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Esteri

Bombe nel cuore di Damasco. Messaggio da Israele ad Assad

Omar Sanadiki / Reuters
Omar Sanadiki / Reuters 

Un rais "dimezzato" e sotto tutela del Garante russo (Vladimir Putin), può essere tollerato. Ma un capo che si sente il Vincitore della guerra siriana e come tale, col sostegno politico e militare dell'Iran, decida di voler tornare sullo scenario regionale, questo Israele non lo accetterà mai. E lo fa capire. Non a parole. Con le bombe. Due fortissime esplosioni hanno illuminato il cielo nei pressi di un aeroporto militare a Damasco. La causa dell'esplosione non è nota, ma sono circolate diverse ipotesi.

Secondo Russia Today ad essere colpito è stato un deposito di munizioni. Le esplosioni sentite nella base aerea di Mezzeh, vicino a Damasco e sarebbero state causate da attacchi missilistici israeliani che hanno colpito la base e dai sistemi di difesa aerea siriani che hanno risposto all'attacco. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, gli aerei sarebbero israeliani e ci sarebbero morti e feriti. In maniera piuttosto inusuale, i media nazionali della Siria hanno tuttavia smentito che dietro le esplosioni possa celarsi Israele e, attraverso la Tv di Stato, è stata diffusa l'informazione che entrambe le detonazioni siano state provocate da un cortocircuito e che "non c'è stata nessuna aggressione israeliana". Anche fonti militari hanno sostenuto che l'esercito d'Israele sia estraneo all'attacco e che sia stato un guasto all'impianto elettrico a far esplodere il deposito di munizioni. La base di Mezzeh – già in passato oggetto di attacchi aerei e missilistici israeliani - si trova nel quartiere sede delle abitazioni di molti funzionari e ufficiali dell'esercito, nucleo forte quindi del regime di Bashar al-Assad. Nelle vicinanze si trova anche il palazzo presidenziale. L'inusuale smentita di Damasco, trova una spiegazione ufficiosa a Tel Aviv.

Dice a HuffPost una fonte del ministero della Difesa: "Alla vigilia della battaglia di Idlib – spiega la fonte – che dovrebbe portare l'esercito lealista, sostenuto sul campo dalle milizie di Hezbollah e dai Pasdaran iraniani, a riconquistare l'ultima provincia ancora in mano ai ribelli, ammettere di essere vulnerabile nel cuore di Damasco, significherebbe mostrarsi debole e, in questo momento, è l'ultima cosa che Assad vuole". "Le testimonianze in nostro possesso vanno nella direzione di un attacco aereo, portato da chi non è difficile intenderlo", dice Rami Abdul Rahman, direttore di Ondus, raggiunto telefonicamente da HuffPost. A Idlib, invece, i ribelli hanno fatto saltare due importanti ponti nel tentativo di ostacolare il temuto assalto delle truppe governative siriane all'ultima roccaforte che ancora si oppone al regime del presidente Bashar al-Assad. I due ponti sono stati distrutti da fazioni islamiste del Fronte di Liberazione nazionale, il principale cartello non jihadista di Idlib. In Siria c'è il rischio di una nuova catastrofe umanitaria alla vigilia dell'annunciata offensiva militare russo-iraniano-governativa contro l'ultima roccaforte anti-regime nella parte occidentale del paese in guerra: il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato nei giorni scorsi questo appello ai belligeranti, mentre l'inviato speciale per la Siria, Staffan De Mistura, ha proposto l'apertura di corridoi umanitari per mettere in salvo circa tre milioni di civili presenti nella zona.

La Russia, che da anni sostiene il governo siriano nel conflitto in corso, è pronta a lanciare l'offensiva su Idlib offrendo piena copertura aerea alle forze di terra, composte da truppe regolari di Damasco e da milizie ausiliarie, incluse quelle filo-iraniane già posizionate ai confini della regione nord-occidentale di Idlib. Per il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, la proposta dei corridoi umanitari avanzata da De Mistura "va studiata nel dettaglio". La Russia potrebbe lanciare almeno cento missili da crociera Kalibr a supporto della grande offensiva nel Governatorato di Idlib, Questa la stima delle capacità di proiezione delle dodici unità (dieci di superficie e due sottomarini) che Mosca ha schierato davanti la costa siriana. Gli Stati Uniti sono pronti a bombardare di nuovo la Siria se l'esercito di Assad userà armi chimiche nella battaglia per Idlib. Secondo quanto riferito da Bloomberg: l'avvertimento è stato dato dal consigliere per la Sicurezza nazionale Usa John Bolton all'omologo russo Nikolai Patrushev durante il loro incontro a Ginevra, lo scorso 22 agosto. secondo Mosca, il cacciatorpediniere americano USS Ross, con 28 missili da crociera Tomahawk, è entrato nel Mediterraneo il 25 agosto; se si aggiunge al quadro l'USS Sullivan, dislocato nel Golfo Persico e armato di 56 missili e il bombardiere strategico B-1B (altri 24 missili da crociera) inviato nella base militare di El Udeid, in Qatar, gli Usa dispongono nell'area di una forza sufficiente a montare un attacco di vasta scala in Siria. Attualmente il territorio siriano è controllato per il 64% dall'Esercito Siriano e dai suoi alleati, per il 26,8% dalle milizie curde filo Usa (FDS) mentre le diverse milizie ribelli incluse quelle filo turche e i jihadisti dell'ex Fronte al-Nusra controllano il 7,35% del territorio e lo Stato islamico solo l'1,5%.

Nella partita finale a Idlib un ruolo da titolare intende rivendicarlo l'Iran. Lunedì Iran e Siria hanno annunciato di aver rafforzato la cooperazione militare in atto dagli anni '80. L'agenzia governativa siriana Sana ha riferito dell'incontro a Damasco tra il presidente siriano e il ministro della difesa iraniano Amir Hatami, rimasto per due giorni nella capitale siriana. L'esito della battaglia, ormai scontata, peserà sui negoziati che determineranno il futuro assetto della Siria e la relativa spartizione del Paese in aree di influenza. Il regime di Damasco e il suo alleato russo considerano la provincia di Idlib "un focolaio di terroristi" da debellare al più presto, e hanno ammassato per farlo tra i 100.000 e i 150.000 uomini in vista di quella che si annuncia come una campagna ancor più sanguinosa di quelle per la riconquista di Aleppo e della Ghouta orientale, alla periferia di Damasco. Di fronte a loro, si schierano diverse sigle di ribelli tra cui spiccano gli uomini del Fronte di liberazione nazionale (Fln), una coalizione di quindici gruppi ribelli nata lo scorso maggio e sostenuta dalla Turchia, ma anche i jihadisti di Hay'at Tahrir al-Sham, l'ex Fronte al-Nusra, costola siriana di al-Qaeda, che conta circa 10mila affiliati tra cui molti stranieri.

Secondo alcune indiscrezioni, il Fln sarebbe in trattativa con Mosca, che intende evacuarli per concentrare l'assalto contro i jihadisti ed evitare pericolose frizioni con Ankara. Il ministero degli Esteri russo ha annunciato colloqui per una soluzione pacifica con il capo della delegazione dell'opposizione siriana, Nasr Hariri. Le forze lealiste "hanno il pieno diritto di proteggere la loro sovranità e di cacciare, liquidare la minaccia terroristica sul loro territorio", ha ribadito, citato da Interfax, il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, aggiungendo che il ministero della Difesa russo e il Dipartimento della Difesa degli Usa hanno contatti "in tempo reale" sulla Siria. "C'è un accordo su un meccanismo per evitare incidenti involontari e funziona", ha affermato Lavrov. Difficilmente, concordano fonti militari e diplomatiche nelle capitali arabe e a Gerusalemme, l'offensiva delle truppe siriane prenderà il via prima dell'8 settembre, il giorno dopo il terzo summit del processo di Astana tra Iran, Russia e Turchia, previsto per il 7 settembre, che si terrà a Teheran. La Turchia si oppone all'offensiva su Idlib, ufficialmente perché la ritiene "disastrosa" dal punto di vista umanitario temendo nuovi flussi di profughi verso il suo territorio ma in realtà perché teme che il ritorno in forze delle truppe di Damasco e russe nel nord del Paese possa compromettere il controllo esercitato dalle truppe di Ankara su alcuni territori siriani di confine.

Resta l'immanente tragedia umanitaria. Al termine dell'Angelus in Piazza San Pietro, papa Francesco ha ricordato le notizie "inquietanti sui rischi di una possibile catastrofe umanitaria in Siria, nella Provincia di Idlib. Rinnovo il mio accorato appello alla Comunità internazionale e a tutti gli attori coinvolti ad avvalersi degli strumenti della diplomazia, del dialogo e dei negoziati, nel rispetto del Diritto umanitario internazionale e per salvaguardare le vite dei civili". Ma a Idlib si attende il peggio. E almeno 700mila civili si preparano alla fuga. Disperata.

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