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Cultura

Aldo Nove: "Matteo Salvini aizza il razzismo becero, ma sui migranti l'Italia è stata abbandonata"

Mirco Toniolo/Errebi / AGF
Mirco Toniolo/Errebi / AGF 

Lo dice quasi con dispiacere, dovendo cedere alla realtà: "Matteo Salvini è l'animale politico più forte che ci sia in questo momento in Italia. Riconoscerlo non significa stare dalla sua parte, ma vuol dire cercare di capire costa sta succedendo nel paese. Punta su questioni demagogiche, aizza il razzismo becero degli italiani, forse per pura propaganda, forse seguendo un disegno preciso – non è ancora chiaro. Tuttavia, è innegabile che sia riuscito a raccogliere una serie di istanze popolari che un tempo erano state prerogativa della sinistra".

Come il protagonista del suo ultimo romanzo, Il professore di Viggiù (Bompiani), Aldo Nove osserva il mondo senza perdersi nei dettagli della specializzazione, che prima divide la realtà in piccoli frammenti e poi li chiude nel ghetto di un sapere tecnico. Poeta, scrittore, romanziere, saggista, Nove guarda le cose nella loro interezza, avendo davanti a sé l'immagine del tutto, con le proprie cause e i propri effetti, e le linee che dalle une portano alle altre, e che, insieme, compongono una visione, a tratti inquietante: "L'Italia è stato uno splendore dell'umanità, ora è un angolo sempre più dimenticato del mondo. È diventata una colonia di multinazionali e organismi politici che la usano come deposito di disperati che fuggono da disperazioni ancora più grandi. Ecco perché c'è un parte di buon senso nelle cose che dice Salvini. È inutile negarlo. L'Italia è un paese di sessanta milioni di abitanti. E quello italiano è un un popolo generoso, capace di condividere un pasto, anche quando diventa, come sta diventando, sempre più scarso. Ma, realisticamente, è impossibile accogliere tutti. Non c'entra niente l'essere buoni o l'essere cattivi. Avere a cuore il reale bene delle persone, significa considerare che gli immigrati vivono in centri di accoglienza che sono dei lager. E che, quando escono di lì, dormono per strada, con il terrore costante di essere presi e rispediti a casa. Lavorano per tre euro all'ora. Spesso non hanno i soldi per comprare da mangiare. Ma li ha mai guardati negli occhi? Hanno dentro la disperazione. È per questo che sono venuti qui? Questa sarebbe la prospettiva? Siamo di fronte a una tragedia, una tragedia vera, ma continuiamo purtroppo a chiacchierare, con i nostri pro e i nostro contro".

Andrebbe meglio se li rimpatriassimo?

Fosse per me, direi a tutti: "Venite, vi prego, venite". Ma bisogna riconoscere che è impossibile farlo davvero. L'Italia è stata abbandonata dall'Unione Europea, che si è rifiutata di affrontare una questione che la riguarda direttamente.

Non crede che ci sia anche della xenofobia?

Il meccanismo che innesca l'immigrato è quello classico del capro espiatorio. Il povero si rivale con il poverissimo, il poverissimo con il disperato e lo squallore continua ad andare avanti.

Accennava alle istanze di sinistra raccolte da Salvini, quali sarebbero?

Ha rimesso al centro, insieme ai Cinque stelle, la questione del lavoro. E ha riconosciuto ciò che a lungo è stato rimosso dal discorso pubblico, cioè che nel nostro paese ci sono i poveri.

I Cinque stelle, invece?

Si sono fatti carico della difficoltà delle persone che non riescono a trovare un lavoro, non perché non hanno voglia di lavorare, ma perché il lavoro davvero retribuito sta scomparendo. Per questo, l'idea di un reddito di cittadinanza ha tutto questo consenso.

È un governo più di sinistra che di destra?

Da marxiano formatosi con la lotta di classe e la divisione tra capitale e lavoro, posso solo dire che devo ancora capirlo. Non lo escludo, però. Molto dipenderà dalla capacità del lupo Salvini di mangiare i candidi agnellini a Cinque stelle, trasformando l'esecutivo in un monocolore Lega.

L'egemonia culturale oggi è di destra?

Quella che vediamo è solo una caricatura scimmiesca della destra. Non c'è nessuno che faccia disamine su René Guenon o Julius Evola, come negli anni Ottanta nessuno leggeva Gramsci. Dalla fine degli anni Settanta in poi, abbiamo vissuto una caricatura dell'egemonia culturale di sinistra, ritratta splendidamente da film di Nanni Moretti. Bastava pronunciare una frase di senso compiuto per essere etichettato automaticamente come un fascio. Era una farsa. È una farsa.

Allora perché usa questi toni apocalittici?

L'uomo ha sempre vissuto, ciclicamente, nel terrore dell'Apocalisse, in maniera quasi patetica. La novità di oggi è che viviamo nella pura negatività, senza alcuna utopia. Ogni crisi è la fine di qualcosa e la nascita di qualcos'altro. In ogni momento di passaggio, l'uomo ha prefigurato un altro mondo, il comunismo, il fascismo, la stessa idea della democrazia. Oggi, niente. C'è solo una terribile paura di perdere ciò che abbiamo perso già. Difendiamo disperatamente delle cose che non abbiamo più da almeno trent'anni. E nessuno che riesca a dire che se provi il terrore di perdere qualcosa è perché non ce l'hai più.

La sovranità nazionale è tra questi beni perduti?

C'è una profonda motivazione psicologica e umana alla base della nostalgia di uno stato e di una nazione. Era inevitabile che, prima o poi, tornasse il desiderio di essere sovrani di se stessi. Ma è successo troppo tardi. Oggi la Coca Cola conta più dell'Austria. Le comunità, tutte le comunità, sono state sgretolate. E qualsiasi senso del collettivo è smarrito. Come diceva Scialpi, un grande allievo di Martin Heidegger che l'avevo previsto, cantando, con trent'anni d'anticipo: "Siamo isole nell'oceano della solitudine". Tutti completamente disgregati.

Com'è successo?

Una delle più grandi menti del secolo scorso, Andy Warhol, diceva che ciascuno in futuro sarebbe stato famoso per quindici minuti. L'uomo è stato appiattito, uno vale l'altro. Siamo diventati degli animali assai meno complessi di quello che dovremmo essere. E, in questo cambiamento, la nostra mente è stata colonizzata. Non dal pensiero, non dalla religione, non dalle aspirazioni politiche. Siamo stati colonizzati dalle merci.

Anche il suo mondo, quello dell'editoria?

Ho iniziato a lavorare insieme a Umberto Eco ed Emanuele Severino, quando si occupavano di libri capi comunisti miliardari pazzi e geniali come Giulio Einaudi, oppure creature impossibili come Angelo Rizzoli, un uomo che aveva la terza media, ma un un intuito letterario sovrannaturale. Oggi ci sono solo dei manager. Se un libro di Noam Chomsky vende quattrocento copie e quello di Geppi Cucciari ne vende ottomila si conclude che Geppi Cucciari – che prego di scusarmi per averla usata come metro di paragone – vale venti volte Chomsky.

Dove trova rifugio?

Fin da ragazzo, sono un appassionato delle mistiche di tutto il mondo e, in particolare, di quella indiana. Anche se i pochi che si ricordano di me continuano a considerarmi uno scrittore "cannibale", cosa che è quanto di più lontano da me ci possa essere, ma è un'etichetta che mi porto dietro poiché, in un paese di deficienti, nemmeno lettori ed editori si sottraggono alle demenza. Sono nato cattolico e sono diventato cristiano. Studio la sapienza orientale, i sufi islamici. Ci sono così tante cose meravigliose nell'universo che se Di Maio sbaglia un congiuntivo cosa vuole che mi importi.

Apprezza Papa Francesco?

Mi è simpatico, ma mi sono formato sui libri del suo predecessore, il più grande teologo vivente, Joseph Ratzinger.

Nonostante sia considerato un conservatore?

Al di là delle pietose scarpe rosse di Prada, Ratzinger si è sempre occupato di religione, non di potere e banche vaticane. A ventidue anni, era a Tubinga a preparare il Concilio Vaticano II. Ha cercato di nominare vescovo Madre Teresa di Calcutta, ponendosi l'obiettivo di radere al suolo secoli di maschilismo cattolico. E si è dimesso da Pontefice, un gesto che nella storia della Chiesa Cattolica, lunga più duemila anni, è un puro atto rivoluzionario. Crede sia così semplice stabilire se sia di destra o di sinistra?

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