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Politica

Tav o Tap, nord o sud, i dolori del giovane M5s di governo: ma per bloccare mancano i numeri in aula e nei conti pubblici

Giorgio Perottino / Reuters
Giorgio Perottino / Reuters 

Tav o Tap? Chi va giù dalla torre: il nord o il sud? I voti presi sulla promessa di bloccare la Torino-Lione o quelli incassati con l'impegno di campagna elettorale di abbandonare il progetto del gasdotto a Melendugno nel Salento? I vertici del M5s al governo hanno capito che dovranno scegliere: non potranno ottenere entrambi gli stop. E mentre sul Tap ormai da giorni cominciano a prendere contromisure per preparare l'elettorato a digerire l'amaro boccone, sulla Tav fanno fatica, agitano qualche residua speranza. Anche se, a sentire i leghisti al massimo potranno ottenere un ridimensionamento dell'opera per risparmiare. Stop. Per il resto, non c'è una maggioranza in Parlamento. E per bloccare la Torino-Lione servono i numeri: in aula e anche in legge di stabilità. Una vera clava per un Movimento eletto anche per le sue bandiere No Tav e No Tap, con Beppe Grillo che anche oggi sul suo blog insiste sulle ragioni del no.

Oggi da Palazzo Chigi prendono tempo. Di Tav non si è mai parlato con l'alleato leghista, dicono dallo staff del premier Giuseppe Conte. Il dossier è ancora in fase istruttoria sul tavolo del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli: nessuna decisione è stata ancora presa e soprattutto non ci sono state valutazioni al riguardo. Si deciderà in autunno, appunto, quando finirà l'analisi costi e benefici.

Le grandi opere sono il primo tornante di questa inedita alleanza gialloverde. Una delle prove da superare in autunno, che si aggiunge alla difficile mission di far quadrare i conti pubblici con una legge di stabilità che si vuole imbottire con il reddito di cittadinanza, la flat tax e anche gli incentivi del decreto dignità per la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. Il vicepremier Luigi Di Maio li ha quantificati in "300milioni di euro l'anno". Per non parlare del fatto che dire no alla Tav comporterà comunque un impegno di spesa: 2 miliardi di euro in caso di rescissione dei contratti, dicono dall'osservatorio di governo sulla Torino-Lione istituito nel 2006 dal governo Berlusconi III. E poi le spese per rimettere a posto le cose come erano prima che iniziassero i lavori.

Il diritto dei trattati è regolato dalla Convenzione di Vienna. Adottata nel 1969, è a questa che ci si deve rifare nel caso in cui l'Italia decida di fermare la Torino-Lione, per la cui realizzazione Italia e Francia hanno sottoscritto quattro accordi internazionali (1996, 2001, 2012 e 2015). L'ultimo, quello del 2015, è stato integrato con il Protocollo addizionale del 2016. Il via libera ai lavori definitivo è arrivato, tra la fine del 2016 e l'inizio del 2017, quando i Parlamenti italiano e francese hanno ratificato l'accordo. Dunque, anche un eventuale stop deve passare dal Parlamento. E lì i numeri non ci sono: Pd, Forza Italia e Lega non vogliono bloccare l'opera, votata in via definitiva in Senato nel 2014 (governo Renzi) tra le proteste dei cinquestelle e dei pochi parlamentari di sinistra. Ma anche se ci fossero i numeri in aula, sarebbe complicato trovare una forma giuridica a qualcosa che non è mai successo prima: la rescissione di un trattato internazionale per atto unilaterale di uno dei contraenti, lo Stato italiano in questo caso.

Complicato far quadrare le promesse elettorali con la realtà. Sul Tap, per dire, il governo si sta già preparando a dire sì. Lo confermano le reticenze del ministro per il Sud Barbara Lezzi, nella recente visita in Puglia con tanto di scontro verbale con il governatore Michele Emiliano. E martedì scorso, ci ha pensato il Fatto Quotidiano, organo molto vicino alla parte pentastellata del governo, a cominciare a preparare l'elettorato con una pagina tutta dedicata al gasdotto di Melendugno: "Gli ostacoli per bloccare il Tap: geopolitica, contenzioso, Trattati". Qualche giorno prima, il presidente Sergio Mattarella in visita in Azerbaijan con il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi aveva rassicurato le autorità azere sulla realizzazione dell'opera.

Se in Puglia non si può, forse si può in Piemonte, dove il movimento No Tav è da sempre meglio organizzato dei No Tap. Basta andare su google: con Tav viene fuori la Torino-Lione, con Tap l'Air Portugal. Il Movimento alla sua prima esperienza di governo si agita sull'alta velocità. Subito dopo il viaggio presidenziale in Azerbaijan, si allarma Toninelli: "Nessuno firmi il completamento dell'opera", la Tav s'intende. Un avvertimento a chi nel governo si azzardi a definire dettagli sull'alta velocità tra Francia e Piemonte prima che la parte pentastellata abbia deciso. Una correzione rispetto ad una precedente dichiarazione con cui il ministro delle Infrastrutture aveva seminato delusione in Val di Susa: la Tav è un'opera "che abbiamo ereditato. Se, quando è nata, ci fosse stato il M5s al governo, non sarebbe mai stata concepita in questa maniera, così impattante, così costosa. Il nostro obiettivo sarà quello di migliorarla, vogliamo migliorare un'opera che è nata molto male".

E' un dossier più che aperto. Salvini come al solito fa la parte del leone: "Dal mio punto di vista, sulla Tav occorre andare avanti, non tornare indietro". Poi aggiunge: "C'è da fare l'analisi costi-benefici: l'opera serve o no, costa di più bloccarla o proseguirla?". In un'intervista al Secolo XIX il leghista Edoardo Rixi, sottosegretario ai Trasporti chiarisce: la Tav "è un'opera strategica, ma ci sono fattori da chiarire: una galleria in pieno territorio francese è finanziata per il 35% dall'Italia e per il 40% dall'Europa. Parigi ci mette solo il 25%. Non va bene". Invece rivedendo l'opera si potrebbe risparmiare "anche sopra il miliardo di euro – continua Rixi - Migliorando il percorso, rendendolo meno impattante".

Insomma, la Lega lascia chiaramente capire che al massimo si potrà rivedere l'opera per risparmiare. Non la si può bloccare. Tra i cinquestelle è panico. Si rimanda ogni decisione. Luigi Di Maio si nasconde dietro Toninelli: "La Tav non è sul tavolo del governo, deciderà il ministro Toninelli quando incontrare il suo omologo francese". Dal ministero delle Infrastrutture fanno sapere che ancora in agenda non c'è incontro con le autorità parigine. Ma intanto i francesi si mostrano piuttosto tranquilli: "Osservo che in seno alla coalizione di governo i due vicepremier Di Maio e Salvini non sono per niente d'accordo", dice all'Ansa Stephane Guggino, delegato generale del comitato della Transalpine. E però, aggiunge, l'eventuale decisione di bloccare la Tav "dovrà passare da un voto del Parlamento: qualcuno dovrà assumersi le proprie responsabilità".

Mentre il Commissario straordinario del Governo per l'asse ferroviario Torino-Lione, Paolo Foietta sottolinea di avere un "mandato fino al 31 dicembre 2018, definito dal presidente della Repubblica, che mi chiede di fare quanto è in mio potere per realizzare la Torino-Lione. E' un incarico che sto cercando di onorare. Se si vuole modificarlo, lo si faccia con un atto e non con un post. Come previsto dalla Costituzione intendo ottemperare all'incarico che mi è stato affidato con disciplina e onore, rispondendo al governo, a cui torno a chiedere un incontro al più presto".

Sul suo blog Beppe Grillo ci mette il carico da novanta smontando i "9 luoghi comuni sulla Tav". Il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia dice chiaramente che "ci sono infrastrutture più urgenti". E ne ha ben donde: parla dalla provincia di Salerno, dal sud dove i treni sono un optional, non un mezzo di trasporto certo. Ma la Tav è ancora lì, come uno spettro ad agitare i sonni di governo. Peraltro, la polemica scoppia proprio a ridosso del weekend della Festa dell'Alta felicità in Val di Susa, organizzata ogni anno dai movimenti No Tav, direzione artistica di Andrea Bonadonna del centro sociale Askatasuna, uno dei più attivi nelle proteste contro l'alta velocità. In programma molti concerti e dibattiti, tra gli altri Marina Rei, Francesco Di Bella. Domani in calendario anche una gita al cantiere di Chiomonte, dopo che nelle settimane scorse i No Tav sono tornati in piazza, anzi nei boschi della Val di Susa, con lancio di razzi e bombe carta: identificati in 25 dalle forze dell'ordine.

C'è da dire che questa parte di movimento non si identifica in toto con il Movimento Cinquestelle.

Ma il caso Tav e il suo omologo meridionale Tap restano uno scoglio altissimo per il M5s, una di quelle prove del nove che possono lasciare strascichi fatali proprio nell'elettorato più fedele: dritto al cuore del Movimento, il suo zoccolo duro da cui è nato tutto o quasi tutto.

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