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Economia

Le Fondazioni fanno la voce grossa su Cdp: il governo non la faccia diventare una banca

Ansa
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Non abbiamo una banca, né possiamo averla pena la perdita delle ricche partecipate industriali. Questo il messaggio subliminale che parte dal cuore della Cassa depositi e prestiti diretto ai piani alti di Palazzo Chigi e dintorni. Entro una settimana i nuovi inqulini del potere dovranno scoprire qualche carta sui destini del "forziere finanziario" pubblico, non solo sui nomi da mettere alla cabina di pilotaggio, ma anche sul suo ruolo. Gli annunci fatti in campagna elettorale, l'indicazione nel programma grillino di una grande banca di pubblica per le famiglie e le piccole imprese, l'idea del ministro "ombra" (rimasto ombra) Andrea Roventini sul ruolo importante della Cassa per lo sviluppo e l'investimento in infrastrutture lasciano intendere che per il nuovo governo (come per i suoi predecessori) via Goito sarà il braccio esecutivo delle politiche economiche. Ma non si nasconde il timore che si voglia stravolgere la mission di una istituzione già ampiamente riformata, che certamente possiede le leve per dare una spinta all'economia (nell'ultimo triennio ha avuto un impatto pari a 2,3 punti di Pil), ma a condizione che agisca all'interno dei "paletti" imposti da leggi e regolamenti. Altrimenti salta tutto.

"Se vogliono mettere a rischio il risparmio degli italiani, o fare cose strane, le fondazioni dicono no a tutto questo", avverte Giuseppe Guzzetti, storico presidente dell'Acri, dal podio del congresso dell'associazione delle fondazioni, azioniste della Cassa al 15%, ma soprattutto con forti poteri di blocco. In quelle "cose strane" per Guzzetti rientrano gli investimenti in aziende in crisi, decotte, che metterebbero a rischio il risparmio (ipotesi sventata dai vertici uscenti su Alitalia). Ma un altro fantasma si aggira attorno alla Cdp: l'idea di un grande attore pubblico del credito. Su questa idea la replica di Guzzetti è gelida. "Abbiamo letto il contratto di governo, io per dovere l'ho letto, e ascoltato le dichiarazioni del premier ma non abbiamo in mano nessun documento di nessun genere. Impostazione del contratto è programmatica, poi si vedrà come si traduce". E ancora, sull'idea di una Banca del Mezzogiorno avviata da Giulio Tremonti, Guzzetti osserva: "Se la sono poi palleggiata (oggi l'istituto è di Invitalia, ndr), io dissi all'epoca di non farla. Piuttosto serve far funzionare bene le banche esitenti". Insomma, che sia la Cdp, o il Montepaschi controllato da Cdp, l'idea di una banca pubblica non passa.

Anzi, la sola ipotesi fa alzare più di un sopracciglio agli addetti ai lav ori. I "paletti" imposti alla Cassa sono chiari. Il suo Statuto, e il decreto del Ministero del Tesoro che individua i settori stategici. In questi documentio c'è scritto quello che puà fare, nella legislazione europea c'è quello che non puà fare. Come gli aiuti di Stato, vietati dalla normativa sulla concorrenza, e agire come intermediario bancario, in quanto holding industriale. Se davvero si volesse inserire tra le partecipate Mps, si dovrebbe rinunciare a tutte le partecipazioni (pesantissime) della Cassa: da Eni a Saipem, da Open Fiber alle reti. In questo la legislazione europea è netta: non puà esserci commistione tra attività bancaria e industriale.

Questo non vuol dire certamente che la Cassa non possa agire nel settore del credito. Lo ha già fatto partecipando ai Fondi Atlante, chiamati a sviluppare un mercato dei crediti deteriorati. Dunque, come soggetto di mercato, l'intervento c'è stato. Ma certo non come intermediario del credito retail, condizione che prevede uno status molto diverso, con diversi organismi di controllo e vigilanza e particolari requisiti patrimoniali.

La partita sulla "Cassa del cambiamento" la giocheranno i nuovi vertici. Il presidente Claudio Costamagna e l'ad Fabio Gallia, ambedue scelti da Matteo Renzi, hanno deciso di lasciare il campo. Indiscrezioni insistenti danno in arrivo Massimo Tononi alla presidenza, anche se l'Acri deciderà la prossima settimana in una riunione plenaria. Massimo Sarmi, ex Poste, e dell'attuale direttore finanziario di Cdp, Fabrizio Palermo sono indicati dai rumors per la carica di capoazienda. In ogni caso l'esperienza dei loro predecessori dimostra che anche con i "paletti legali" la Cassa può far molto: nell'ultimo triennio l'Istituto ha immesso 162 miliardi nel sistema (di cui 92 propri), producendo un aumento di investimenti in imprese e infrastrutture del 9,2% e la creazione di 490mila posti di lavoro.

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