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Politica

Gelida accoglienza. Minniti e Maroni avvertono Salvini sui migranti. L'ex ministro dell'Interno: "Non possiamo essere l'Ungheria del Mediterraneo"

Ansa
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Nel giorno in cui il neoministro dell'Interno, Matteo Salvini, è atteso a Pozzallo, in Sicilia, luogo simbolo degli sbarchi, l'ex titolare del Viminale, Marco Minniti, avverte sui rischi legati a uno stravolgimento del lavoro messo in campo negli ultimi anni, e il governatore leghista della Lombardia, Roberto Maroni, avverte il leader del Carroccio: "Prudenza prima di dire che si rimandano a casa 100mila migranti".

Fa sentire la sua voce anche la Chiesa con il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, che in un'intervista a Qn dichiara: "L'Italia non esca dall'Unione europea e i flussi migratori non siano ridotti a "una mera questione di polizia". "Non si può pensare di risolvere i flussi migratori riducendoli ad una mera questione di polizia o addirittura di spesa pubblica. C'è molto di più", ha aggiunto Bassetti.

C'è in gioco, prima di tutto, la salvaguardia della dignità umana che è sempre incalpestabile e inalienabil

"L'Italia ha sempre coltivato il dialogo tra Est e Ovest, ma non è mai stata un Paese dell'Est al confine con l'Ovest. Non possiamo diventare un'Ungheria al centro del Mediterraneo", afferma Minniti in una lunga intervista al Corriere della Sera in cui chiede a Salvini, di non distruggere l'attuale modello anti-terrorismo e anti-sbarchi.

Ecco come Minniti guarda al nuovo governo e alle politiche sull'immigrazione:

"Quello attuale è "Il governo dell'ignoto, Il contratto, le dinamiche di costruzione della squadra, il profilo politico: tutto dà l'idea di un vuoto davanti a noi" dice Minniti, che evidenzia una "forzatura: Se Salvini e Di Maio decidono tutto, il premier arriva a incontro finito e serve solo per comunicare al capo dello Stato che c'è il governo, allora qui si delinea un punto delicato: il ruolo del presidente del Consiglio. Se il primo atto è un accordo tra capi partito, non c'è nessun cambiamento; c'è il ritorno ad antiche pratiche da pentapartito. Un pentapartito populista".

"Se prometti 50 o forse 100 miliardi di spesa, allora rischi di aver costruito un gigante delle aspettative, con i piedi drammaticamente di argilla. Senza considerare lo slittamento progressivo della collocazione internazionale del nostro Paese", avverte Minniti.

"Non penso solo all'euro. Penso all'idea di società: il pentapartito populista ha un'idea della società chiusa. Chiusa nella dimensione virtuale: il sacro blog. Chiusa nella dimensione fisica: l'idea del confine come separazione dagli altri. La nostra identità contro quella altrui. Tutto questo può portare allo slittamento di valori e di funzione del nostro Paese".

Per l'ex ministro, "la sinistra deve contrastare tutto questo, evitando di cadere in due riflessi condizionati. Fare i vedovi del governo: a ogni dato positivo, rievocare quel che avevamo fatto noi; la trappola della nostalgia. E pensare che il ritorno all'opposizione consenta in modo automatico di recuperare il consenso perduto. Matteo Renzi "ha commesso errori e credo ne sia consapevole. Ora è di fronte a un bivio. Un leader può anche cadere, e nel tempo può anche rialzarsi. Un capo corrente è più difficile che cada, ma se cade non si rialza. Sopravvive. Liberiamoci però dall'idea che le colpe siano sempre dell'altro. La sinistra ha vissuto una rottura sentimentale nel rapporto con il Paese".

Parlando di Salvini e dei respingimenti promessi, Minniti sottolinea:

"E come si fa? I flussi migratori non si possono cancellare; si possono governare. È quel che abbiamo fatto. Siamo all'undicesimo mese consecutivo di riduzione degli arrivi. Rispetto al primo luglio del 2017 sono arrivati 122 mila migranti in meno".

Quanto ai rimpatri di massa, l'ex ministro dell'Interno è perentorio:

"Furono un punto dirimente della campagna elettorale del centrodestra nel 2001. Finì con la più grande sanatoria della storia: circa 600 mila clandestini divennero regolari".

Maroni, dal canto suo, in un'intervista a Repubblica, sottolinea:

"L'immigrazione è un tema complicato. Rimandare a casa i migranti non è così semplice. Devono essere rimandati nei Paesi di origine, non di provenienza. Con la Tunisia è facile, non con la Libia. Consiglierei prudenza, prima di dire 'ne rimandiamo a casa 100mila".

Chi siede al Viminale, osserva Maroni, "non deve fare grandi annunci e fare troppo il politico", motivo per cui, spiega, al neo ministro "ho posto il problema dell'opportunità di fare il ministro e, insieme, il segretario federale della Lega", visto che stare alla guida dell'Interno "vuol dire stare in ufficio dalle 9 del mattino alle 21 di sera". E soprattutto visto che "quel rango richiede una riservatezza che altri ruoli non richiedono", poiché il ministro dell'Interno "è il responsabile unico della sicurezza nazionale, non pu mettersi a fare proclami tutti i giorni, cosa che invece farà Di Maio".

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