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Politica

Fronte del Nord

Governatori
Governatori 

Giovanni Toti fuma su una terrazza della fiera di Rimini. Se ne vanno via una sigaretta dietro l'altra. Se ne contano quattro in poco meno di un quarto d'ora. È visibilmente accaldato, teso. Non rinuncia alla giacca, l'orecchio si surriscalda. Riceve numerose telefonate, risuona in continuazione la parola "Genova". Il governatore della Liguria è atteso nella sala stampa del Meeting di Comunione e liberazione, ma si attarda a parlare fittamente. Quando arriva annuncia di aver chiesto ad Autostrade un piano immediato per la messa in sicurezza dei due tronconi del ponte Morandi, e di star cercando una soluzione per abbatterne quel che resta. Poi tira una bordata a Danilo Toninelli: "Quello delle nazionalizzazioni è un non tema. È come se quando cade un aereo si chiedesse di nazionalizzarne la compagnia per la quale vola".

Quel che si vede è il bordo alto del tavolo delle conferenze riminese, dietro il quale insieme a Toti sono seduti i governatori lombardo e friulano, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga. Ma simbolicamente appare come un vallo alpino, che si erge a decisa barriera sulla via delle nazionalizzazioni. È un arco che copre l'intero Nord, da est a ovest. Con diverse sfumature e sensibilità, tutti i governatori delle grandi Regioni settentrionali hanno preso le distanze dalla proposta di Toninelli su Autostrade. Sasso che ha generato diverse onde nello stagno della maggioranza, aprendo a un dibattito su una generale revoca di una serie di concessioni e il ritorno in mano pubblica di alcuni asset del paese.

Da oriente a occidente Toti, Fontana, Fedriga, e prima di loro anche il veneto Luca Zaia, dicono no. È il governatore del Friuli Venezia Giulia quello più prudente. Cita l'esempio della A4, gestita da una società che fa capo alla Regione, loda la "prossimità territoriale" che permette di "riutilizzare gli utili". Ma non si spinge più in là: "Non esiste una soluzione universalmente giusta". Non è esattamente un sì alla nazionalizzazione, più che altro una richiesta di maggiore autonomia di scelta delle autonomie locali. Con la differenza non di poco conto che mentre Toti è uno degli ultimi baluardi della malandata Forza Italia (sia pur tra quelli più contigui al Carroccio), che si oppone al governo del cambiamento, Fedriga ne è fiero alleato, indossando da lustri la camicia verde della Lega.

Accanto a lui, Fontana è assai più drastico: "Il rapporto fra pubblico e privato va riequilibrato, i due aspetti devono coesistere. Ma dico assolutamente no alle nazionalizzazioni". Seguendo di fatto la linea tracciata dal veneto luca Zaia, che ha bollato l'idea del M5s come "un bagno di sangue" qualora venisse realizzata.

È il fronte del nord, quello della cintura di governatori coevi al governo, quello che più drasticamente si oppone alla linea tracciata da Toninelli, ereditata a sua volta da Beppe Grillo, apripista in questo senso con un post sul blog datato ferragosto. I quali a Roma trovano sponda a Palazzo Chigi, nell'ufficio di Giancarlo Giorgetti, il primo a fermare la fuga in avanti del Mit. E forse non è un caso che l'anima 5 stelle che sulle nazionalizzazioni tout court più esercita la prudenza sia guidata da Stefano Buffagni, un passato al Pirellone. Da molti indicato come tessitore di molte tele che intrecciano i fili gialli con quelli verdi.

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