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Esteri

Tzipi Livni: "Da ebrea e democratica mi batto contro una legge ingiusta e pericolosa"

GALI TIBBON via Getty Images
GALI TIBBON via Getty Images 

Non ha dubbi: "Le prossime elezioni saranno un referendum sulla Dichiarazione d'Indipendenza, sui valori, i principi, che furono a fondamento della nascita dello Stato d'Israele. Una visione che la legge su Israele 'Stato-nazione ebraica' stravolge, e non perché riafferma l'identità ebraica come perno della nostra identità nazionale, ma perché fa di questa riaffermazione elemento di discrimine, di esclusione, l'esatto contrario di ciò che la Dichiarazione d'Indipendenza ha sancito. Settant'anni dopo, quella Dichiarazione resta per tanti noi il pilastro su cui si regge ciò di cui, giustamente, andiamo orgogliosi: il nostro essere Stato democratico". A sostenerlo, in questa intervista concessa all'HuffPost, è una delle figure più rappresentative della politica israeliana: Tzipi Livni.

È la sua biografia pubblica a dar conto di ciò che ha rappresentato e continua a rappresentare nella politica d'Israele. Da poco sessantenne, Tziporah (in ebraico significa usignolo) "Tzipi" Livni nasce da una famiglia di eminenti sionisti di destra (suo padre fu ufficiale dell'Irgun, e poi parlamentare della Knesset per il partito di destra Herut). La giovane Livni, già brillante agente del Mossad, iniziò la sua militanza nel Likud, e, ironia della sorte, ebbe in Benjamin Netanyahu uno dei suoi primi mentori. La sua carriera di governo è fulminea e sempre sotto l'ala protettrice di Netanyahu. Quando "Bibi" assume per la prima volta l'incarico di premier, dal 1996 al 1999, vuole Livni a capo del programma di privatizzazione. Il sodalizio va avanti fino all'anno fatale: il 2005. L'estate di quell'anno fu caldissima, per certi versi drammatica, per Israele. L'allora primo ministro, Ariel Sharon, ordina l'evacuazione da Gaza e lo smantellamento di undici insediamenti ebraici nella Striscia. La destra oltranzista e l'ala dura del movimento dei coloni insorgono. Mai come in quelle settimane, che chi scrive visse sul fronte, Israele sembrava a un passo dalla guerra civile.

Il Likud si spacca: Netanyahu accusa Sharon di una scelta irresponsabile, che mettere a repentaglio la sicurezza stessa d'Israele. Tzipi Livni non ha dubbi: si schiera con Sharon, e con lei il futuro premier Ehud Olmert. Assieme, fondano il partito di centro Kadima che, anche sull'onda dell'emozione per l'ictus che colpisce Sharon, e dal quale "Arik" non si riprenderà più, diviene il primo partito alle elezioni legislative. Ma le fortune di Kadima durano poco. Senza Sharon, la giovane forza politica si frantuma, e allora Livni dà vita, nel 2012, ad una nuova forza politica, Ha'Tnuah (Il Movimento) che ha tra i suoi punti qualificanti la ricerca di una "pace nella sicurezza", che assume a sfondamento la formula "due popoli, due Stati". Tra gli incarichi di governo che ha ricoperto, quelli di ministra degli Esteri, ministra dell'Edilizia, ministra per gli immigrati e, per due volte, ministra della Giustizia. È stata ad un passo dal diventare la seconda donna primo ministro nella storia d'Israele, dopo Golda Meir. Nelle elezioni del 2015, Livni ha dato vita con il partito Laburista all'Alleanza Sionista. Dopo che Herzog, sconfitto alle primarie del Labour da Avi Gabbay, che non è parlamentare, Livni è diventata la leader dell'opposizione alla Knesset. È stata lei a motivare le ragioni del "no" alla legge sullo Stato-nazione ebraica, ed è stata lei a prendere la parola alla grande manifestazione (quasi 100mila) organizzata in Piazza Rabin a Tel Aviv dai Drusi israeliani. Dal palco, Tzipi Livni ha fatto una solenne promessa. Che ribadisce nell'intervista ad HuffPost: una volta tornata al governo opererà affinché quella legge "ingiusta, pericolosa, discriminatoria sia subito sostituita, proclamando al suo posto come legge fondamentale la "Dichiarazione di indipendenza" di Israele che garantisce piena eguaglianza a tutte le minoranze etniche.

Un appello di centinaia di intellettuali, la protesta della comunità degli arabi israeliani (quasi il 20% della popolazione), e ora anche quella dei Drusi. Tutti contro la legge sullo "Stato nazione ebraica", approvata a maggioranza dalla Knesset. Cosa c'è che non va in questa legge, visto che Israele nasce come focolaio nazionale ebraico?

Nasce dalla convinzione che così come è stata pensata, formulata, imposta, questa legge rischia seriamente di minare il carattere democratico d'Israele. Vede, recentemente mi sono fatta promotrice di una riunione a cui hanno partecipato i rappresentanti di oltre 40 organizzazioni della società civile attive su una gamma molto vasta di campi. Di solito, queste organizzazioni non si trovano d'accordo su tante cose. Stavolta, però, l'unità è stata totale. Perché quando si tratta di difendere la natura dello Stato d'Israele, presidiare i suoi valori fondanti, le divergenze vengono messe da parte e al centro si mette ciò che unisce. Il bene più prezioso: la nostra identità democratica. Una identità, non mi stanco mai di sottolinearlo, che non è in contrasto con l'affermazione dell'ebraicità d' Israele. La gravissima forzatura imposta dalle destre è quella di aver contrapposto questi due elementi, assolutizzando il secondo rispetto al primo. Così facendo non solo si mette a rischio la coesione nazionale ma si infligge una ferita mortale a quello che era e deve restare la Carta fondativa d'Israele: la Dichiarazione d'Indipendenza. In quella Dichiarazione, la natura democratica dello Stato d'Israele si fonda con l'affermazione d'Israele come focolaio ebraico. Quella dei padri fondatori dello Stato, il principio dell'inclusione, dell'apertura verso l'altro da sé, era un carattere precipuo dell'ebraismo e non qualcosa che avrebbe dovuto discriminare altri cittadini. Coloro che hanno usato l'essere Ebrei come arma di divisione hanno svilito l'essenza stessa dell'ebraismo, e di questo ne sono state consapevoli tante comunità della Diaspora che hanno apertamente criticato questa forzatura.

In effetti, l'approvazione di questa legge ha segnato un punto di crisi molto profondo nelle relazioni tra Israele e la Diaspora: gli ebrei progressisti, riformatori, che rappresentano la stragrande maggioranza al di fuori di Israele, sono sempre più preoccupati per la direzione che il Paese sta prendendo, sia sul piano religioso che su quello politico.

Condivido e faccio mie queste preoccupazioni, espresse con generosità da tanti che hanno sempre dimostrato con i fatti di essere dalla parte d'Israele. Essere lo Stato-nazione del popolo ebraico dovrebbe significare rappresentare anche gli ebrei del mondo. So che molti ebrei che vivono all'estero oggi - in particolare i giovani - si sentono molto alienati dallo Stato di Israele a causa di determinate tendenze che si sono determinate. Quello che sto cercando di fare è di invertire queste tendenze. In questo modo, credo di servire anche loro.

In una intervista concessa ad HuffPost, il grande storico israeliano, Zeev Sternhell, ha definito questa legge come la tomba del sionismo. E' anche Lei di questo avviso?

Della considerazione del professor Sterhnell colgo il grido d'allarme, una preoccupazione sincera, ma non le conclusioni a cui giunge. In ogni incarico che ho svolto, ho sempre cercato di rappresentare il sionismo come ritengo sia rappresentato nella Dichiarazione di indipendenza. Per me Israele è lo stato-nazione del popolo ebraico, ma deve esserci l'uguaglianza per tutti i cittadini...

Non è questa la posizione dei rappresentanti della comunità degli arabi israeliani.

Lo so bene e ho ascoltato con grande attenzione gli interventi e le dichiarazioni critiche dei leader della comunità o della maggioranza di essa. Li rispetto ma non li condivido. Non so quantizzare il fenomeno, ma so di certo che arabi in Israele, così come alcuni dei loro rappresentanti in parlamento, non sono disposti ad accettare Israele come stato-nazione del popolo ebraico. Come leader dell'opposizione, continuerò a lottare per i loro diritti di vivere come cittadini con uguali diritti, ma non posso identificarmi con la loro richiesta di soddisfare le loro aspirazioni nazionali come palestinesi in Israele.

Da leader di opposizione, ritiene emendabile questa legge?

Direi proprio di no. Perché ciò che non va è l'impianto d'insieme, è la logica che la sottende. Il mio impegno è altro: se torneremo al governo, il primo atto sarà quello di sostituire questa legge ingiusta e discriminatoria, con la Dichiarazione d'indipendenza: sarà questa la nostra legge fondamentale.

Nel corso della sua lunga esperienza di governo, Lei ha guidato anche una delegazione israeliana ai negoziati con l'Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen. Crede ancora ad una pace fondata sulla soluzione a "due Stati"?

Resto convinta che 'due Stati per due popoli' sia nell'interesse d'Israele. Un investimento sul futuro. E così dovrebbe essere anche per i Palestinesi, i quali dovrebbero imparare la lezione della Storia, anche di quella israeliana. Ben Gurion fu un grande statista, il padre della patria, perché comprese che certe rinunce, anche dolorose, erano il prezzo da pagare per realizzare il sogno di uno Stato ebraico. Spero che un leader palestinese abbia lo stesso coraggio e la stessa lungimiranza.

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