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Esteri

Dal Patto di Parigi fra Macron e Conte sugli hotspot europei resta fuori la Libia

Conte-Macron: la conferenza stampa integrale

La Libia resta fuori dal "patto di Parigi". Italia e Francia concordano nella realizzazione di hotspot europei nei Paesi di origine e sul rafforzamento della missione navale Frontex (ma su questi due punti un passaggio decisivo sarà il Consiglio europeo di fine giugno a Bruxelles). Ma in questa strategia resta fuori un paese cruciale nel contrasto al traffico di esseri umani: la Libia.

La ragione ufficiale, hanno ribadito fonti presenti al vertice di ieri tra il premier italiano Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron, è che non esistono le condizioni di sicurezza per realizzare hotspot sul territorio libico. Fuori dall'ufficialità, emergono le ragioni vere che fanno della Libia un caso a parte, che Parigi vuole gestire in proprio. Questa determinazione depotenzia, almeno in parte, la portata dell'intesa franco-italiana. Perché la Libia è sempre più centrale nella "rotta mediterranea" e perché tagliarla fuori dalle strategie degli hotspot "a casa loro" significa affidarsi alla "chiacchierata" Guardia costiera di Tripoli e, soprattutto, continuare a dipendere dalle pretese di milizie e tribù che controllano le aree costiere da dove partono le carrette del mare.

La Libia è "cosa nostra", hanno inteso riaffermare i francesi, l'Italia può accodarsi ma a dare le carte siamo noi. Un misto di arrogante grandeur e di pericoloso velleitarismo: perché nella partita libica i player esterni sono molteplici e tutti agguerriti. Per non parlare dei signori della guerra interni in lotta tra loro per conquistare il centro della scena. E dei pozzi petroliferi.

L'autoproclamato Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar ha annunciato di aver lanciato raid aerei contro i gruppi armati che venerdì hanno attaccato i siti petroliferi nell'Est del Paese. Un portavoce ha detto che gli attacchi aerei sono stati mirati contro rinforzi pronti a unirsi ai "gruppi terroristici". Combattimenti sarebbero ancora in atto nei pressi di Ras Lanuf e Sidra. I miliziani anti-Haftar della Libia centrale e orientale avevano lanciato un attacco a sorpresa ai terminal petroliferi nella cosiddetta Mezzaluna del petrolio, che va da Sirte ad Ajdabiya. Le Brigate di difesa di Bengasi, una alleanza di gruppi islamisti sconfitti dal generale negli anni passati, e la Guardia petrolifera del signore della guerra Ibrahim Jadran si sono coalizzati per riprendere i porti, di grande valore strategico ed economico, mentre l'Esercito nazionale libico dell'uomo forte dell'Est è impegnato nell'assalto a Derna, l'ultima città in mano agli islamisti in Cirenaica. Uno sviluppo che porta ulteriore instabilità nel Paese, alle prese con l'emergenza dei migranti, e impegnato a tenere nuove elezioni il prossimo dicembre. E l'uomo-forte della Cirenaica può godere del sostegno francese e di quello, non meno importante, dell'Egitto.

E così, l'Italia dovrà fare i conti, da sola, con una pressione-migranti che ha l'acre sapore del ricatto. "Come voi sapete - ha detto nei giorni scorsi un portavoce delle milizie libiche - nei nostri campi ci sono 52.031 potenziali richiedenti asilo da Siria, Sudan, Palestina ed Eritrea. Se partono, dovreste prenderveli tutti. Meglio, quindi, che non partano": più che un consiglio, è una, neanche troppo larvata, minaccia.

Su un punto, il primo ministro del governo di Tripoli, Fayez al-Serraj e il suo maggior competitore, il generale Haftar, convergono, come hanno avuto modo di constatare emissari della nostra ambasciata a Tripoli che li hanno incontrati recentemente: il flusso di denaro aperto dagli accordi "sotterranei" tra il precedente governo italiano (con il ministro Minniti sugli scudi) e le tribù e milizie, in gran parte legate ai due contendenti libici, non si deve arrestare. Senza quei soldi, sarà esodo forzato di massa dei "potenziali richiedenti asilo oggi "contenuti" nei 34 centri di detenzione in Libia.

Nei giorni scorsi l'Italia ha messo una riserva formale sul bilancio dell'Unione europea, chiedendo alla commissione garanzie che vi siano soldi sufficienti e disponibili per il Fondo per l'Africa, lo strumento finanziario usato per i progetti comunitari con la Libia. Non solo soldi: da Tripoli vogliono anche armi per sostenere la Guardia costiera. Per questo, chiedono che l'embargo sia levato. Richiesta che il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha recentemente bocciato, confermando per almeno un altro anno l'embargo. E la Francia ha avuto un ruolo primario in questa determinazione. E così, gli hotspot europei in Libia possono attendere. Parigi non si dispera. L'Italia si preoccupa.

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