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Politica

Paolo Savona, ministro ombra di Tria

TIZIANA FABI via Getty Images
TIZIANA FABI via Getty Images 

Da quando è al governo, si è praticamente inabissato: poche interviste, esposizione pubblica ridotta al minimo. Ma quando scatta l'ora X, Paolo Savona c'è. Il ministro degli Affari Europei che a maggio Matteo Salvini voleva a tutti i costi alla guida del ministero del Tesoro, il nome sul quale Sergio Mattarella disse 'no' fino a mettere a rischio la nascita del governo gialloverde, è presente oggi a Palazzo Chigi nei vertici decisivi sulla manovra economica. I partiti, sia Lega che Cinquestelle, lo hanno affiancato a Giovanni Tria. Fonti di governo spiegano che è un modo per 'tutelarsi' con il ministro dell'Economia che tira la corda sui conti opponendo resistenza alla richiesta di alzare il deficit al 2,4 per cento del pil.

Insomma, Savona, il ministro finito nella bufera per il suo piano B sull'euro, il nome sul quale si era impuntato Salvini all'epoca delle trattative col Quirinale sul nuovo esecutivo, è rispuntato nelle 'stanze dei bottoni' al momento cruciale. Cioè quando si tratta di decidere quanto saranno larghe le maglie della manovra economica che Lega e Cinquestelle vorrebbero carica del reddito di cittadinanza, flat tax, pace fiscale, riforma della Fornero. Quasi un ministro-ombra insomma, esperto di economia con la mission di controbattere alle richieste di Tria. Insieme al ministro del Tesoro, Savona ha incontrato il premier Giuseppe Conte, e poi insieme hanno lasciato Palazzo Chigi dove sono entrati i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Quella di Savona a Palazzo Chigi per i vertici sulla manovra economica è una presenza ancora più curiosa se si pensa che, in queste ore di scontro con Tria, dal fronte M5s trapela la minaccia di sostituire l'attuale ministro dell'Economia con un interim al premier per poi affidare il Tesoro allo stesso Savona. Voci di un movimento molto agitato sul dossier manovra, mentre continuano le trattative a Palazzo Chigi. L'ipotesi ritenuta realistica è che si chiuda un accordo al 2 per cento, percentuale che però i partiti vorrebbero 'trattare' ancora durante l'esame del Def in Parlamento.

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