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Politica

"È sempre la stessa politica: sangue, merda e sopraffazione". Intervista a Vincino

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Disegna come un bambino che si è liberato delle cose che credono di sapere gli adulti e, con altrettanto candore, parla: "Sono stato colpito dall'energia con cui questi ragazzini dei 5 stelle hanno affrontato i primi venti giorni giorni di governo. Sono stati veloci, sempre presenti, al mattino, al pomeriggio, alla sera, tà, tà, tà: era una cosa che non vedevo da anni". Ha scritto Giuliano Ferrara che "gli altri fanno satira, lui ha fatto stile". Nato nel 1946 in Sicilia, militante di Lotta continua, uno dei fondatori del Male, disegnatore di altri giornali leggendari come l'Ora di Palermo, Tango, Cuore, e anche vignettista di piccoli giornali, e inserti, e supplementi che nessuno ricorda più, Vincino "è un letterato di genio a cavallo di due secoli", ha scritto ancora Ferrara: "Se tira una riga c'è una storia, se tondeggia e colora ecco un romanzo, ma appena senti la storia vedi che è secca come una riga".

Quando risponde alla nostra telefonata, sta abbozzando per Il Foglio l'assalto degli aspiranti ricchi ai dirigenti acchiappa-stipendi delle aziende di Stato: "La politica è sempre più o meno la stessa cosa, sangue, merda, sopraffazione. Ogni volta, prevale il potere della partitocrazia, come lo chiamava Marco Pannella. È quello che si è ripetuto con le nomine Rai. Questo a me, quello a te. È una spartizione tra bande, che si realizza anche sulle politiche del governo: Salvini può fare quello che vuole con gli immigrati, i 5 Stelle cercano di fare quello che vogliono con il decreto dignità. Nei quartieri di Palermo succede suppergiù la stessa cosa: il Falsomiele è di un clan, Ballarò è di un altro".

Racconta Vincino in Mi chiamavano Togliatti (Utet) – la sua "autobiografia disegnata a dispense" – la passione per il disegno di Giuseppe Scalarini e Jean-Marc Reiser, gli entusiasmi della gioventù politica, le amarezze e le avventure della Sicilia che si considerava una provincia dell'America di Jack Kerouac e Allen Ginsberg, e poi i morti ammazzati dalla mafia, e la politica che ha conosciuto e raccontato con la satira: "Un giorno, ero nella tribuna della Camera dei deputati. Cominciai a disegnare sul mio taccuino proprio sotto il cartello che dice: 'Vietato prendere appunti'. I commessi, avvertiti dalla presidente della Camera, Nilde Iotti, mi raggiunsero e mi intimarono di consegnare il blocco degli appunti, e uscire. Io salii a cavalcioni sul parapetto della tribuna e minacciai di buttarmi sotto se solo mi avessero toccato. Successe un casino".

Ha fatto il nome di Nilde Iotti: sicuro che quella politica sia come quella di oggi?

Il primo politico che ho disegnato è stato Vito Ciancimino. Credevo che avesse dei rapporti con la mafia, non pensavo che fosse un mafioso, come poi si è saputo. Oggi cosa è cambiato? La mafia è stata abilissima a capire dove si muove il nuovo potere, e in Sicilia ha votato per i 5 stelle, ha cercato di infiltrarli, a volte riuscendoci, altre volte no, perché nessun partito ha dei veri antidoti al potere criminale.

Eppure, alcune personalità dell'anti mafia sono dei riferimenti per i 5 stelle.

Quali?

Il pm Di Matteo e Salvatore Borsellino, per esempio.

Di Matteo non è stato in grado di trovare la verità sulla strage di via d'Amelio. Avrebbe dovuto seguire l'esempio di Falcone e Borsellino, chiudersi all'Asinara e istruire un processo con prove d'accusa incontrovertibili, avvertendo l'alto dovere morale di condannare i colpevoli. Invece, ha avallato le rivelazioni di un testimone come Scarantino, uno che vendeva bustine agli angoli di piazza Guadagna, come il resto della sua famiglia, insomma un poveraccio al quale la mafia mai avrebbe dato un incarico così importante come quello di partecipare all'attentato contro Borsellino.

Come fa a saperlo?

La mia prima inchiesta per l'Ora fu sulla strage di viale Lazio, uno tra i più cruenti regolamenti di conti mafiosi. Gli imputati erano alcuni piccoli e sconosciuti malavitosi di Palermo accusati di aver ucciso una capomafia e alcuni suoi gregari. Molti anni dopo si scoprirà che non c'entravano niente, e che i veri colpevoli erano Totò Riina e Bernando Provenzano. La mafia offre sempre dei colpevoli finti. Essere caduto in questa trappola è stato un grande errore di Di Matteo, e un grande errore di Salvatore Borsellino, che ha creduto a quelle tesi.

Ciò che è stato vero ieri perché dovrebbe esserlo ancora oggi?

Ci sono delle costanti, nella storia italiana. Prenda Tangentopoli. Crede che sia nata negli anni novanta? Mio padre, nel 1946, era il direttore dei cantieri navali di Palermo. E il presidente e senatore, Erminio Piaggio, già gli prescriveva di finanziare le campagne elettorali dei deputati dei partiti di governo, e, in misura minore, di quelli di minoranza. Non era Tangentopoli quella? Certo che lo era.

Rimpiange qualcosa della politica di ieri?

Rimpiango i vecchi comunisti, anche se sono diventato anti comunista quando ho visto i carri armati dell'Unione Sovietica entrare a Praga. Nella guerra civile spagnola, ammazzarono più anarchici i comunisti che i fascisti. Però, i comunisti erano uomini integri, duri, con i quali anche scontrarsi era un privilegio.

Gli uomini di sinistra di oggi come sono?

Sono dei mollaccioni. La Lega e i 5 stelle sono al governo per gli errori e le stupidaggini di chi li ha preceduti. Gentiloni, a cui voglio un bene dell'anima, ha preso tre quarti della squadra di ministri di Renzi e un quarto di quella di Letta. Ma che cosa vuol dire? Ha gestito il potere morbidamente, in maniera democristiana. Non è servito a niente.

Salvini, invece, è molto assertivo.

Salvini aveva chiaro in testa ciò che voleva fare. Chiudere i porti. Fermare gli arrivi degli immigrati. Sfidare l'Europa. Ha rivelato l'enorme ipocrisia che c'era sulla complicità tra scafisti, Ong e i capi dei governi europei. L'ha fatto brutalmente, facendo soffrire terribilmente le persone bloccate su quelle navi. Ma ha indicato il Re, che era nudo.

E Di Maio?

Ancora adesso, non ha capito qual è il suo progetto.

Le nomine Rai che le sembrano?

Il normale disastro, pura lottizzazione. Ci sono state delle volte – e non mi riferisco a Renzi – in cui si è cercato di mantenere almeno un po' di dignità, indicando i nomi di qualcuno che aveva un'idea del servizio pubblico e dell'Italia. Non che i risultati siano stati molto diversi, però... La Rai andrebbe privatizzata e tolta dalle mani dei partiti, ma nessuno rinuncia mai a un briciolo di potere, se non con la pistola puntata. Si perpetua così un sistema in cui nessuno è scelto per ciò che vuole fare.

Lei quando ha capito cosa voleva fare?

All'eta di undici anni, pubblicai il mio primo disegno su Il Missile, un giornalino delle scuole di Palermo realizzato da alcune maestre amiche di mia madre. Da allora, non ho più smesso. Capii, piano piano, che il disegno era lo strumento migliore – un mezzo meraviglioso – per raccontare la realtà. E ho avuto la fortuna di lavorare con il Raffaello della mia generazione, Andrea Pazienza, e con tanti altri artisti grandiosi. Uno per tutti: Stefano Tamburini.

Com'è possibile che lo splendore del fumetto si concentrò tutto a Bologna, come accadde per il Rinascimento a Firenze?

Erano gli anni del movimento del '77, c'era Radio Alice e la creatività anche nella politica. Non saprei spiegare perché un certo numero di artisti così notevoli si siano trovati nello stesso tempo, nello stesso luogo. So che se provi a costruire una tale alchimia a tavolino non ci riuscirai mai, mai. Lavoravamo in una specie di euforia creativa, in un clima di appagante ed esaltante felicità artistica.

Se era solo così perché Pazienza e Tamburini morirono in quel modo tragico?

Quelle morti non furono figlie di un clima: furono degli incidenti. Tanto è vero che Andrea morì quando avevo smesso di farsi.

Lei si è mai fatto?

Mi fece la stessa domanda, una volta, un commissario di polizia. Risposi: "Che vuole, noi siamo figli della beat generation, tanti piccoli Lucy in the sky with diamonds, come dice la canzone dei Beatles". Presi LSD tre o quattro volte. Poi, mi spaventai e non lo toccai più.

Perché i talenti individuali non furono soffocati da una generazione che aveva tanto a cuore la dimensione collettiva?

Nei giornali come il Male, tutto nasceva da infinite discussioni. Era un gioco bellissimo e faticoso, ma sono convinto che i giornali debbano essere fatti con i nemici. È nel conflitto che nascono le idee. Nella contraddizione. Nello scontro. E nella loro gestione.

Oggi non è più così?

Oggi, mi pare, sono pochissimi quelli capaci di contraddire l'opinione del proprio direttore.

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