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Politica

Nel Pd tutto gira ancora attorno a Matteo Renzi

Pd, botta e risposta tra Renzi e minoranza: si accende l'assemblea dem

Nella grande sala congressi dell'hotel Ergife, profonda periferia nord di Roma, dalla platea gremita parte un urlo: "E allora Ignazio Marino?". È in quel momento che a Matteo Renzi, per citare un delegato romano "scappa la frizione". Il volto gli si accende, si gira in direzione del contestatore, alza la voce: "Ci rivedremo al congresso, riperderete il congresso e il giorno dopo tornerete ad attaccare chi ha vinto". La platea dell'Assemblea nazionale del Partito democratico improvvisamente si polarizza. Come se scosse elettriche percorressero le sedie dei delegati, e ridividessero ancora una volta il mondo tra renziani e antirenziani.

E dire che nel seminterrato ben protetto dall'arsura estiva della capitale la giornata sembrava dipanarsi sonnecchiosamente. Un accordo blindato su Maurizio Martina segretario, fino a un congresso da tenersi plausibilmente a fine febbraio, massimo inizio marzo. Una cristallizzazione di fatto del partito come configuratosi il 5 marzo in attesa di ridiscutere le regole.

Tutto pacifico. Fin quando si è capito che quello che tecnicamente doveva essere il discorso (postumo) delle dimissioni, del passaggio di testimone, dell'analisi della sconfitta, nei toni dell'ex rottamatore si trasformava pian piano in un vero e proprio manifesto politico. Martellate contro la Lega. Contro il Movimento 5 stelle: "Sono la vecchia destra, una corrente del Carroccio. Hanno inquinato la democrazia, e il Vaffa day si è fermato a Pontida". Ma anche contro le minoranze interne, ree di essersi rese protagoniste di "divisioni assurde che hanno fatto male al Pd", contro i "200 che hanno una linea diversa e pretendono di imporla".

In prima fila tanti renziani applaudono. Ma spiccano i volti tesi di Paolo Gentiloni (che incassa, senza essere direttamente citato, frecciate che saettano dal podio e lo colpiscono al petto: "Non è l'algida sobrietà che fa sognare al popolo") e Marco Minniti, mascella tesa, qualche timido applauso. In fondo alla sala c'è Nicola Zingaretti, candidato in pectore del "correntone" alle prossime primarie. È appoggiato allo stipite della porta d'ingresso, un po' ascolta, un po' compulsa lo smartphone. Le mani non si congiungono mai a sottolineare le parole del già segretario. Che dal palco prova un'orgogliosa assunzione di responsabilità: "Sembravamo establishment, anzi lo eravamo", mentre un delegato lo fulmina: "Era colpa tua".

La dimensione plastica del Pd la si fotografa non sul voto che consacra Martina segretario (con sette contrari e tredici astenuti), ma quando Renzi chiude la sua mezz'ora abbondante di intervento. Più della metà della sala si alza, volti estatici, tributandogli una vera e propria standing ovation. Ma una larga fetta rimane seduta, braccia conserte, teste che si scuotono. Vista da dietro, la prima fila è una lunga teoria di silohuette in piedi, spezzate da un buco. Sono Gentiloni e Minniti, che rimangono al loro posto, battendo timidamente le mani.

È quasi mezzogiorno, l'assise proseguirà per altre cinque ore, ma è come se fosse finita in quel momento. La sala si svuota. Prende la parola Martina, inseguito per tutto il giorno da una battuta: "Con quella maglietta rossa e con quella giacca nera sembra Dylan Dog". Anche lui, come tantissimi tra i presenti, ha aderito alla campagna di sensibilizzazione per i morti nel Mediterraneo. In sala la baraonda, in pochissimi prestano attenzione a quel che dice, i "shhhh" di pochi volenterosi si moltiplicano. Il segretario procede con caparbietà. Solo verso la fine si concede un timido "siccome siete stati distratti". E una risposta indiretta a Renzi: "Un grande musicista non è chi suona più forte, ma chi ascolta più forte. Solo così i problemi diventano opportunità".

Il dibattito prosegue stancamente, Renzi se ne va. Sono rimasti in pochi quando Gianni Cuperlo tuona: "Ho fatto le mie battaglie, quasi sempre le ho perse, ma caro Matteo, non calpestare la mia dignità". Filippo Sensi è seduto a terra in un angolo, arriva Luca Lotti, scambiano qualche parola. Dietro le quinte si scorge un dialogo fra Lorenzo Guerini e Minniti, elegantissima giacca blu con le asole bianche. Andrea Orlando siede in fondo sala, parla con Monica Cirinnà prima di guadagnare il palco, esprimere il suo sostegno a Martina e bocciare Calenda: "Il fronte democratico va bene ai Parioli". In un corridoio Francesco Boccia riunisce i delegati dell'area di Michele Emiliano. "Lo dovrebbe fare a porte chiuse - sibila un renziano - almeno non vediamo che sono così pochi". Anche loro diranno sì al nuovo segretario pro tempore.

L'attenzione si sposta sul costo dei panini (5 euro), che in mancanza di alternative si avvantaggiano del monopolio del mercato assembleare e vanno a ruba. In zona cesarini è Roberto Giachetti a risalire la corrente e a dire quel che tanti soldati semplici pensano, a prescindere dal collocamento nel correntismo interno: "Aspettare di sapere con certezza chi vince per convocare il Congresso, ecco, questo è il contrario del Partito democratico".

Si chiude la giornata, il presidente Matteo Orfini dà appuntamento a tutti a dopo l'estate. Dalla regia parte a cannone Everlong dei Foo Fighters: "A volte nella vita vaghiamo senza meta, cercando un scopo, cercando noi stessi".

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