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Esteri

Una tregua insperata che conviene tanto a Israele quanto a Hamas

Ibraheem Abu Mustafa / Reuters
Ibraheem Abu Mustafa / Reuters 

L'HuffPost lo aveva anticipato: mentre a Gaza si contavano i morti dei "Venerdì di Sangue" e delle "Marce del Ritorno", in Egitto il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi convocava i vertici di Hamas per discutere i termini di una hudna (tregua) di lungo periodo con Israele. Ora, questa tregua sarebbe stata realizzata. Hamas lo conferma, mentre Israele non smentisce, ma puntualizza: ancora non c'è la firma.

Le dichiarazioni ufficiali che giungono da Gerusalemme sono improntate alla "frenata", ma fuori dall'ufficialità, e con la garanzia dell'anonimato, fonti governative confidano ad HuffPost che "qualcosa di sostanziale stavolta c'è, così come c'è un garante regionale (l'Egitto) di cui ci si può fidare". La conferma che si tratta davvero di "qualcosa di sostanziale" viene dalle aperture dei siti online dei maggiori quotidiani israeliani, che abbondano di indiscrezioni, ricostruzioni, puntualizzazioni, convergendo sul punto sostanziale: la tregua è all'ordine del giorno.

Hamas da Gaza ha fatto sapere che in seguito a mediazioni le fazioni armate della Striscia sono disponibili ad un cessate il fuoco con Israele. Khalil al-Haya, un membro dell'ufficio politico di Hamas, ha detto che grazie a mediatori egiziani si può mettere fine all'attuale fase di confronto con lo Stato ebraico, in base alle intese di cessate il fuoco del 2014. Il ministro israeliano Naftali Bennett, uno dei super falchi del governo guidato da Benjamin Netanyahu, ha confermato che l'Egitto si adopera per calmare la situazione anche se finora non c'è un accordo formale. Nelle ultime ore la situazione al confine fra Gaza ed Israele è andata gradualmente stabilizzandosi e stamane le autorità militari israeliane hanno autorizzato l'apertura degli edifici scolastici ed i lavori nei campi agricoli di confine.

Nella nottata di ieri, 29 maggio, da Gaza sono stati lanciati diversi razzi alcuni dei quali sono stati intercettati dalle batterie di difesa Iron Dome. Le sirene di allarme nelle località israeliane di frontiera hanno risuonato più volte. Da parte sua l'aviazione israeliana ha attaccato almeno 25 obiettivi a Gaza fra cui siti per la produzione di razzi e magazzini di droni, nonché campi di addestramento militari di Hamas. Ma dalla mezzanotte locale queste incursioni sono cessate. Malgrado i duri combattimenti di ieri non si sono avute finora notizie di vittime né da parte palestinese né da parte israeliana. Israele ha inflitto la scorsa notte un ''colpo significativo'' a Gaza, dove ha attaccato decine di ''obiettivi terroristici'' di Hamas e della Jihad islamica, ha detto un'alta fonte della sicurezza di Israele, citata dai media.

''Adesso il fuoco è cessato. Noi abbiamo inoltrato un messaggio - ha aggiunto la fonte - che se il fuoco dovesse riprendere, i nostri attacchi su Hamas e sui suoi alleati sarebbero ancora più forti''. ''Adesso - ha concluso la fonte - a decidere saranno i fatti sul terreno''. Secondo Al-Jazeera, all'accordo hanno contribuito funzionari della sicurezza egiziana. L'annuncio è stato dato dal giornalista dell'emittente qatarina, Bernard Smith: "La tregua è nata dopo che Israele ha mandato un messaggio agli egiziani che, se le fazioni palestinesi non si fossero fermate, Israele avrebbe reagito in modo più forte e contro la leadership di quei gruppi. I palestinesi stanno diffondendo la notizia che hanno negoziato il cessate il fuoco, ma Israele non ammetterà che ne hanno concordato uno. In ogni caso è avvenuto, sta funzionando e ha mantenuto le cose tranquille per il momento".

La tregua è entrata in vigore alle 4 della notte, ora locale. Versione confermata dal quotidiano liberal israeliano Haaretz: "Malgrado il fatto che le intese sul cessate il fuoco siano state raggiunte unilateralmente, con Hamas che parlava direttamente con i mediatori egiziani, le forze di difesa israeliane rispetteranno la calma se Hamas metterà fine al fuoco contro Israele", rende noto il giornale citando fonti militari. Il ministro dell'Intelligence israeliana, Yisrael Katz, ha detto alla radio che "Israele non vuole che la situazione peggiori, ma chi ha iniziato le violenze deve fermarle. Israele farà sì che (Hamas, ndr) paghi per tutte le violenze contro Israele". Dunque, l'accordo non è ancora siglato. Ma neanche il super falco Katz ha potuto smentire che un negoziato "sotterraneo" è stato iniziato, che è andato avanti tra bombardamenti di artiglieria, raid aerei israeliani su Gaza e razzi palestinesi sparati dalla Striscia sulle città israeliane frontaliere.

D'altro canto, la situazione a Gaza rischia di farsi incontrollabile per Hamas, perché le casse del movimento sono praticamente vuote e senza soldi è impossibile frenare la rabbia di una popolazione alla quale viene da mesi razionata la luce elettrica e senza più acqua potabile. Aver guidato le proteste ha permesso ad Hamas di riaffermare la sua centralità nella resistenza palestinese, ma ciò che i dirigenti di Hamas sanno bene, e nelle conversazioni private lo ammettono con preoccupazione, è che Gaza sta morendo non sotto i colpi dell'artiglieria israeliana, ma per ciò che è ormai da anni la sua "normalità": la Striscia di Gaza diventerà assolutamente invivibile entro il 2020. L'allarme è stato dato dalle Nazioni Unite che hanno stilato un report sulla situazione della vita all'interno dell'enclave palestinese. Secondo l'Onu, i parametri sociali ed economici della vita dei palestinesi si stanno inesorabilmente deteriorando. Gli stipendi sono ridotti al minimo, le condizioni igieniche sempre peggiori, l'elettricità c'è solo per pochissime ore al giorno e le fonti di acqua potabile si andranno ad esaurire in pochissimo tempo.

L'Egitto può mettere sul tavolo qualcosa di più vitale oggi per Hamas: i finanziamenti necessari per ricostruire Gaza e dare respiro ad una popolazione stremata. Sono i petrodollari del Qatar. Al-Sisi si fa garante della disponibilità qatarina, e questo definisce già un qualcosa di nuovo e di estremamente significativo nella geografia delle alleanze in campo arabo e, in particolare, in quello sunnita: mentre l'Arabia Saudita, seguita dal suo satellite Bahrain, ha di fatto sposato la causa israeliana in funzione anti-iraniana, ponendo la "questione palestinese" come una subordinata del tutto marginale. Il Qatar, che non ha ricomposto la frattura con Riyadh, ha mantenuto una linea più flessibile, autonoma, che l'ha portato a stringere un patto d'azione con l'Egitto.

L'"hudna" a Gaza è il terreno di sperimentazione di questo patto, che ha anche ricadute interne al campo palestinese. Ecco allora il terzo capitolo della "pax egiziana": dare realizzazione all'accordo di unione nazionale raggiunto qualche mese fa tra Hamas e al-Fatah (il movimento nazionalista palestinese di cui è leader lo stesso Abu Mazen) ma rimasto in gran parte ancora sulla carta. Quell'accordo prevedeva lo scioglimento del "governo" di Hamas nella Striscia e il passaggio dei poteri all'Anp. Tra i punti in discussione c'è quello di una progressiva smilitarizzazione di Hamas e un passaggio di una parte delle forze del movimento islamico nei servizi di sicurezza dell'Autorità palestinese. Agli uomini di Hamas rimaneva il controllo del valico di Rafah, oltre che la garanzia di essere parte del "consiglio della ricostruzione", l'organismo palestinese che dovrebbe gestire i finanziamenti internazionali per la ricostruzione.

Ricostruire Gaza significa investire 5,4 miliardi di euro, Israele ha presentato un piano da 800 milioni di euro per la ricostruzione di Gaza, nell'ambito di una riunione di emergenza dell'"Ad Hoc Liason Commettee", il gruppo di Paesi donatori che fornisce aiuti economici ai Paesi in via di sviluppo, che si è tenuta il 31 gennaio 2018 a Bruxelles. Gestire la ricostruzione è oggi per Hamas ancora più importante, in chiave di legittimazione interna, che mettere il cappello sulla resistenza armata all'"entità sionista". Per fini interni, Hamas ha dovuto coprire il lancio dei razzi, spingendo sul pedale della retorica propagandistica, ma i capi del movimento islamico sanno bene che quei razzi sparati a ripetizione dai miliziani della Jihad islamica sono anche, e per certi versi soprattutto una sfida interna all'arcipelago delle fazioni palestinesi in armi. I gruppi jihadisti più radicali cavalcano il malessere della popolazione di Gaza, e provano a orientarlo in una duplice direzione: contro Israele, ma questo è scontato, e contro chi ha governato negli ultimi dieci anni nella Striscia: Hamas, per l'appunto. L'"hudna" serve (ad Hamas) se è il passaggio obbligato per porre fine, o quanto meno allentare fortemente, l'assedio della Striscia e avviare la ricostruzione.

Quanto a Israele, al di là delle dichiarazioni bellicose ad uso interno dei suoi governanti, ciò che conta davvero è l'individuazione del nemico principale contro cui orientare ogni iniziativa politica e, un domani, militare. Quel nemico è l'Iran. E il fronte caldo su cui potrebbe scatenarsi una guerra diretta è rappresentato dalle Alture del Golan, in territorio siriano e ai confini con lo Stato ebraico. In questa chiave, l'Egitto "serve" a Israele per calmierare la frontiera Sud, quella della Striscia e del Sinai, in modo da poter concentrare il grosso del lavoro dei servizi di intelligence e quello dell'Idf, le Forze armate dello Stato ebraico, alle frontiere Nord, quella con la Siria e quella, non meno strategica, con il Libano. Per questo, il raggiungimento di una tregua di lungo periodo, stavolta può essere utile sia a Israele che ad Hamas.

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