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Esteri

Il Golan "polveriera pronta a esplodere". Israele valuta il richiamo parziale dei riservisti

MOHAMAD ABAZEED via Getty Images
MOHAMAD ABAZEED via Getty Images 

Oltre 270mila disperati in fuga che premono alle frontiere. I mezzi corazzati di Tsahal fatti affluire in Alta Galilea mentre dall'altro lato del confine prosegue l'offensiva russo-assadiana contro i ribelli. Una "polveriera pronta ad esplodere": è il Golan.

A Gerusalemme si respira un clima da pre-guerra. Sul tappeto, confidano ad HuffPost fonti governative dello Stato ebraico, c'è la possibilità di un richiamo parziale dei riservisti. Un presunto deposito di armi degli Hezbollah libanesi è stato colpito e distrutto da raid aerei attribuiti a Israele nel sud-ovest della Siria, secondo quanto riportato dalla tv panaraba al Jazira edita dal Qatar. L'emittente precisa che il raid, di cui ancora non vi sono conferme su altri media, è stato compiuto nella regione di Daraa, investita da due settimane dall'offensiva governativa siriana e russa contro milizie siriane anti-regime. L'attacco è avvenuto nei pressi della cittadina di Mahja, lungo l'autostrada che collega Damasco a Daraa. Sui social media sono apparse poco fa immagini, non verificabili in maniera indipendente, di una densa colonna di fumo che si leva dalla località colpita.

Nei giorni scorsi, l'esercito israeliano ha aumentato il suo schieramento al confine con la Siria inviando ulteriori tank e cannoni. Ad annunciarlo è stato il portavoce militare delle Idf, le Forze di difesa israeliane, spiegando che ad essere rafforzato è stata la 210/a Divisione Bashan che è a guardia delle Alture del Golan." E' stato fatto - ha spiegato - come parte dei preparativi dell'esercito visti gli sviluppi nelle Alture del Golan siriane vicino al confine".

Dall'altra parte della frontiera è in corso nella zona l'offensiva dell'esercito di Assad e delle forze russe contro i ribelli. L'esercito israeliano ha ribadito di essere pronto "a una ferma risposta" ad ogni colpo deliberato o accidentale che colpisca Israele dal territorio siriano. Da tempo Israele ha avviato una guerra di bassa intensità in Siria. Bassa ma crescente. Ormai gli attacchi israeliani sulla Siria si svolgono con cadenza regolare, sempre più frequenti a partire dal primo attacco statunitense contro il territorio siriano, nell'aprile 2017 quando 57 missili Tomahawk lanciati dall'aviazione Usa colpirono la base siriana di Shayrat, lungo la costa mediterranea. Da allora il ruolo israeliano è ulteriormente cresciuto, prendendo di mira non più soltanto postazioni del movimento libanese Hezbollah, ma presunti siti militari iraniani, vero obiettivo della guerra a distanza di Israele contro l'asse sciita.

Il 9 aprile scorso missili israeliani provocarono la morte di sette soldati iraniani di stanza nel centro della Siria, a maggio Tel Aviv lanciò una pioggia di missili su decine di siti militari siriani in tutto il paese dopo il lancio di alcuni razzi verso il Golan siriano occupato. Un attacco che il ministro della Difesa israeliano Lieberman rivendicò affermando che Tel Aviv aveva così distrutto buona parte delle infrastrutture iraniane in Siria.

Fino alla scorsa settimana quando si è assistito all'ennesimo "salto di qualità": raid israeliani hanno colpito nella provincia di Deir Ezzor la base militare di al-Hari, al confine con l'Iraq uccidendo 52 combattenti filogovernativi tra cui 22 iracheni. Non era mai accaduto prima che Israele uccidesse dei miliziani iracheni né che spostasse il proprio raggio d'azione così lontano dalle solite aree di "intervento". Un luogo non scelto a caso: è da lì che transitano armi e uomini a sostegno di Bashar al-Assad, punto nodale di quel corridoio sciita a cui l'Iran lavora da tempo per consolidare la propria influenza sui paesi vicini, dall'Iraq al Libano.

Secondo le Nazioni Unite, gli sfollati sono almeno 270 mila: la cifra è inquietante, perché la stessa Onu aveva registrato quota 160mila. L'avanzata siriana, sostenuta dall'aviazione e da forze speciali russe, è volta a riconquistare la zona meridionale del Paese, ancora in parte occupata dai ribelli. Domenica i lealisti hanno conquistato la città strategica di Bosra al-Sham, ma l'offensiva va avanti. La situazione dei civili in fuga diventa di ora in ora più drammatica, perché Israele ha fatto sapere che non aprirà le frontiere ai profughi. Lo stesso ha comunicato la Giordania, che però ha già accolto un milione e 300 mila siriani in fuga dall'inizio della crisi. Il governo di Amman ha comunicato di avere spedito convogli di aiuti, che sono in attesa dell'apertura del confine con la Siria. Il ministro degli Esteri di Amman ha anche annunciato che in settimana incontrerà la sua controparte russa, alla ricerca di una soluzione per la crisi siriana.

La parola d'ordine degli attaccanti sembra essere nessuna pietà, come dimostra il ritorno in scena dei barili bomba lanciati dagli elicotteri, una delle tecniche più brutali cui è ricorso il dittatore siriano in questa guerra civile senza fine. Non vengono risparmiati nemmeno gli ospedali. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, l'aviazione russa ha bersagliato i nosocomi di Saida, al-Jeeza e al-Musayfra, mentre per l'organizzazione umanitaria Uossm un quarto ospedale sarebbe stato centrato da colpi di mortaio. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, almeno il 40% delle case, di una delle località prese di mira dagli aerei russi è stato distrutto. Secondo il conteggio dell'Osservatorio dei diritti umani, il bilancio dei morti dall'inizio dell'offensiva è salito a 47 civili, 39 ribelli e 36 soldati governativi, ma a detta della charity Uossm, i civili morti sarebbero 68.

Mentre le forze del regime si sono impantanate ancora una volta, i russi e i giordani stanno cercando di negoziare un accordo con i ribelli di Daraa. Ma una delle ultime roccaforti della guerra civile scoppiata più di sette anni fa è riluttante ad arrendersi. Come milioni di rifugiati di questa guerra, quelli che sono appena arrivati sui confini di Israele e Giordania non hanno idea di quando, se mai, potranno tornare a casa.

"Negli ultimi 50 anni – annota Anshel Pfeffer, analista militare di Haaretz - l'intera topografia del confine è stata costruita per ospitare due grandi eserciti convenzionali, che si guardavano con diffidenza. Per decenni, gli eserciti israeliano e siriano si sono esercitati portando in prima linea brigate di carri armati o mezzi corazzati. Ma negli ultimi sette anni, da quando è scoppiata la guerra civile, c'è stato un solo esercito al confine". Quello d'Israele. Ora, però, le cose stanno cambiando. E, forte dei successi militari realizzati grazie soprattutto al sostegno della triade Russia-Iran-Hezbollah, Bashar al-Assad vuole dire la sua anche su quel fronte. Ufficialmente, i timori dei vertici politici e militari dello Stato ebraico sono legati alla possibilità, indicata in recenti rapporti d'intelligence, che tra quella moltitudine di disperati in fuga, ammassatasi alla frontiera siro-giordano-israeliana, possano infiltrarsi miliziani jihadisti, pilotati dai Pasdaran iraniani o dagli Hezbollah libanesi, per tentare di penetrare in territorio israeliano per compiere azioni terroristiche.

Ma a questa preoccupazione, dichiarata, se ne aggiunge un'altra, non esplicitata ufficialmente ma che, a quanto consta ad HuffPost sulla base di fonti bene informate a Gerusalemme, è stata al centro della riunione straordinaria del Gabinetto di sicurezza - presieduto dal premier Benjamin Netanyahu, domenica scorsa: un patto Damasco-Teheran, per rafforzare le posizioni siriane nel Golan, con la presenza sul campo di ufficiali delle Guardie della rivoluzione iraniane, alla diretta dipendenza dell'ayatollah Ali Khamenei.

Un patto d'azione che non sarebbe visto di buon occhio da Mosca: di certo, l'esplosiva situazione nel Golan sarà oggetto di discussione nel vertice del 16 luglio a Helsinki tra il presidente Usa Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin.

Le Alture del Golan sono state conquistate da Israele nel 1967 e annesse ufficialmente nel 1980. La Siria, come del resto la comunità internazionale, non ha mai riconosciuto l'annessione e rivendica l'intero territorio, fino alla sponda del lago Tiberiade. Israele teme che Damasco, dopo aver sconfitto i ribelli, tenti un attacco sulle Alture, che porterebbe a una guerra aperta e diretta sui due Stati, dopo una cessate il fuoco che dura dal 1973. Le guerre non si fanno per irredentismo. E se Israele, dopo la Guerra dei sei giorni, prese possesso di quelle alture e ne pretende il controllo nonostante le risoluzioni Onu contrarie, ha motivi molto pragmatici.

Quell'area a est del lago di Tiberiade rappresenta un tassello fondamentale per chiunque voglia avere il controllo della regione. Una prima ragione è di natura strategica. Incastonato fra Israele, Siria e Libano, il Golan ha una posizione invidiabile. Avere il controllo dei suoi rilievi, permette di avere il controllo a ovest su Tiberiade e parte della Galilea, e a est sulla pianura che scende fino a Damasco. Inoltre, riuscire a posizionare un avamposto militare sul monte Hermon (in arabo Jabal al-Shaykh) significa ottenere una torre da cui controllare i movimenti del nemico. Militarizzare le alture serve a monitorare tutto. Ma controllare le alture del Golan si traduce soprattutto nel controllare uno dei più grandi serbatoi idrici del Medio Oriente. E controllare l'acqua di una regione significa avere un potere contrattuale immenso su tutti gli Stati limitrofi. Per l'agricoltura israeliana, avere accesso diretto alle acque del monte Hermon è fondamentale. Basandosi su un modello intensivo, ogni goccia d'acqua è essenziale. Secondo alcune stime, le acque del Golan forniscono a Israele un terzo del fabbisogno idrico del Paese. Già solo questo motivo rende chiaro perché Israele teme qualsiasi tentativo di riconquista da parte della Siria. Se è importante per Israele, tanto più lo è per la Siria, che di quelle risorse idriche è stata privata manu militari. L'acqua è un bene primario (tanto più per un Paese devastato dalla guerra) e l'economia siriana necessita di un approvvigionamento idrico costante. Inoltre, i cambiamenti della produzione agricola, specialmente nelle con la scelta del cotone al posto di altre piantagioni, hanno modificato radicalmente l'esigenza idrica del Paese, che è aumentata a dismisura. E ora la Siria vorrebbe quell'acqua di cui è stata privata.

Chi ha in mano l'acqua, controlla la vita dei suoi vicini. Ma non c'è solo l'oro blu a motivare la centralità del Golan. E, novità dell'estate 2014, anche 10 siti che potrebbero nascondere riserve petrolifere. La società incaricata delle perforazioni avrebbe tra gli azionisti anche Rupert Murdoch, il magnate dei media, e come consulente Dick Cheney, l'ex vicepresidente americano. Sicurezza, risorse idriche, petrolio: una miscela esplosiva che potrebbe far saltare la "polveriera Golan".

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