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Esteri

Il presidente malato avvicina un governo gialloverde anche in Palestina (di U. De Giovannangeli)

AFP/Getty Images
AFP/Getty Images 

Un governo gialloverde anche in Palestina. Per garantire che l'uscita di scena di un presidente malato porti all'implosione dell'Autorità nazionale palestinese e spiani la strada per la Muqata (il quartier generale dell'Anp a Ramallah) ad Hamas.

Dietro il giallo sulle condizioni di salute di Abu Mazen c'è anzitutto questo: la consapevolezza, da parte della dirigenza dell'Anp e ancor più di quella di al-Fatah (il movimento nazionalista palestinese fondato da Yasser Arafat e di cui lo stesso Abu Mazen è il capo) che una uscita di scena non governata dell'ottuagenario presidente, significherebbe l'implosione di Fatah, spaccato al proprio interno in miriadi di fazioni locali e familistiche e incapace di indicare una candidatura interna forte per la successione ad Abu Mazen. E allora, ecco il "male minore": convergere su un candidato di Hamas meno divisivo di altri e legare questa scelta alla formazione di un governo giallo (il colore della bandiera di Fatah) e verde (quello di Hamas).

Sulla gravità delle condizioni dell'ottantatreenne presidente palestinese, le notizie ufficiali vengono corrette dalle indiscrezioni, ufficiose, che giungono da Ramallah e Gaza. Di certo c'è che Abu Mazen resterà anche oggi ricoverato in ospedale, ha annunciato un portavoce dell'ospedale in cui il presidente palestinese è stato ricoverato in seguito alle complicazioni sopravvenute dopo un'operazione all'orecchio. Il portavoce dell'ospedale Istichari, nei pressi di Ramallah, ha affermato che il presidente dell'Anp sta bene, ma non ha offerto altri dettagli sulla durata della sua ospedalizzazione. Domenica sera Saeb Erekat, segretario generale dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), tra i dirigenti palestinesi più vicini a Mahmoud Abbas, aveva detto alla France Press che il presidente di una "infiammazione all'orecchio sviluppatasi a seguito dell'operazione che aveva subito".

È la terza volta che il leader dell'Anp è ospedalizzato in una settimana, Nel febbraio scorso, il suo stato di salute era stato al centro di voci preoccupate dopo che Abu Mazen, impegnato in una missione negli Usa, si era sottoposto ad esami medici in un ospedale di Boston. I boatos proseguono, c'è chi parla di un cancro ai polmoni (il presidente è un accanito fumatore), chi tende a minimizzare, ma tutti gli analisti politici nei Territori, si trovano d'accordo sul fatto che l'interrogativo su cui ruota il futuro politico dei Palestinesi, non è "se" ma "quando" e "come" il vecchio e malato presidente uscirà di scena. E il tempo stringe. Una soluzione non lacerante va ricercata al più presto. Una soluzione va ricercata dentro e soprattutto fuori i Territori, coinvolgendo i leader arabi, quelli che hanno nelle loro mani la "questione palestinese".

Una cosa è certa: se si dovesse votare in un futuro ravvicinato, Fatah rischia seriamente di subire una sonora sconfitta da parte di Hamas. Ma uno scontro frontale tra le due più importanti fazioni palestinesi, sarebbe un regalo per Israele e segnerebbe probabilmente la fine della "questione palestinese" per come si è manifestata dal 1967 ad oggi. E qui entra in gioco l'Egitto di Abdel Fattah al-Sisi. Il presidente egiziano è stato il facitore, prima, dell'accordo di riconciliazione nazionale tra Hamas e Fatah, e dopo una gestione non deflagrante della drammatica crisi di Gaza.

Una uscita non divisiva dall'"era Abu Mazen" passa per la realizzazione all'accordo di unione nazionale raggiunto qualche mese fa tra Hamas e al-Fatah ma rimasto in gran parte ancora sulla carta. Quell'accordo prevedeva lo scioglimento del "governo" di Hamas nella Striscia e il passaggio dei poteri all'Anp. Tra i punti in discussione c'è quello di una progressiva smilitarizzazione di Hamas e un passaggio di una parte delle forze del movimento islamico nei servizi di sicurezza dell'Autorità palestinese. Agli uomini di Hamas rimaneva il controllo del valico di Rafah, oltre che la garanzia di essere parte del "consiglio della ricostruzione", l'organismo palestinese che dovrebbe gestire i finanziamenti internazionali per la ricostruzione.

Ricostruire Gaza significa investire 5,4 miliardi di euro. Israele ha presentato un piano da 800 milioni di euro per la ricostruzione di Gaza, nell'ambito di una riunione di emergenza dell'"Ad Hoc Liason Commettee", il gruppo di Paesi donatori che fornisce aiuti economici ai Paesi in via di sviluppo, che si è tenuta il 31 gennaio 2018 a Bruxelles. L'Egitto può mettere sul tavolo qualcosa di più vitale oggi per Hamas: i finanziamenti necessari per ricostruire Gaza e dare respiro ad una popolazione stremata. Sono i petrodollari del Qatar. Al-Sisi si fa garante della disponibilità qatarina, e questo definisce già un qualcosa di nuovo e di estremamente significativo nella geografia delle alleanze in campo arabo e, in particolare, in quello sunnita: mentre l'Arabia Saudita, seguita dal suo satellite Bahrain, ha di fatto sposato la causa israeliana in funzione anti-iraniana, ponendo la "questione palestinese" come una subordinata del tutto marginale, il Qatar, che non ha ricomposto la frattura con Riyadh, ha mantenuto una linea più flessibile, autonoma, che l'ha portato a stringere un patto d'azione con l'Egitto. L'"hudna" a Gaza è il terreno di sperimentazione di questo patto. Il capo di Hamas non ha chiuso le porte a questa prospettiva, e nelle interviste rilasciate nei giorni più tragici nella Striscia, ha evocato questa possibilità, un cessate-il-fuoco di lungo termine (dieci anni) con il Nemico israeliano, subordinandolo a condizioni che Israele, nella "diplomazia sotterranea" in atto con l'Egitto, non ha scartato a priori.

In questo contesto, la scelta del successore di Abu Mazen è questione cruciale. Fino a qualche mese fa, prima comunque delle "Marce del Ritorno" susseguitesi nella Striscia, con un tragico bilancio di sangue (oltre 120 palestinesi uccisi, più di 3000 feriti), Fatah sembrava avesse trovato un candidato su cui convergere: Mohammed Dahlan, l'ex uomo forte di Fatah nella Striscia. Cinquantasette anni, Dahlan ha guidato la lotta di Fatah contro Hamas a Gaza, proponendosi come un leader energico capace di cambiare davvero le cose. Ma è anche stato esiliato dalla Cisgiordania con accuse di corruzione quando ha iniziato ad opporsi politicamente ad Abu Mazen. Per altre persone questa avrebbe potuto essere l'inizio della fine politica, ma per Dahlan è invece stato un nuovo inizio: rifugiatosi negli Emirati Arabi Uniti è diventato consigliere del sovrano locale. Come inviato degli Emirati negli ultimi anni ha girato l'Europa e il Medio Oriente, come diplomatico, contribuendo, tra le altre cose, a mediare gli accordi diplomatici tra Egitto ed Etiopia circa il progetto della Renaissance Dam. In passato ha dovuto subire l'emarginazione sulla base di accuse di corruzione; accuse rivoltegli quando Dahlan annunciò di voler correre contro Abu Mazen. Nel gennaio 2017, Lo scorso gennaio, nel pieno di una sanguinosa guerra civile a Gaza, Dahlan concesse una interessante intervista ad Haaretz, il quotidiano progressista israeliano. Il presidente in pectore palestinese aveva sfidato Hamas intervenendo ad una manifestazione di Fatah nella Striscia, la prima dopo tanti anni. All'intervistatore che gli chiedeva sul perché fosse il bersaglio dei radicali islamici, Dahlan rispose così, in terza persona: "Sono sicuri che se uccidono Mohammed Dahlan, Fatah scomparirebbe, ma non capiscono che questo (Fatah) è un movimento popolare...". E poi l'avvertimento, una sorta di pizzino palestinese: "Loro (i capi di Hamas, ndr) sanno che io li conosco personalmente meglio di chiunque altro, da quando Israele ha cercato di collaborare con loro contro Fatah, dagli anni in cui Mahmoud al-Zahar (il ministro degli Esteri di Hamas, ndr) era in contatto con Yitzhak Rabin... ma hanno commesso una infinità di errori, indebolendo la causa palestinese, e adesso pensano di risalire la china minacciando di morte fratelli palestinesi solo perché aderiscono a Fatah...".

Dall'avvertimento all'apertura. Nell'intervista Dahlan non chiude le porte ad un riavvicinamento, poi messo in atto. "La soluzione – rimarcò allora – è quella democratica: libere elezioni, alla fine dobbiamo andare avanti assieme, ma per procedere in questa direzione dobbiamo prima rafforzare Fatah per dimostrare ad Hamas che Gaza non è loro, Gaza non è Tora Bora. In passato abbiamo commesso degli errori, ma abbiamo imparato la lezione, e non li ripeteremo". Ma ora le cose sono cambiate: Hamas si è rafforzato con le manifestazioni di Gaza dalle quali Fatah si è o è stato estromesso, comunque assente. E allora, come in un giallo che si rispetti, ecco il nome del presidente papabile di un governo gialloverde in Palestina: Khaled Meshaal, 62 anni, l'ex capo dell'Ufficio politico di Hamas in esilio.

Un tempo, quando era sotto la protezione siriana, Meshaal era il punto di riferimento dell'ala più dura del movimento islamico. Ma d'allora, molta acqua è passata sotto i ponti palestinesi, e oggi Meshaal, nel frattempo stabilitosi a Doha, in Qatar, è stato l'unico leader di Hamas disposto a far suo l'appello dell'Anp a passare dalla violenza a forme di ''resistenza popolare'' disarmata contro ''l'occupazione''. Non solo: proprio a Meshaal - identificato in passato con l'asse di ferro con Damasco e Teheran - si deve la strategia attuale di rilancio dei contatti con altri Paesi: primi fra tutti l'Egitto di al-Sisi e la Tunisia. Quanto a tregue, Meshaal le ha teorizzate e negoziate con Israele.

Mahdi Abdel Hadi, direttore di Passia, autorevole, perché indipendente, rivista palestinese di Gerusalemme Est, sintetizza la situazione così: "Divisi, Hamas e Fatah si sarebbero ulteriormente indeboliti e, divisi, non potrebbero affrontare la gravissima crisi che investe Gaza né acquisire credito nella comunità internazionale". Un "matrimonio d'interessi", dunque, che il vecchio Abu Mazen non ha la forza, né forse la volontà, di "officiare". Ma quel matrimonio s'ha da fare, perché l'alternativa sarebbe catastrofica per i due contraenti. Il governo grigioverde è il "male minore".

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