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Politica

Il neoministro dell'Interno Matteo Salvini parte da Pozzallo, luogo simbolo degli sbarchi

Simona Granati - Corbis via Getty Images
Simona Granati - Corbis via Getty Images 

Matteo Salvini cambia il programma del suo tour, domani, in Sicilia e vira su Pozzallo, teatro oggi del primo sbarco di migranti da quando il leader della Lega è stato nominato ministro dell'Interno. Sarà una tappa quindi dall'alto valore simbolico quella di Salvini visto che Pozzallo è anche sede di un hotspot ed è tra le città siciliane maggiormente coinvolte nei flussi dal Nordafrica.

Migranti, Salvini: "Per i clandestini è finita la pacchia"

Il neo ministro dell'Interno anticipa già le prime mosse. "Per i clandestini è finita la pacchia. Martedì ci sarà la riunione dei ministri dell'Interno europei, con la pazzesca proposta all'Italia di accogliere altre 100mila persone, noi diremo no", ha detto nel corso di un comizio a Vicenza. "Ho idee chiare su come portare il problema all'attenzione mondiale", ha aggiunto. E poi ancora un duro attacco alle ong: "Sulle ong stiamo lavorando e ho le mie idee: quello che è certo è che gli Stati devono tornare a fare gli Stati e nessun vice scafista deve attraccare nei porti italiani", ha aggiunto.

L'obiettivo di Salvini è Dublino. Non è il titolo di un thriller ma lo sbocco inevitabile della linea dura che il governo giallo-verde ha intenzione di adottare in materia di lotta all'immigrazione clandestina. Dublino, ovvero come dare una impronta "sovranista" alla questione, da tempo sul tappeto, del diritto d'asilo. La linea adottata, con scarsi risultati, dai precedenti governi, a guida Renzi e poi Gentiloni, puntava come passaggio intermedio ad una più equa ripartizione di rifugiati tra tutti i Paesi dell'Unione europea.

Passaggio intermedio, perché l'obiettivo finale era la definizione dell'asilo europeo. Una linea che sarà abbandonata dal nuovo governo che su questa materia ha la marcata impronta del neo ministro dell'Interno e vicepresidente del Consiglio Salvini. La battaglia che il titolare del Viminale intende condurre, da subito, in sede Ue, sin dalla prossima riunione a Strasburgo dei ministri dell'Interni dei Paesi dell'Unione, è quella di mettere in discussione il principio normativo secondo cui a doversi far carico dello status di migranti o rifugiati è il Paese di approdo. E sulla rotta del Mediterraneo, l'Italia è uno dei Paesi più investiti di questa perenne emergenza.

Il leader della Lega è consapevole che il percorso che intende intraprendere è lungo e irto di difficoltà, ma contestare questo meccanicismo che penalizza l'Italia, può rappresentare un punto d'immagine forte per il "governo del cambiamento". E su questo, più ancora che su materie monetarie o fiscali, che Salvini intende giocare la "carta-Savona", puntando sull'euroscettico ministro degli Affari europei per dare voce e sostanza, a Bruxelles, a l'"Italia first" che il titolare del Viminale vuole declinare sul tema che è stato centrale nella sua campagna elettorale: porre un freno all'"invasione" dei migranti. Un freno che porterà Salvini a fare la sua prima uscita da ministro e vice premier nella "trincea" più avanzata, ed esposta, della sua campagna "anti migranti": la Sicilia.

La parola d'ordine è: "A casa loro", l'aiutiamoli scompare o, quanto meno, diviene un accessorio del tutto secondario: "Ora la situazione è tranquilla perché c'è il mare grosso, ma le difficoltà arriveranno" ammette Salvini, che già domani sarà nei porti della Sicilia a monitorare gli sbarchi perché "serve un lavoro durissimo". Non si può organizzare da un giorno all'altro un maxi ponte aereo per mezzo milione di clandestini che vivono in Italia. Servono accordi coi Paesi di provenienza e soprattutto serve tempo. "Occorre identificarli e rendere subito più veloci le pratiche di riconoscimento dello status di rifugiato e solo a quel punto espellerli dal Paese.

Nel frattempo, in ogni regione, il leader della Lega vuole approntare un centro di identificazione ed espulsione per toglierli dalle strade. Salvini brucia i tempi. "Domani vado in Sicilia, è la nostra frontiera. Voglio migliorare gli accordi con i Paesi da cui arrivano migliaia di disperati per il bene nostro e loro!". Così il vicepremier arrivando alla parata del 2 giugno. Rispondendo a chi gli chiedeva quale fosse il suo primo passo da ministro, Salvini ha detto: "Domani sarò in Sicilia che è la nostra frontiera. Ci sono da migliorare accordi con Paesi da cui arrivano migliaia di disperati e non possiamo permetterci né per loro né per noi di continuare a mantenerne alcune centinaia di migliaia in Italia". Migliorare gli accordi con i Paesi di origine (e con quelli di transito): una cosa, facile, è dirlo, altra cosa, molto più complicata e onerosa, è farlo. Perché su questo versante non esistono spazi, giuridici prim'ancora che fattuali, per imporre soluzioni unilaterali. Scorciatoie in questo senso non esistono: con quei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e dell'Africa subsahariana, il titolare del Viminale deve fare i conti se vuole trasformare una efficace, almeno finora, narrazione elettorale in politiche attuative: meno migranti, più espulsioni.

Una riprova si è avuta nei giorni scorsi: una sentenza della Corte di Giustizia della Ue ha stabilito che una persona richiedente protezione internazionale - tipico il caso dei migranti - nel territorio dell'Unione non può essere rispedita da uno Stato verso un altro Paese senza il consenso di quest'ultimo.

I giudici di Lussemburgo lo hanno deciso in relazione al caso del profugo iracheno Adil Hassan, che dalla Germania, dove aveva presentato la domanda, si era spostato in Francia. Una volta giunto nel territorio dell'Esagono Hassan è stato intercettato dalle autorità transalpine, che avevano subito chiesto ai tedeschi di riprenderselo in carico. Senza aspettare il necessario placet dei germanici. Una decisione contro cui però Hassan ha presentato ricorso, chiedendo di poter rimanere in Francia. Il caso è finito di fronte alla Corte di Giustizia, che però ha emesso una sentenza destinata a fare discutere. "Dalla genesi e dall'obiettivo del regolamento Dublino III - scrivono i magistrati della Ue - emerge con chiarezza che una decisione di trasferimento può essere adottata e notificata all' interessato solo dopo che lo Stato membro richiesto abbia, implicitamente o esplicitamente, accettato di riprendere in carico tale persona". Di nuovo, Dublino. Una sentenza che le autorità italiane farebbero bene a leggere attentamente. Così come, i sostenitori, oggi al governo, di "Italia first", dovrebbero avere contezza di quali e quanti siano i Paesi di origine con cui sarà obbligatorio interagire e negoziare. Secondo l'Unhcr, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, la maggior parte dei migranti che sbarcano sulle coste italiane proviene da paesi dell'Africa subsahariana, superando moltissimi ostacoli, ultimo tra tutti, il Mar Mediterraneo che in inverno, soprattutto, è davvero molto pericoloso. Come pericolose sono le situazioni che determinano queste migrazioni. Non è solo importante capire da dove provengono queste migliaia di persone, ma anche conoscere i motivi dei flussi migratori per comprendere il perché questa gente abbandona il loro Paese d'origine.

Ecco il dossier dell'Unhcr: Nigeria: in Italia il maggior numero di migranti, il 19%, proviene da questo Paese. La situazione lì è davvero grave, soprattutto nel nord, minacciato dal terrorismo islamico di Boko Haram. Non che a sud la situazione migliori, dove persiste una guerra intestina legata al controllo dei pozzi petroliferi del Delta del Niger. Eritrea: dall'ex colonia italiana nel Corno d'Africa proviene il 13% dei migranti che sbarcano in Italia. Qui c'è una dittatura militare da cui fuggono molti giovani per evitare il militare a tempo indeterminato. Sudan: i migranti di origine sudanese sono circa del 7%. In questo Paese c'è una feroce dittatura e persiste una situazione politica e sociale gravissima. Devastata da una guerra civile ufficialmente terminata nel 2005 ma in realtà ancora esistente, il Sudan, ex colonia inglese, combatte ancora per raggiungere una sua tranquillità, purtroppo ancora molto lontana. Gambia: il 7% dei migranti in che arrivano in Italia è originario di questo Paese della costa occidentale dell'Africa, governato da Yahya Jammeh, salito al potere con un colpo di stato. La situazione è terribile: secondo le associazioni per i diritti umani nel paese si verificano rapimenti, detenzioni arbitrarie e torture ed ecco i motivi principali della fuga. Costa d'Avorio: il 7% dei migranti arriva da qui, un paese che fa da sfondo a conflitti civili interni.

Somalia: il 5% delle persone che arrivano sulle coste italiane viene da un Paese considerato uno "Stato fallito". Nell'ex colonia italiana nel Corno d'Africa continuano le lotte interne e le guerre civili in atto dagli anni '80. Percentuali minori di rifugiati provengono da Paesi come Pakistan, Afghanistan, Senegal, Mali, Ciad, Egitto e Siria. L'Italia non deve accordarsi con tutti, ma con i principali Paesi di origine, sì. Se ci si sofferma sul 2017, sempre secondo i dati dell'Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2017 sono sbarcate in Italia 119.247 persone. Un dato in netta diminuzione rispetto al 2016, quando arrivarono 181.436 persone (-34%). I Paesi di provenienza più rappresentati nel 2017 sono stati: Nigeria (16% degli arrivi, circa 18 mila persone), Guinea, Costa d'Avorio e Bangladesh (tutti tra l'8 e il 9% degli arrivi, circa 9-10 mila persone a paese). Seguono Mali, Eritrea, Sudan, Tunisia, Marocco, Senegal, Gambia. Al Viminale prima di Matteo Salvini, era entrato dalla porta principale un altro leghista: Roberto Maroni. Le sue considerazioni nascono dall'esperienza di governo: "Senza accordi con i Paesi d'origine, di rimpatri non se ne fa neppure uno!", aveva rimarcato l'ex governatore della Lombardia al Sole24Ore all'indomani del raid razzista di Macerata.

La politica dei rimpatri per Maroni – ministro degli Interni del governo Berlusconi ai tempi dell'accordo bilaterale con la Libia del colonnello Gheddafi - è invece molto ostica. Anche perché il rimpatrio deve avvenire nel Paese d'origine e non in quello di provenienza. "Significa che ci deve essere un accordo con quel Paese, altrimenti neppure possiamo atterrare....". E l'accordo è quasi sempre molto oneroso perché oltre a dover pagare il viaggio di ritorno "ti chiedono anche le spese per il reinserimento sociale! Ricordo quando a Lampedusa c'erano 800 tunisini che volevamo rispedire a casa e il governo di Tunisi pretendeva 500mila euro per ciascuno. Ovviamente respingemmo la richiesta". Se si vuole uscire dalla narrazione per entrare nella realtà, un Paese cruciale sul fronte migranti è la Libia. Un dossier caldissimo per il governo entrato in carico. "Loro sono tre anni che chiacchierano, noi siamo pronti a sostenere qualunque intervento che blocchi l'invasione: un'occupazione militare da parte degli immigrati che non scappano dalle guerre, un tentativo di sostituzione etnica organizzato e finanziato. Quindi che si sveglino, certo non sono due navi che risolvono il problema, vanno protetti i confini, occorre un blocco navale e affondare le navi degli scafisti e occorre sequestrate le navi delle ong che si rifiutano di avere polizia e controlli a bordo". Così parlava il segretario della Lega parlando ai giornalisti in vista del voto del Parlamento sulla missione navale italiana in Libia Era l'1 agosto 2017.

Tre giorni dopo, il Matteo leghista twittava: "Sequestrare le navi delle Ong che hanno chiamato, aiutato e protetto gli scafisti? No, non sequestrarle: affondarle". Dieci mesi dopo, Salvini è ministro, vice premier, uno dei due dominus del governo giallo-verde: se è restato su quelle posizioni, ci attende una estate di fuoco.

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