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Esteri

L'Isis attacca il cuore dell'Iran

MORTEZA JABERIAN via Getty Images
MORTEZA JABERIAN via Getty Images 

Sangue sulla mezzaluna rossa sciita. Una sfida mortale che stavolta l'Iran subisce in casa, in quello che, per la dinamica operativa e per il segno politico, appare qualcosa di più di un sanguinoso attentato. Strage alla parata militare. Il bilancio dell'attacco è di almeno 29 morti e 53 feriti. A riferirlo è l'agenzia ufficiale Irna.

La parata si svolgeva ad Ahvaz, capoluogo della provincia sud-occidentale del Khuzestan con una forte presenza araba Tra le vittime anche un giornalista e 24 Pasdaran. L'attacco, si legge nel comunicato rilanciato dalla Bbc in persiano, rientra nella "legittima resistenza" contro Teheran e "nessun civile è stato preso di mira". Dopo il gruppo separatista arabo, anche i miliziani dell'Isis hanno rivendicato l'attentato. "Combattenti dello Stato islamico hanno attaccato un'adunata delle forze iraniane nella città di Ahvaz", ha riferito Amaq, organo di propaganda dei jihadisti. L'attentato arriva poco più di un anno dopo l'assalto del giugno 2017 condotto da miliziani dell'Isis contro il Parlamento e il mausoleo dell'ayatollah Ruhollah Khomeini a Teheran, quando almeno 18 persone furono uccise e oltre 50 rimasero ferite. Il commando era composto da quattro elementi, che indossavano le divise dei Pasdaran: "Due sono stati uccisi altri due catturati", ha aggiunto. Secondo la Fars, tuttavia, almeno due terroristi sono riusciti a fuggire a bordo di una moto.

La parata si celebrava in occasione dell'anniversario dell'invasione dell'Iran ordinata da Saddam Hussein. "I terroristi reclutati, addestrati, armati e pagati da un regime straniero hanno attaccato Ahvaz. Bambini e giornalisti tra le vittime. L'Iran ritiene responsabili di tali attacchi gli sponsor regionali del terrore e i loro padroni statunitensi. L'Iran risponderà rapidamente e con decisione in difesa delle vite iraniane". Così il ministro degli Esteri iraniano, Java Zarif, via Twitter. E a distanza di qualche ora è arrivata la prima dichiarazione del presidente iraniano, Hassan Rohani: "La risposta della Repubblica Islamica dell'Iran alla più piccola minaccia sarà devastante. Coloro che danno sostegno d'intelligence e propaganda a questi terroristi dovranno risponderne", fa sapere sul proprio sito. "Siamo indignati per questo crimine: l'attacco è un'ulteriore prova della necessità di una guerra senza compromessi contro ogni manifestazione di terrorismo", ha scritto a Rohani in un telegramma di condoglianze il presidente russo Vladimir Putin, grande alleato dell'Iran nella guerra in Siria, a sostegno di Bashar al-Assad.. Ahvaz è il capoluogo della provincia del Khuzestan, area di frontiera ricca di petrolio, abitata da una forte comunità araba, oltre 3 milioni di persone, in prevalenza sunnite. Da tempo accusano le autorità centrali sciite di essere discriminate e negli ultimi anni ci sono stati attacchi da parte di gruppi separatisti contro le strutture petrolifere.

Tra il 2005 e il 2006 nell'area di Ahvaz ci furono violenti disordini a cui fecero seguito una serie di attentati dinamitardi attribuiti a gruppi separatisti arabi che causarono 28 morti e 225 feriti. Nel febbraio 2017 ad Ahvaz si era recato anche il presidente iraniano, Hassan Rohani, per cercare di calmare gli animi dopo le dure proteste dei residenti che si lamentavano del fortissimo inquinamento, dei tagli alla corrente elettrica e dei problemi nella fornitura idrica. In una cerimonia analoga, nella capitale, poco prima dell'attacco, il presidente iraniano era tornato a tuonare contro gli Stati Uniti e le azioni che Israele, a detta del regime, sta intraprendendo per creare instabilità. "Il presidente americano, Donald Trump, perderà nel suo scontro con l'Iran, come è successo al dittatore iracheno Saddam Hussein", ha assicurato Rohani, intervenendo alla parata militare al Mausoleo di Khomeini che commemora la guerra Iran-Iraq negli anni '80. "A Trump succederà lo stesso, l'America soffrirà lo stesso destino di Saddam Hussein", ha aggiunto Rohani, ribadendo che Teheran "non abbandonerà il suo sistema difensivo, compresi i suoi missili che fanno così arrabbiare gli Usa". Teheran sostiene che la produzione dei missili è per scopi difensivi e non sarebbe in contrasto con il diritto internazionale e non costituirebbe una violazione degli accordi internazionali. A febbraio l'Iran aveva annunciato la produzione di due nuovi missili balistici, Qadr H e Fajr 5, in grado di trasportare testate e con un raggio sufficiente per raggiungere Israele o le basi americane nel Golfo. La strage alla parata è un attacco diretto, non solo in chiave separatista, ai Pasdran e al loro radicato sistema di potere. Secondo uno studio recente, i Pasdaran controllerebbero addirittura il 40% dell'economia iraniana: dal petrolio al gas e alle costruzioni, dalle banche alle telecomunicazioni. Un'ascesa che si è verificata soprattutto sotto la presidenza di Ahmadinejad, ma che è proseguita sotto quella di Rohani.

I Pasdaran fanno direttamente capo alla Guida Suprema della Repubblica islamica dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei. E sempre la Guida Suprema controlla direttamente la Setad, una fondazione con 95 miliardi di dollari di asset presente in tutti i comparti dell'economia. Doveva rimanere in vita solo un paio d'anni ma nel corso del tempo si è trasformata in un colosso immobiliare – 52 miliardi di asset – che ha acquistato partecipazioni in decine di aziende in quasi tutti i settori: finanza, petrolio, telecomunicazioni, dalla produzione di pillole anticoncezionali all'allevamento degli struzzi. Tra portafoglio immobiliare (52 miliardi di dollari) e quote societarie, 43 miliardi, la Setad ha un valore nettamente superiore alle esportazioni petrolifere iraniane dello scorso anno. Le Bonyad, le Fondazioni esentasse, sono il cuore dell'economia: detengono almeno il 30-40% del Pil e hanno sottratto spazio ai privati favorendo soltanto alcuni di loro, quelli vicini alla cerchia del potere che ricordiamolo è comunque sempre a geometria variabile, a seconda delle stagioni politiche...". Se si somma il potere diretto di Kamenei a quello, altrettanto pervasivo e radicato della "Pasdaran Holding", si ha un quadro sufficientemente nitido su un regime teocratico-militare che si è fatto, per l'appunto, sistema. Le spinte separatiste s'innestano su un crescente malessere sociale, acuito dalle sanzioni americane rilanciate e rafforzate da Donald Trump.

Le sanzioni, entrate in vigore il 7 agosto, a livello finanziario, si sono abbattute sull'acquisto di dollari da parte del governo iraniano, sulle maggiori transazioni per comprare rial iraniani e sui titoli di Stato di Teheran. A livello commerciale, la mannaia di Washington si abbatterà, in varie fasi, sul commercio in oro e su quello dei metalli preziosi, sul settore dell'automobile, sulla vendita di metalli grezzi e grafite, sulla vendita di alluminio e acciaio e del carbone ma anche su quella di software per l'industria. Colpiti anche il settore del pistacchio e quello dei tradizionali tappeti persiani, uno dei grandi prodotti del made in Iran. Alcune cifre spiegano il malessere sociale crescente: la disoccupazione è ancora al 12,4 %.con un aumento di 1,4 punti nell'ultimo anno. Circa 3,2 milioni di persone sono senza lavoro, su una popolazione di 80 milioni. Il primo agosto, la divisa iraniana ha segnato un nuovo minimo contro il dollaro, con valori scambio sul mercato nero pari a 120 mila rial per un dollaro, rispetto ai 90 mila della settimana precedente. Un malessere che dipende anche dai costi della guerra siriana. Per sostenere direttamente il regime di Assad, l'Iran, come Stato, attraverso le proprie banche, ha investito oltre 4,6 miliardi di dollari, che non includono gli armamenti scaricati quotidianamente da aerei cargo iraniani all'aeroporto di Damasco, destinanti principalmente ai Guardiani della Rivoluzione impegnati, assieme agli hezbollah, a fianco dell'esercito lealista. Non basta.

Almeno 50mila pasdaran hanno combattuto in questi anni in Siria, ricevendo un salario mensile di 300 dollari. Lo Stato iraniano ha pagato loro anche armi, viaggi e sussistenza. E così è avvenuto anche per i miliziani del Partito di Dio. "Sono anni che l'Iran paga tutte le spese degli Hezbollah libanesi e ora anche dei ribelli Houthi yemeniti – dice a l'Avvenire Shirin Ebadi, avvocata, attivista dei diritti umani, premio Nobel per la pace 2003 - Abbiamo speso molto denaro nella guerra in Siria e in Iraq, fondi che avrebbero dovuto essere convogliati al miglioramento delle condizioni di vita del mio popolo e che, invece, hanno creato ulteriore povertà nel Paese e nella regione. Uno degli slogan delle ultime manifestazioni, infatti, è: 'Non spendete soldi in Siria. Usateli per noi'". Ma non sembra essere questa l'idea della "Pasdaran holding" e di chi tiene ancora nelle proprie mani le redini del regime: Ali Khamenei.

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