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Cultura

"Da Salvini parole orribili, il Mediterraneo è un cimitero". Intervista a Leo Gullotta

Cristiano Minichiello / AGF
Cristiano Minichiello / AGF 

Era il 1968. Il Belice venne devastato da un tremendo terremoto, che ne distrusse i paesi e l'animo. Fra le tante iniziative, per sanare quella ferita, e ricostruire una memoria collettiva, furono create le Orestiadi di Gibellina durante le quali artisti, attori e intellettuali guidano gli spettatori nei meandri del passato. A metà agosto, a conclusione di questa 37esima edizione, ci sarà uno spettacolo inedito firmato da Alfio Scudieri e interpretato da Leo Gullotta, 72 anni, cinquanta dei quali passati a fare l'attore di teatro e di televisione, da tempo doppiatore ufficiale di Woody Allen. Del terremoto Gullotta ha un ricordo nitido ("la follia della natura, così scomposta, mi colpì come un pugno, sconvolgendomi la mente"), e spiega che: "niente fu come prima". Oggi però si dice due volte contento, "da uomo del Sud e da siciliano, di poter stare in questo polo contemporaneo e di essere uno degli interpreti de La città invisibile". Gli spettatori dopo aver esplorato il cretto di Gibellina, si dovranno affidare all'ascolto e l'immaginazione in questo spettacolo ispirato all'opera di Italo Calvino cui prenderà parte anche Claudio Gioè. "Io sarò un insolito Virgilio e accoglierò il pubblico per introdurlo nel viaggio. Il tema principale sarà quello della memoria, del ricordo, e della storia stessa di Gibellina. L'idea è che la cultura debba e possa stimolare la crescita del territorio nei momenti più difficili".

Memoria è una parola che torna spesso. Pasolini diceva "Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L'Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell'oblio dell'etere televisivo".

"Eppure una parte di Italia questa memoria la vuole, la chiede, la desidera, la tira fuori e cerca di farla digerire in un Paese che non legge, dove quotidianamente scuola e Università, i luoghi dove si dovrebbero fare gli uomini e le donne di domani, vengono schiaffeggiate. Ma gli italiani, per fortuna, vogliono sapere. La cultura, i teatri, sono inviti a pensare".

Le pare che questi inviti vengano accolti dalla politica di oggi?

(ride) "Cosa dobbiamo aspettarci da queste persone che parlano solo per frasi fatte, per sentito dire? La radice del loro essere è molto lontana, non esiste, non c'è quasi. La politica è malata. Ed essendo malata è piena di virus. Ci pensi: ci sono ministri che mentre giuravano, probabilmente per voglia di visibilità, dicevano che non esistono le famiglie arcobaleno quando c'è una legge che le riguarda. Non è solo miopia, ma cecità".

La trovo un po' critico.

"Mi dicono che sono i miei ministri, ma io non li riconosco. E non mi riconosco. Provo a capire, ma non mi fanno capire. Abbiamo avuto il Rinascimento, ma è come se non fosse mai avvenuto".

Altro che l'Italia del Bagaglino.

"Abbiamo raccontato per 22 anni, con picchi di 14milioni di telespettatori, un'Italia politica che è sfociata in questo tipo di Paese. Raccontavamo un'Italia televisiva, che poi è diventata la televisione di oggi".

E se il Bagaglino tornasse in onda?

"Non si può raccontare il Paese di oggi. L'unica arma può essere la professionalità. Il portare avanti i numeri, come ha fatto Tito Boeri in contrapposizione al ministro degli Interni, rispetto al quale mi interrogo sulla conoscenza della materia. Ma è necessario anche il giornalismo fatto da professionisti competenti".

Per esempio da chi?

"Mentana e Gabanelli".

Poco fa ha citato Salvini. Qual è il suo sguardo sulla politica che sta attuando?

"Di fronte alle dichiarazioni di Salvini sgrano gli occhi. Come si possono dire queste cose rispetto all'accoglienza? Il Mediterraneo oggi è un cimitero. E le sue parole sono pericolose, solo ascoltarle è orribile".

Eppure tutti quanti le ascoltiamo.

"Questo fa male fa male a tutti, a chi le pronuncia per primo. La colpa è anche del PD che per anni ha fatto la guerra al M5s senza prendere in considerazione la Lega, che nel silenzio ha parlato alla pancia del Paese".

Oggi se le dico Matteo Renzi cosa pensa?

"Penso che tutto questo litigare senza analizzare è una cosa antica. Che si è ripetuta anche al referendum del 4 dicembre. Ancora oggi siamo ai piccoli litigi: io vado a fare conferenze all'estero, tu non puoi partecipare, e cose così. Ma viviamo in un mondo fatto di persone. Per parlare bisogna essere in due".

A patto che non si preferiscano i soliloqui.

"Ed ecco le parole su parole che non dicono niente. Proteste finte costruite negli uffici politici di comunicazione: risolini, teste scosse, dita puntate verso l'alto".

Lei è un uomo che non si nasconde. Fece coming out nel 1995.

"Bisogna metterci la faccia nelle cose. Serenamente".

Anche a rischio della carriera? Penso a quando sei anni fa denunciò che per la sua omosessualità le fu negato il ruolo di padre Pino Puglisi in una serie Rai.

"In quel momento Padre Puglisi era prossimo alla beatificazione. E la paura del funzionario Rai che mi negò la parte era la paura mediocre che padre Puglisi fosse interpretato da chi aveva dichiarato la propria omosessualità. In quel momento sembrò che fossi l'unico omossessuale in tutta l'Italia dello spettacolo".

Come la prese?

"La verità è che alla Chiesa non gliene fregava niente. Ma come la chiama questa se non mafia? Si meravigliano o si stupiscono se il figlio ha fatto altre scelte sessuali, ma non si vergognano se sono vicini di casa di mafiosi. Torniamo all'opportunismo. Alle abitudini mafiose entrate nella testa degli italiani.

Ma siamo un Paese omofobo?

"Le cose accadute, soprattutto in questo momento, lo fanno pensare. Io però credo di no. Se va a grattare, non è questa l'Italia".

Insomma siamo meglio di come ci stanno raccontando?

"Il cittadino è meglio di come vogliono farlo apparire. Ma ci vorrebbe una trasmissione come quella del Maestro Manzi. Invece di insegnare l'italiano, dovrebbe spiegare la costituzione. La citano tutti, ma chi l'ha letta?"

Puglisi fu ucciso da Cosa Nostra il giorno del suo compleanno. Lei ha lavorato a lungo con Pippo Fava, anche lui ammazzato dalla mafia.

"Tutti e due morti per noi. Hanno dato la loro vita ai cittadini italiani. E ancora oggi danno fastidio. Ma lo sa che ogni 5 di febbraio per commemorare la morte di Fava mettiamo dei fiori di fronte al Teatro Stabile dove venne ammazzato e dopo tre ore non ci sono più?"

No, non lo sapevo.

"Adesso si parla del processo Borsellino, e si scoprono cose dei servizi segreti italiani incredibili, e ogni giorno ti stupisci ancora di più. Ma devi avere la coscienza di saper distinguere chi ti vuole parlare, da chi ti vuole infinocchiare. Questo però è un Paese che vuole stare nell'infinocchiamento".

E Roma, la città dove vive, cosa vuole?

"Fa male vedere questa meravigliosa città puntualmente schiaffeggiata, ma - anche se non sono grillino - non sono d'accordo che la colpa sia solo della Raggi. La Raggi avrà i suoi torti, ma è arrivata dopo anni e anni di vandali. In questo Paese chi pensa disturba. Tutto deve essere livellato, e chi contraddice viene espulso".

Lei si sente un disturbatore?

"Io sono un cittadino. Mi sono indignato poco o molto a seconda delle età. Oggi c'è questa realtà e ci devi fare i conti. Ci sono ancora discorsetti sull'indignazione, ma ci dimentichiamo l'educazione parrocchiana. La Lega ha costruito anche su questo: sta arrivando il diverso. Di pelle. Di scelte sessuali. Di vita. Questo percorso, chiamiamolo politico, ha prodotto odio. Retaggio antico dell'italiano meraviglioso, ma un po' vigliacchetto, che desidera sempre un uomo forte al comando per tornare un po' servo".

Secondo lei quali sono i rischi?

"Sono nato nel 1946, dopo la guerra. Io non ero ancora nato, ma questi rischi che abbiamo davanti in Italia li abbiamo già visti".

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