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Politica

Ma Tria regge, sulla manovra come su una inesorabile linea del Piave

Agf
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Ma Tria regge, come su una inesorabile linea del Piave. Anche se, nei Palazzi della politica, a poche ore dal vertice sulla manovra, vengono dipinti scenari apocalittici, nel senso che "o cambiano i saldi, o cambia il ministro". È un'ipotesi, quella delle dimissioni, che al momento l'interessato non contempla. Del resto: perché dovrebbe dimettersi un ministro che ha giurato sulla Costituzione di tutelare l'interesse della nazione, come quello ad esempio di non farla bruciare nello spread?

Ha lavorato fino a tarda notte col suo staff, Giovanni Tria, perché tardi è arrivato il decreto su Genova. E al Tesoro filtra una sicurezza olimpica: la calma dei numeri: fino all'1,9% il quadro regge, con qualche rischio, di più ci si avvicina al disastro. Perché il contesto è chiaro, al netto delle roboanti dichiarazioni pentastellate, tese a mettere pressione, ma che rivelano anche una certa difficoltà, propria di un partito che, in questi mesi, ha perso consensi, mentre la Lega incassava dividendi. È bastata la voce delle dimissioni, per registrare un ribasso in Borsa e un certo nervosismo sui mercati. E infatti Di Maio, in tutte le sue dichiarazioni, molto muscolari, non ha mai accennato all'eventualità che il titolare di via XX settembre possa essere sostituito con leggerezza. Ecco il punto: chi può permettersi di "cacciare" Tria e aprire una crisi di Governo a sessione di bilancio aperta, accendendo il gran falò dei mercati?

È questo che preoccupa non pochi dentro la Lega, con Luca Zaia che da giorni si è attaccato al telefono predicando prudenza. E ottenendo ascolto e condivisione da Giancarlo Giorgetti. Complicato, molto complicato spiegare al Nord produttivo che una sorta di remake del 2011 possa essere una linea politica, con il reddito di cittadinanza come casus belli. Perché certo si potranno fare comizi contro l'Europa, ma nel frattempo scappano gli investitori. È una pressione forte, quella del Nord, che spinge il lavorio su una mediazione possibile, perché, dicono fonti di governo, "tra l'1,6 e il 2,4" ci sono ragionevoli vie di mezzo e "certo non ci si può appiccare a un decimale in più o in meno".

È una classica prova di forza a oltranza quella che andrà in scena a palazzo Chigi. Prevertice, poi il Consiglio dei ministri, insomma "si fa notte". Il punto vero è Di Maio. Fonti di governo leghiste così fotografano queste ore: "Ha il problema che non può permettersi di non incassare sul reddito di cittadinanza, il che significa che sotto al 2,2% di deficit non può assolutamente scendere. Ne va della sua leadership e della tenuta del suo Movimento". E non a caso vengono fatti circolare, nella pretattica di queste ore, piani B, su un eventuale successore di Tria. Uno di questi prevede l'interim a Giuseppe Conte con qualche delega in più a Paolo Savona, come in una specie ritorno alla casella di partenza, ai tempi della formazione del Governo, prima del cortocircuito con Mattarella. Perché poi, in fondo, la storia è tutta qui e la manovra costringe a sciogliere un nodo finora lasciato nell'ambiguità, ovvero il rapporto con l'Europa e con i mercati. Giorgetti lavora per mediare, ma se Di Maio forzerà sulla linea "o 2,4 o morte", Salvini, dicono i suoi, ce la metterà tutta ma non si immolerà a difesa di Tria lasciando solo il suo alleato, soprattutto perché l'alleato è un competitor da cui non farsi scavalcare sul terreno dell'anti-europeismo e dell'opposizione all'establishment che frena il cambiamento. Chissà. O forse anche questo è un bluff, come in una partita di poker, per spaventare l'altro giocatore, in questo caso Tria. In attesa che qualcuno dica "vedo".

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