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Politica

Contratto di governo Lega-M5s: più lontano il mondo dei sogni

Tony Gentile / Reuters
Tony Gentile / Reuters 

Il realismo irrompe nella narrazione gialloverde. Luigi Di Maio, di fronte alla platea di Confcommercio, si impegna solennemente a sterilizzare l'Iva, evitando che scattino le clausole di salvaguardia. È una mossa ad alto impatto politico. E non solo perché certifica che il cuore pulsante del nuovo governo non batte a palazzo Chigi. In due giorni di dibattito in Aula sulla fiducia, il professor Conte, nel suo sfoggio di vaghezza programmatica, non ha mai neppure nominato il dossier (l'Iva appunto). Come non ha nominato, tenendoli nell'indefinitezza delle intenzioni, i punti programmatici a maggior impatto di spesa, come la flat tax e il reddito di cittadinanza.

Ecco, l'impegno Di Maio, questo il punto, prefigura già un rinvio dei principali cavalli di battaglia delle due forze di governo: il reddito di cittadinanza, la flat tax, quota cento per le pensioni. Almeno per il primo anno di governo, di qui alle Europee. Perché, semplicemente, troppo costosi. Un po' di numeri, per capire: solo la sterilizzazione dell'Iva costa 12,4 miliardi a cui aggiungere i 19 per il prossimo anno; poi ci sono le cosiddette indifferibili più i dieci miliardi richiesti nelle ultime raccomandazioni dell'Ue, sui cui si misurerà l'abilità negoziale del nuovo governo. Numeri che configurano già una manovra economica di 20-25 miliardi. E non è un caso che il ministro del Tesoro, consapevole della delicatezza della fase, ancora non ha pronunciato una sola parola, anzi ha smentito – come riporta la Stampa – i contenuti di un articolo in cui aveva minimizzato l'impatto degli investimenti in defùicit sul debito stesso. Segno di una grande prudenza, perché i margini di manovra si stanno assottigliando. Detta in modo brutale: in Europa puoi sbattere i pugni sul tavolo quanto vuoi, ma poi, ammesso che convinci i partner, devi convincere i mercati sul deficit. Operazione più complicata ora che, per la prima volta, Francoforte parla della fine del piano Draghi a fine anno. È quel piano che ha contribuito a tenere bassi i tassi di interesse e all'Italia ha consentito di risparmiare 70 miliardi negli ultimi tre anni. Sarà complicato per il nostro paese aumentare il deficit senza lo scudo protettivo su cui ha contato finora in un quadro di rialzo dei tassi di interessi.

In questo contesto si comincia a capire la cornice entro cui si muoveranno Di Maio e Salvini. Che consiste nel rinvio "di fatto" delle riforme più costose senza dirlo, anzi coprendolo nell'effervescenza verbale e in una raffica di provvedimenti a costo zero, durante una campagna elettorale per le europee lunga un anno: vitalizi, giustizia, daspo, legittima difesa, pensioni d'oro. Prima della finanziaria del 2019 il reddito di cittadinanza difficilmente vedrà la luce ma il rinvio sarà presentato come un work in progress, come Di Maio ha già iniziato a fare sostenendo che prima vanno riformati i centri dell'impiego. L'idea è di potenziare, in modo non ben precisato, con due miliardi l'anno quei 556 centri che, ad oggi, costano 600 milioni, impiegano 8mila persone e danno lavoro a meno del tre per cento delle persone che vi si rivolgono. Praticamente servono solo a creare dipendenti dei centri medesimi.

E non è sfuggito che il professor Conte – chissà se è stato un lapsus o una consapevolezza – nel suo discorso alla Camera ha parlato non di reddito di cittadinanza ma, più semplicemente, di reddito di inclusione. Misura di contrasto alla povertà che c'è già c'è e costa tre miliardi. Si può potenziare, presentandola con l'abilità delle parole come una tappa di avvicinamento al reddito di cittadinanza, un po' come accaduto, maldestramente, qualche giorno fa quando la Lega ha annunciato una flat tax per le imprese che già c'è. Si chiama Ires – prima si chiamava Irpeg – e i precedenti governi l'hanno portata dal 27,5 al 24 per cento. Puoi limare qualcosa, tanto per dare qualche segnale fiscale, ma è chiaro che, così come sbandierata, la riforma è infattibile, dismesse le tentazioni di un "piano B" di sforamento e uscita dall'euro. E infatti Bagnai ha parlato di un rinvio, per la parte sulle famiglie.

Anche in questo caso, dopo le Europee. Perché il disegno è chiaro: un anno di campagna elettorale, a colpi di riforme bandiera e a costo pressoché zero, rinvii di fatto sapientemente presentati come inizi di un percorso di "cambiamento", per finire di "svuotare" cioè che resta delle due opposizioni. E a quel punto, con la forza dei nuovi numeri e del vento che soffia in tutta Europa, imprimere la sterzata "sovranista". In questo quadro europeo la flessibilità che si può ottenere consente di evitare l'aumento dell'Iva e poco più. Misura che, altrimenti, porterebbe sotto palazzo Chigi i forconi di artigiani, commercianti e imprenditori. Di fatto, Di Maio (e Salvini che sull'Iva è d'accordo) davanti alla Confcommercio ha scritto la manovra. Iniziando ad rinviare il libro dei sogni e le velleità del tutto e subito.

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