzione è stata adottata con 29 voti a favore, 2 contrari e 14 astensioni. I due voti contrari sono di Stati Uniti e Australia. Tra i 14 astenuti, Regno Unito, Germania, Ungheria, mentre, per restare all'Europa, Spagna e Belgio hanno votato a favore. L'Italia non è rappresentata in questo organismo. La risposta di Israele alle manifestazioni palestinesi al confine tra lo Stato ebraico e Gaza, che ha provocato la morte di almeno 62 persone e il ferimento di oltre 3000, è stata "totalmente sproporzionata": così l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein, aprendo la riunione straordinaria del Consiglio. Zeid ha spiegato davanti al Consiglio Onu dei diritti umani che i diritti dei palestinesi vengono sistematicamente calpestati e che 1,9 milioni di abitanti di Gaza sono "ingabbiati in una baraccopoli tossica dalla nascita alla morte". "Se si mette fine all'occupazione, violenza e insicurezza scompariranno in larga parte", ha aggiunto Zeid, secondo quanto riferito da Asharq al Awsat. Il voto di Ginevra è stato accolto con sentimenti opposti in Israele e nei Territori palestinesi.

"È ciò che chiedevamo – commenta a caldo con Hp il capo negoziatore palestinese, e segretario generale dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, Saeb Erekat -. Israele non può agire come se avesse godese di una sorta di impunità internazionale che, come è avvenuto nei massacri di Gaza, sembra trasformarsi in licenza di uccidere". Il dirigente palestinese rilancia la "sfida della legalità": "I governanti israeliani – annota ancora Erekat – ritengono che la copertura totale offerta dagli Stati Uniti ad ogni forzatura unilaterali, abbia come conseguenza la delegittimazione di ogni organismo o istituzione internazionale". Di segno opposto sono le reazioni israeliane. "L'ennesima dimostrazione di una faziosità che non conosce limiti – dice ad HP una fonte governativa a Gerusalemme -. Il Consiglio dell'Onu è ormai divenuto una cassa di risonanza di Hamas". Poco dopo, arriva la presa di posizione ufficiale. Durissima. Israele "respinge totalmente" la decisione del Consiglio dei diritti umani dell'Onu che "ancora una volta dimostra di essere un organismo con un'automatica maggioranza anti israeliana dominata dall'ipocrisia e dall'assurdità". Lo dice il ministero degli Esteri a Gerusalemme. "I risultati del comitato di indagine deciso dal Consiglio sono già noti e imposti dalla forma della Risoluzione stessa. E' chiaro che l'intento del Consiglio non è indagare la verità ma - ha aggiunto - violare il diritto all'autodifesa di Israele e demonizzare lo Stato ebraico".

Un Consiglio dal quale Israele dovrebbe ritirarsi e in tutta fretta. A d affermarlo, ieri, era stato il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman che aveva attaccato la condanna dell'organizzazione sull'uccisione dei manifestanti a Gaza. "Attacchi terroristici condotti da Gaza e attacchi di ipocrisia dal Consiglio dei diritti umani. Tutte condanne – aveva twittato il ministro - che vogliono impedire ad Israele di difendere se stesso". "Dobbiamo immediatamente lasciare il Consiglio e - ha concluso - muoverci per far sì che anche gli Usa facciano questa mossa".. Nei giorni scorsi, su Gaza c'era stata battaglia (diplomatica) al Palazzo di Vetro. Gli Stati Uniti hanno bloccato l'adozione di un testo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che avrebbe promosso un'indagine indipendente sui fatti nella Striscia di Gaza, secondo fonti diplomatiche. Il testo proposto, bloccato dal diritto di veto degli Usa, diceva che "il Consiglio di sicurezza esprime la sua indignazione e la sua tristezza di fronte alla morte dei civili palestinesi che esercitano il loro diritto di manifestare pacificamente" e chiede "un'inchiesta indipendente e trasparente su queste azioni per garantire le responsabilità". Inoltre, il testo avrebbe "ribadito che ogni decisione o azione che vuole modificare il carattere, lo status o la composizione demografica della città santa di Gerusalemme non ha alcun effetto giuridico, è nulla e non avvenuta e deve essere annullata, conformemente alle risoluzioni pertinenti del Consiglio di sicurezza". Alla seduta del Consiglio di sicurezza è intervenuto Nikolay Mladenov, coordinatore speciale dell'Onu per il processo di pace in Medio Oriente: "Israele deve calibrare l'uso della forza, deve proteggere i suoi confini ma farlo in modo proporzionato. Mentre Hamas non deve usare le proteste per mettere bombe e compiere atti provocatori", ha sostenuto Mladenov. "La comunità internazionale deve intervenire e prevenire una guerra", ha aggiunto Mladenov, definendo la situazione nella Striscia "disperata".

Nonostante il nulla di fatto al Palazzo di Vetro, Gran Bretagna e Germania continuano però a chiedere "un'indagine indipendente" sui fatti di Gaza. "Il Regno Unito sostiene un'inchiesta indipendente su ciò che è successo", ha dichiarato Alistair Burt, ministro britannico per il Medio Oriente e il Nord Africa, intervenendo al Parlamento di Londra. "Posso dire a nome del governo tedesco che anche noi siamo dell'idea di avviare una commissione indipendente che possa fare luce sulle violenze e sugli scontri sanguinosi nelle zone di confine", ha riferito alla stampa tedesca il portavoce della cancelliera Angela Merkel e del governo di Berlino, Steffen Seibert. Da un portavoce all'altro: quello delle Nazioni Unite per i diritti umani ha riferito che "la minaccia dei dimostranti palestinesi radunati vicino alla barriera di Gaza non deve essere considerata sufficiente per l'utilizzo di munizioni vere da parte delle forze di sicurezza israeliane". "Le forze letali dovrebbero essere usate soltanto come misura estrema, non come prima misura", nella Striscia di Gaza "sembra che chiunque sia passibile di essere ucciso a colpi d'arma da fuoco" dai soldati israeliani, a prescindere dal fatto che rappresenti o meno una minaccia imminente", dichiara il portavoce per l'Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Rupert Colville. "Il solo fatto di avvicinarsi alla frontiera non è un atto letale, minaccioso per la vita, quindi non giustifica gli spari. Non è accettabile dire che questo è Hamas e quindi questo va bene'", ha proseguito Colville, in una critica alle motivazioni addotte da Israele per l'alto numero di palestinesi uccisi nelle proteste di ieri al confine della Striscia di Gaza.

Israele ha accusato Hamas di essere dietro le proteste e di aver agito semplicemente per difendere il proprio territorio. Colville ha anche ricordato che tra i palestinesi uccisi c'è una persona biamputata: "Quanta minaccia può costituire una persona biamputata dall'altra parte di una grande barriera fortificata". Il voto del Consiglio per i diritti umani cade nell'"Erdogan's day". Il "Sultano" alla conquista della Palestina. Arringa la folla a Istanbul, orienta il vertice dei Paesi islamici, fa ciò che la Lega araba si è rifiutata di fare: portare Israele davanti alla Corte internazionale per i diritti umani. Recep Tayyp Erdogan è il leader musulmano più in voga a Gaza, osannato come il "nuovo Saladino" che non ha tradito gli shaidid (martiri) massacrati dal fuoco israeliano. La Turchia chiede che Israele sia portato davanti alla Corte internazionale per i diritti umani, per il massacro di palestinesi sulla Striscia di Gaza. La richiesta proviene direttamente da Erdogan ed è formulata per bocca del suo ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu. Prima del vertice, Istanbul ha ospitato una manifestazione "contro l'oppressione e per Gerusalemme". A infiammare la folla in piazza Yenikapi, è il "Sultano" in persona. Ed è sempre lui, Erdogan a guidare l'incontro dell'Oic. Lo scorso dicembre l'Oic si era già riunita per una sessione straordinaria, sempre convocata dal Capo dello Stato turco, che aveva portato i Paesi membri a una dichiarazione congiunta nella quale i firmatari riconoscevano Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese. L'obiettivo del Sultano è adesso quello di far firmare tutti un nuovo atto, significativo e forte, contro quella che ha già definito "l'occupazione israeliana", e contro la decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele.

Alla marea umana che riempie piazza Yenikapi, Erdogan dà in pasto Israele. Di fronte a quello che è successo a Gaza, "le Nazioni Unite sono finite, sono crollate. In questo momento, non riesco neppure a parlare con il segretario generale dell'Onu, nonostante abbiamo una buona amicizia. Se continuerà a esserci silenzio sul bullismo di Israele, il mondo sarà trascinato nel caos", ribadisce Erdogan. E ancora: "Non permetteremo che Gerusalemme sia usurpata da Israele. Sosterremo la lotta dei nostri fratelli fino al giorno in cui le terre palestinesi - che sono state a lungo occupate - avranno pace e sicurezza dentro i confini di un libero Stato palestinese". Si fa paladino della "causa palestinese", il presidente turco, e al tempo stesso la inserisce in un quadro regionale in cui gli interessi di Ankara confliggono, e non solo in Siria, con quelli dello Stato ebraico e del suo alleato saudita. E lo fa dopo aver rinsaldato il patto con i suoi omologhi russo, Vladimir Punti e iraniano, Hassan Rouhani. Ma c'è anche un disegno interno in questo ergersi a nuovo Saladino in Palestina. Erdogan ha preso il vessillo della difesa della causa dei palestinesi per assumere un ruolo internazionale e cercare di migliorare i consensi tra i 60 milioni di elettori che il 24giugno saranno chiamati alle urne per rinnovare il parlamento e il presidente con nuovi poteri esecutivi. Così come Putin, anche Erdogan sa accarezzare l'orgoglio nazionalista del Paese, e nel farlo rilancia i mai dismessi sogni neo-ottomani di potenza. In questa ottica, può servire anche la tragedia di Gaza. D'altro canto, a decidere i nuovi equilibri in Medio Oriente, sono tre potenze non arabe: Russia, Turchia e Iran. Non è un paradosso della storia, ma un dato di realtà che peserà e molto se e quando andrà in scena una "Jalta mediorientale". Di certo, il "Sultano di Ankara" ambirà a un posto in prima fila.

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