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Esteri

Come il sovranista assoluto Erdogan ora rafforzerà i disegni neo-ottomani in Medio Oriente e in Europa

Umit Bektas / Reuters
Umit Bektas / Reuters 

Ora che l'azzardo finale è riuscito. Ora che il "Sultano" è diventato, grazie al voto, il Presidente-padrone della Turchia, una cosa è certa: Recep Tayyp Erdogan rafforzerà i disegni neo-ottomani su un duplice versante: nel Grande Medio Oriente e, attraverso le comunità turche, in Europa. Può non piacere, ma una cosa è certo: Erdogan non ha vinto. Ha stravinto. Perché ha superato l'ostacolo più difficile dei suoi 15 anni di potere, non solo confermandosi presidente al primo turno (53% dei voti), ma anche conquistando con la coalizione guidata dal suo partito Akp, in cui figuravano gli ultra-nazionalisti dell'Mhp, la maggioranza assoluta in Parlamento (343 su 600).

Per la prima volta nella storia della Turchia, le elezioni presidenziali si sono svolte contemporaneamente a quelle legislative. Erdogan ha vinto la sua scommessa e il successo elettorale gli consente la definitiva trasformazione del sistema politico del Paese. Grazie al referendum approvato nell'aprile del 2017, che trasforma la Turchia in una Repubblica presidenziale, Erdogan si troverà a governare un Paese con poteri quasi assoluti e con un Parlamento accondiscendente, pronto ad esaudire le sue richieste.

Non avrà più a che fare con un premier, perché la sua figura è stata rimossa. E potrà contrare su un Gabinetto di ministri non obbligato a rispondere al Parlamento. Erdogan potrà inoltre piazzare i suoi uomini nelle cariche strategiche: avrà infatti l'autorità per nominare i membri del Consiglio Superiore della Magistratura, i pubblici ministeri, e sarà anche in grado di emanare ordini esecutivi (non però in materia di diritti fondamentali e diritti politici). Potrà perfino restare capo del suo partito e scegliere i candidati al Parlamento. Avrà una serie di poteri anche sul budget.

"Il nostro popolo mi ha assegnato la presidenza e un ruolo esecutivo. Spero che nessuno tenti di cancellare il risultato delle elezioni per mascherare il proprio fallimento", ha detto Erdogan nel discorso della vittoria a Istanbul, prima che i risultati ufficiali venissero annunciati. Dal quartier generale del suo partito, l'Akp, ad Ankara, il Presidente-padrone elenca i punti-cardini del suo programma imperiale.

Lotta contro le organizzazioni terroristiche: Erdogan ha affermato che il suo governo "agirà con ancora più decisione" contro le organizzazioni terroristiche.

Continua l'impegno per liberare la Siria: la Turchia "continuerà a liberare le terre siriane" affinché, ha detto Erdogan, il popolo siriano possa fare ritorno a casa.

Il prestigio internazionale turco: in un tripudio di folla, Erdogan ha aggiunto che la Turchia è una democrazia che deve fare da "esempio per il resto del mondo". "La Turchia ha deciso di prendere le parti della crescita, dello sviluppo, dell'investimento, dell'arricchimento: un Paese rispettabile e onorabile e influente in tutte le aree del mondo". "Non ci fermeremo finché non avremo portato la Turchia, che abbiamo salvato dai complottisti, dal colpo di stato e dai "cecchini" dell'economia, dalle gang di strada e organizzazioni terroristiche, tra le 10 economie del mondo".

Al Presidente-padrone, l'orizzonte nazionale ormai va decisamente stretto. In politica internazionale, potrà portare avanti la sua campagna militare nel nord della Siria volta a liberare le regioni a ridosso del confine turco dalla presenza delle milizie curdo siriane (le Ypg). Si sentirà libero di rafforzare i rapporti non solo con la Russia, ma anche con l'Iran. Il suo alleato di governo, il partito ultranazionalista Mhp, chiederà probabilmente un inasprimento della campagna contro i curdi. I disegni imperiali neo-ottomani guardano ad Oriente e all'Africa.

S'inquadrano in questa strategia penetrazione neo-ottomana, le recenti missioni in Africa, che hanno portato Erdogan in Algeria, Mauritania, Senegal e Mali. n, che nel continente aveva costruito una presenza significativa. Già negli ultimi due anni Erdogan aveva fatto dei viaggi con più tappe in Africa, continente con cui nell'ultimo decennio la Turchia ha aumentato notevolmente il suo interscambio e rafforzato la cooperazione anche in campo diplomatico e militare.

Gli occhi del "Sultano" sono da tempo puntati anche sulla Libia e sui ricchi giacimenti petroliferi della Cirenaica. Per questo Erdogan si è fatto sostenitore del generale Khalifa Haftar, l'uomo-forte di Bengasi, entrando di fatto in rotta di collisione con il premier di Tripoli, Fayez al-Serraj. Erdogan tratta alla pari con Putin, stringe un'alleanza di ferro, lui sunnita, con l'Iran sciita, sul fronte siro-iracheno. Con l'Europa si fa garante, a suo di miliardi di euro, delle frontiere esterne, usando abilmente le comunità turche come "arma" di pressione, soprattutto per quel che riguarda la Germania. Può non piacere, ma il Presidente-padrone turco è oggi un protagonista della scena internazionale.

Quanto alla Siria, Erdogan non nasconde più suo obiettivo strategico: realizzare un protettorato ottomano nel Nord-Est della Siria, spacciato per una fascia di sicurezza, facendolo gestire dagli alleati dell'Esercito libero siriano.

Forte del successo elettorale di ieri, Erdogan rilancerà la sua sfida a Israele, nel nome di "Al Quds" (Gerusalemme). Le basi, Erdogan le ha gettate con il suo durissimo discorso di apertura al vertice straordinario dell'Oci (Organizzazione della conferenza islamica) su Gerusalemme (Istanbul, 13 dicembre 2017). In quel discorso, il presidente turco non ha inteso parlare tanto ai 57 rappresentanti di Paesi e organizzazioni musulmani presenti al summit, quanto ad un mondo di 1,5 miliardi di persone, per le quali più che capitale di uno Stato che non c'è, la Palestina, Gerusalemme, con la Spianata delle moschee, è il terzo luogo santo dell'islam, dopo Mecca e Medina. In un sol discorso, Erdogan ha inteso farsi paladino della causa palestinese e Difensore della santa al-Quds. "Israele è uno Stato occupante e terrorista, i suoi soldati sono terroristi che uccidono bambini di 10 anni e li arrestano", sentenzia Erdogan.

Sultano, Saladino, Presidente-padrone... Variano le definizioni, resta la sostanza: tra Trump e Putin, il mondo deve fare i conti con il sovranismo imperiale targato Erdogan.

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