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Esteri

Putin prima snobba e poi apre alle avances di Trump

Getty Images
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Trump lo vorrebbe riammettere al consesso del "nuovo G8". Il governo gialloverde italiano fa il tifo per lui, anche per difendere la nostra bilancia commerciale, il che è tutt'altro che un "delitto" politico. Nel tormentato Medio Oriente, è il "Garante" di una "pax siriana" che mantiene, per il momento, al potere il rais di Damasco, Bashar al-Assad, ma al contempo ne limita le ambizioni, e, in aggiunta, conferma l'alleanza con l'Iran ma al tempo stesso rassicura Israele per ciò che concerne la non presenza dei pasdaran iraniani e dei loro sodali libanesi, gli hezbollah, nelle strategiche Alture del Golan. Comunque la si giri, la realtà è sotto gli occhi di tutti: il "Garante" di una stabilizzazione globale è Vladimir Vladimirovič Putin, presidente della Federazione Russa.

Lo "Zar Vladimir" è l'unico, tra i leader mondiali, che oggi può scegliere. E lo fa anche stavolta, facendo il prezioso, chiudendo, prima, e aprendo poi. Ecco allora la prima risposta alle avances di The Donald: "Non ci interessa", è stata la gelida replica del presidente russo, impegnato a Pechino in uno strategico vertice con il presidente cinese Xi Jinping. "Siamo concentrati su altri format", è stata la versione ufficiale del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, modo educato per chiarire come la priorità russa sia quella di rafforzare i legami con la Cina e l'Asia, con fini commerciali, militari e strategici. Salvo poi, dichiararsi possibilista: Putin dice che gli incontri con Donald Trump a margine dei summit internazionali sono stati "utili" ma che ora servono veri negoziati. "Trump – ha affermato il capo del Cremlino in un'intervista a Rossiya-1 - sta mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale: migliorare i rapporti con la Russia era una di queste. Io spero che accada e noi siamo pronti: ora la palla è nella metà campo americana".

"L'unica domanda - ha aggiunto - ora è se la situazione politica interna negli Usa lo permetterà". Il presidente russo e il suo omologo americano hanno discusso della possibilità di incontrarsi a Vienna per un prossimo summit bilaterale, annuncia il portavoce del Cremlino. "Spesso vengono prese in considerazione diverse città come fattibili per un incontro tra i due presidenti. Voi sapete che entrambi i presidenti hanno discusso della reale necessità di un tale incontro nelle loro ultime conversazioni telefoniche. Compreso il fatto che Vienna possa essere la città" del summit, ha detto il portavoce alla stampa, aggiungendo che però "non ci sono concreti accordi, intese, non ci sono concrete discussioni in corso al riguardo in questo momento", puntualizza Peskov.

Il ruolo di "Garante", Putin intende svolgerlo sul quadrante-mondo. In Medio Oriente, si è detto. Ma anche sul trentottesimo parallelo. Il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in visiterà la Russia dal 21 al 23 giugno, secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa Yonhap che ha citato l'amministrazione presidenziale sudcoreana. Moon dovrebbe tenere un incontro con il presidente russo Vladimir Putin — il terzo dopo il vertice del G20 ad Amburgo a luglio e il Forum economico orientale a settembre. Al centro del dialogo, secondo il portavoce sudcoreano Kim Eui-kyeom, ci sarà l'aumento della cooperazione con la Russia, la denuclearizzazione della penisola coreana e il raggiungimento della pace. In attesa, neanche troppo frenetica, di un possibile incontro con Trump, Putin rinsalda l'asse orientale.

"La cooperazione con la Cina è una delle priorità della Russia e ha raggiunto un livello senza precedenti", rimarca detto il presidente russo durante la sua visita a Pechino, dove ha incontrato il leader cinese Xi Jinping. E' lui, "Vladimir d'Arabia", il dominus di una futura "Jalta mediorientale". Tutto sembra giocare a suo favore. Putin unisce laddove Trump divide. La comunità internazionale legge i conflitti aperti in Medio Oriente come Sunniti contro Sciiti? Ecco, "Vladimir d'Arabia" scompaginare i giochi e riunire, in un vertice a tre, il presidente della Turchia, Recep Tayyp Erdogan (sunnita) e il presidente del più grande Stato sciita, l'Iran, Hassan Rohani. Ma sarebbe ingeneroso, oltre che errato, imputare al solo Trump l'emergere della Russia putiniana come asse centrale nella geopolitica mediorientale. Una parte di responsabilità, e non marginale, l'ha il predecessore del tycoon miliardario: Barack Obama, con la sua determinazione ad azzerare la presenza militare statunitense in Medio Oriente senza preoccuparsi del vuoto lasciato e di chi poteva riempirlo. Di fronte all'incedere delle Primavere arabe e della crisi di vecchi e fedeli alleati, come il presidente egiziano Hosni Mubarak, Obama decise di non decidere. E questo fu un messaggio devastante per i rais della regione: l'America ci lascerà soli. E allora, è meglio guardare verso Mosca. Perché lì regna un Presidente che le scelte le fa e le porta fino in fondo. Così è accaduto in Siria.

Mentre gli Usa provavano ad armare una parte dei ribelli anti-Assad, Putin, assieme all'alleato iraniano, sceglie di puntellare il regime alauita e, nel frattempo, convincere il presidente-generale egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, come il turco Erdogan, che lui gli alleati non li lascia in braghe di tela ma anzi li arma, li sostiene al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, delinea con loro possibili spartizioni territoriali e di ricchezze naturali. Armi e affari: è la ricetta di Putin. Che fin qui ha pagato. Dopo aver vinto la guerra, ora è tempo di edificare la "pax russa". Non da solo, ma con il benevolo coinvolgimento di altri leader regionali. Dell'Iran, si è detto. Così come della Turchia. Ora, Putin guarda al Paese delle Piramidi e al suo presidente, l'ambizioso al-Sisi .

Geopolitica e affari: anche sul fronte egiziano. Una miscela che paga. Dal recente vertice Putin-al-Sisi emerge l'intesa sull'inizio della costruzione della centrale nucleare di El Dabaah, dopo che le parti avevano firmato un accordo cui l'agenzia atomica russa Rosatom si era impegnata a fornire all'Egitto un prestito che avrebbe coperto l'80% del costo di realizzazione. Rosatom, costruirà i quattro reattori, e nell'arco di 60 anni fornirà il combustibile nucleare per poi decommissionare l'impianto. Sarà Mosca, in base all'accordo, a provvedere al finanziamento del progetto con un prestito di 25 miliardi di dollari. Complessivamente, Putin ha portato al suo omologo egiziani un "dono" (in affari e finanziamenti) di 30 miliardi di dollari. E questo mentre, lo scorso agosto, gli Usa avevano bloccato l'erogazione di 95,7 milioni di dollari in aiuti all'Egitto.

Nel Vicino Oriente sicuramente Putin non lascerà degenerare la crisi politica in cui è scivolata l'Armenia. Mantenendo allo stesso tempo un legame speciale con Ilham Aliyev, signore dell'Azerbaigian. "La strategia di Putin è finalizzata a mettere in discussione la sistemazione post-guerra fredda dominata dagli Usa e a rimpiazzarla con un sistema internazionale basato sul primato delle grandi potenze e sulle egemonie regionali", annota Philp Stephens, editorialista di punta del Financial Times. Un sistema che guarda all'Europa. Putin sa perfettamente che la partnership con l'Europa è fondamentale. A livello economico, la Russia vive di esportazione di idrocarburi. E il mercato europeo è ricchissimo. L'unilateralismo di Trump può giocare a favore di un riavvicinamento dell'Europa al Cremlino.

Intervistato dalla compagnia radiofonica e televisiva austriaca Orf, prima della sua recentissima visita ufficiale a Vienna, il presidente russo è stato molto chiaro: "Per noi non esiste l'obiettivo di creare un cuneo tra paesi dell'Unione Europeatra i Paesi dell'Unione europea. Al contrario, siamo interessati a un'Unione unita e prospera, in quanto l'Ue è il nostro partner economico e commerciale più importante". Nei giorni scorsi, il "numero due" del governo austriaco, il leader di estrema destra, Heinz-Christian Strache, ha chiesto che si tolgano le sanzioni a Mosca, imposte dall'Unione europea e altri Paesi occidentali dopo l'annessione della Russia della penisola ucraina di Crimea nel 2014. Putin ha ricordato che la Russia ha mantenuto fino al passato recente almeno una ventina di meccanismi di cooperazione e dialogo, che per il momento sono sospesi: da anni la cooperazione con l'Europa è "virtualmente congelata", ma - ha detto - Mosca è "aperta e pronta" a riprendere a lavorare insieme. "Ripristinare il pieno formato della nostra cooperazione è non solo negli interessi della Russia, ma anche dei nostri amici europei".

D'altro canto, Putin sa di giocare in attacco di fronte ad una Europa costretta sulla difensiva dalla "guerra dei dazi" scatenatale contro dal sovranista della Casa Bianca. "I dazi Usa su acciaio e alluminio sono di fatto sanzioni" a Europa, Canada e Messico, aveva sostenuto ieri il capo del Cremlino nel corso della Linea Diretta. col presidente trasmessa dalla tv russa. "I nostri partner pensavano che non sarebbero mai stati colpiti da questa politica controproducente legata a restrizioni e sanzioni ma ora vediamo cosa sta accadendo: l'introduzione dei dazi su acciaio e alluminio, non solo per l'Europa ma anche per Canada e Messico, sono sanzioni, anche se in altri termini". E ancora: "Le sanzioni, le accuse continue verso di noi, sono tutti metodi per contenere la Russia perché l'Occidente vede la Russia come una minaccia, un avversario. Ma questi metodi non sono nell'interesse di nessuno, solo col dialogo e la cooperazione si può avanzare l'economia mondiale. Ora però qualcosa si muove poiché alcuni nostri partner in Europa iniziano a dire che serve cooperare con la Russia". E tra questi partner c'è l'Italia e il suo governo gialloverde.

Di certo, "l'apertura alla Russia" auspicata da Giuseppe Conte nel suo discorso per la fiducia in Senato non è passata inosservata al Cremlino. "L'Italia non rischia invasioni russe, ma "altri tipi di aggressioni", ha ribadito Matteo Salvini. "Riguardo a un possibile veto sulle sanzioni alla Russia dobbiamo ragionarci. In Europa almeno a parole qualcosa sta cambiando. Siamo una squadra. Lasciateci partire, ma sulle sanzioni abbiamo le idee chiare", ha aggiunto il ministro degli Interni e vice premier. Dichiarazioni, quelle di Salvini, che hanno fatto seguito ad incontro riservato a Villa Abamelek (dove era in corso il ricevimento) con l'ambasciatore russo in Italia, Sergej Razov, in cui, secondo indiscrezioni, il discorso sarebbe ruotato attorno alla questione delle sanzioni. Che il governo gialloverde sia per la loro abolizione, è cosa risaputa. Ma altra cosa, e che cosa, è che Roma pensi di esercitare il diritto di veto in sede Ue. In nome di "Italia first" e dell'amico Vladimir.

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