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Esteri

Gli annunci di Hamas non fermano Israele. Si rischia la quarta guerra di Gaza

Mohammed Salem / Reuters
Mohammed Salem / Reuters 

La quarta guerra di Gaza è alle porte. L'interrogativo è se e come sarà "governata", se resterà a bassa intensità o sarà ben più pervasiva e devastante. Ma una cosa è certa: non saranno gli annunci a intermittenza di Hamas, l'ultimo in ordine di tempo, sulla fine delle ostilità, a frenare Israele: gli oltre 180 razzi sparati dalla Striscia contro le città frontaliere, le scene di panico mandate in onda dalle Tv israeliane, le sirene tornate a suonare ripetutamente nelle città a ridosso di Gaza, sono già di per sé scenario di guerra. Nessuno a Gerusalemme crede nell'annuncio di Hamas. La discussione, nella riunione d'urgenza del Gabinetto di Sicurezza convocata dal premier Netanyahu, con la partecipazione dei vertici dell'Idf (Le Forze di difesa israeliane) e dei capi di tutti i servizi d'intelligenze, civili e militari, ha avuto al suo centro, riferiscono ad HuffPost fonti bene informate a Gerusalemme, un unico punto. Operativo, non politico: quando e con quali dimensioni avviare un'operazione di terra. Non "se" ma "quando".

La quarta guerra di Gaza è cominciata, la scorsa notte, quando le forze armate israeliane hanno colpito "oltre 140 obiettivi di Hamas" e si sono dette pronte "a un'operazione" terrestre nella Striscia di Gaza dopo che ieri sera sei razzi hanno colpito la città di Sderot e ferito 11 persone. Nella notte c'è stata una battaglia di intensità mai vista da anni. L'aviazione ha compiuto decine di raid, ondata dopo ondata, mentre i miliziani palestinesi continuavano a lanciare razzi, 150 in tutto, 25 intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. Uno dei razzi intercettati era indirizzato verso verso Be'er Sheva, a circa 40 chilometri di distanza. È la prima volta che la città è stata presa di mira dalla guerra di Gaza del 2014. "Non vediamo la fine dell'escalation, ci stiamo avvicinando a una operazione a Gaza", ha commentato questa mattina un ufficiale israeliano: "Hamas capirà nelle prossime ore, come negli scorsi mesi, che questa direzione non è quella che gli conviene prendere". Nei raid sono stati colpiti "una fabbrica di componenti per realizzare tunnel, una galleria di attacco lungo la costa" e sono stati presi di mira leader delle Brigate Ezzedin al-Qassam il braccio armato di Hamas. A Sderot nove degli undici feriti sono ricoverati, altri 13 cittadini sono stati trattati per "choc traumatico", mentre il ministero della Salute di Gaza ha detto che tre palestinesi sono rimasti uccisi negli attacchi della notte, comprese una donna incinta Enas Khammash, 23 anni, e sua figlia Bayan, 18 mesi, in un raid che ha colpito Jafarawi, nel centro della Striscia di Gaza; il marito della donna è rimasto ferito. Erano assieme al trentenne Ali Alrandur, uno dei comandanti delle Brigate al-Qaasam. Quello che dà il senso di una probabile azione in profondità è la concentrazione di mezzi e uomini ai confini con la Striscia operata nelle ultime 24 ore da Tsahal: dispiegamento di ulteriori batterie anti-razzo Iron Dome, una mobilitazione, per ora limitata, di riservisti per rinforzare le batterie, preparativi per l'invio di ulteriori forze di terra al Comando Meridionale, istruzioni severe ai residenti delle comunità vicino a Gaza per usare cautela e, se necessario, anche preparativi per evacuare le persone da queste comunità.

La battaglia è cominciata, come due settimane fa, dopo che alcuni militanti palestinesi avevano sparato su una pattuglia israeliana al confine. Un tank ha reagito e ucciso due combattenti dell'unità di élite Al-Nukhba, le forze speciali delle Brigate Al-Qassam. Hamas ha risposto con il bombardamento di Sderot e l'escalation sta diventando incontrollabile. Egitto e Onu stanno cercando di mediare per evitare un intervento di terra. L'inviato dell'Onu per il processo di pace Nickolay Mladenov si è detto "profondamente preoccupato" per la situazione tra Gaza e Israele e, in particolare, "per i multipli razzi lanciati contro le comunità del sud" dello Stato ebraico. Ed ha fatto appello alle parti di fermarsi e di riportare la calma. L'inviato in Medio Oriente del presidente Donald Trump, Jason Greenblatt, in un tweet ha condannato Hamas per il lancio di razzi: "un'altra notte di terrore con famiglie accalcate nella paura mentre Israele difende se stesso". E sull'escalation di violenza è intervenuto anche il ministro dell'Interno italiano, Matteo Salvini, che nel sostenere che la soluzione per il futuro di Gaza è il dialogo ha ribadito il diritto dello stato guidato da Netanyahu a difendersi: "Seguo con preoccupazione questa nuova fiammata di violenza partita da Gaza e seguita dalla risposta difensiva di Israele, il cui diritto alla sicurezza non può essere messo in discussione. L'esperienza di questi anni insegna che per arrivare a soluzioni positive non serve la violenza ma il dialogo, per cui lavorerò e lavoreremo con ogni nostra energia per un futuro di pace", ha affermato.

Un alto ufficiale palestinese ha detto ad al-Jazeera e alla Reuters - ripresi dai media israeliani - che l'attuale fase di combattimenti è finita e che la calma ora dipende da Israele. "L'attuale escalation a Gaza è finita. La resistenza - ha aggiunto - ha risposto ai crimini del nemico nella Striscia. Il prosieguo della calma a Gaza dipende dal comportamento dell'occupazione". I media hanno sottolineato che le affermazioni paiono "un tentativo di Hamas di riportare la calma mentre le parti sembrano preparare la guerra". È così. I margini per la diplomazia si fanno sempre più labili. Un primo ministro che cerca di sopravvivere politicamente alle inchieste giudiziarie che lo chiamano in causa direttamente, e alla rivolta interna esplosa a seguito dell'approvazione della legge si Israele "Stato della nazione ebraica", giocando l'unica carta a sua disposizione: la sicurezza minacciata di Israele. Un movimento che ha fallito la prova di governo e che cerca una nuova legittimazione cavalcando la rabbia e la sofferenza e cercando nella resistenza all'"occupante sionista" il recupero di una sua centralità. Una popolazione in gabbia, ostaggio di due nemici che si sorreggono l'uno con l'altro, perché, da fronti opposti, conoscono e praticano lo stesso linguaggio: quello della forza. Il sangue versato a Gaza anche in queste ore racconta una storia che non nasce ieri ma che si dipana nel corso di decenni e che ha nella Striscia uno dei suoi più tragici luoghi di attuazione.

È la storia di tre guerre, di bombardamenti, razzi, invocazione al diritto di difesa (Israele) e a quello della resistenza armata contro l'"entità sionista" (Hamas). È la storia di punizioni collettive, di undici anni di assedio. Ma è anche la storia di un movimento islamico che, fallita l'esperienza di governo, cerca nuova legittimazione nell'indirizzare contro l'occupante con la Stella di David, la rabbia e la sofferenza di una popolazione ridotta allo stremo. Il sangue di Gaza chiama in causa i due "Nemici" che, ognuno per il proprio tornaconto, hanno lavorato assieme per recidere ogni filo di dialogo e per distruggere ogni possibile compromesso. Perché "compromesso" è una parola che non esiste sia nel vocabolario politico della destra israeliana sia in quello di Hamas. Perché compromesso significa incontro a metà strada, il riconoscere le ragioni dell'altro. Compromesso significa rinuncia ai disegni della "Grande Israele" come della "Grande Palestina". Compromesso è ammettere che non esiste né una scorciatoia militare né una terroristica per veder riconosciuti due diritti egualmente fondati: la sicurezza per Israele, uno Stato indipendente per i Palestinesi. Combattere costa meno che fare la pace. Perché "fare la pace", tra Israeliani e Palestinesi, non è solo ridisegnare confini, cedere o acquisire territori. Significa molto di più: ripensare la propria storia e confrontarla con quella degli altri. Significa immedesimarsi nelle paure e nelle speranze dell'altro e, per quanto riguarda Israele, guardare ai Palestinesi come un popolo e non come una moltitudine ingombrante.

Nello schema di Hamas e in quello della destra israeliana non esiste il "centro": chiunque si pone in questa ottica, altro non è che un ostacolo da rimuovere, con ogni mezzo, anche il più estremo. La destra israeliana ha bisogno di Hamas per coltivare l'insicurezza, per alimentare nell'opinione pubblica la sindrome di accerchiamento, divenuta psicologia nazionale. Quanto ad Hamas, portare ventimila persone allo scontro con l'apparato militare israeliano nella Striscia, è un esercizio di potenza, è riaffermare la propria leadership nel variegato fronte della resistenza palestinese. Hamas può al massimo contemplare una "hudna" (tregua) con Israele ma mai un riconoscimento della sua esistenza. Annota su Haaretz Amos Harel, prima firma del quotidiano di Tel Aviv: "Se l'Egitto e le Nazioni Unite non riescono a raggiungere un 'piccolo accordo' vincolante - un completo cessate il fuoco in cambio di concessioni sul movimento di merci nella Striscia insieme all'ampliamento della zona di pesca di Gaza e forse l'inizio delle concessioni economiche - Israele intraprenderà ulteriori azioni militari per forzare Hamas a un accordo. Non è ancora la guerra a Gaza, ma potremmo andare a passi rapidi in quella direzione".

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