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Cultura

Cristina Bowerman: "Il cibo è diventato una specie di religione. Vegani, vegetariani, crudisti: serve senso critico"

Getty Images
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Quello tra l'arte e Cristina Bowerman è un rapporto duraturo. "Mi definisco un'artista, o un'artista mancata" dice sorridendo. Col suo ciuffo colorato e iconico e uno dei volti noti della cucina italiana e mondiale. Alla biennale d'arte e cibo presentata da "Culinaria", giunta alla sua undicesima stagione, presenterà il suo progetto "Stand Up". Perché l'edizione di quest'anno prevede l'abbinamento tra un artista e uno chef e lei, in collaborazione con Davide Dormino, scultore e disegnatore friulano, è: "Entusiasta. Proprio felice. L'idea di quest'anno mi piace tantissimo". Lei, cerignolana di nascita, laureata in giurisprudenza, ha studiato in California, e poi ad Austin, in Texas, si è laureata in Culinary Arts. L'arte che ritorna per lei che è impegnatissima tra il lavoro e il figlio: "La mia vera priorità".

Qual è il tuo rapporto con Culinaria?

Sono stata la prima ad essere chiamata. La prima volta, la prima edizione, ho anche dato una mano con l'organizzazione e con tutti i casini che potevano succedere. Siamo arrivati all'undicesima, credo sia un percorso straordinario. Ogni edizione poi è stata una ventata di novità, cosa che non succede così spesso a Roma. Poi l'idea di quest'anno è bellissima, abbinare un'artista e un piatto legati da un unico filo.

Qual è la vostra ricetta?

Il progetto è quello di immaginare un mondo diverso. L'opera è bellissima, di Davide Dormino, un'artista con il quale è scattata subito una grande sintonia. Si chiama "Stand up", alzati, è un pezzo unico, due sedie e un tavolo non saldate ma create da un solo blocco. Sulle sedie poi bisogna salirci in piedi per assaggiare il mio piatto. Che in realtà è un piatto semplice. Semplice ma con una particolarità. Sono due tacos conditi con insalata, humus, tofu e quattro diverse salse. Le quattro salse, che rappresentano il cuore della mia idea gastronomica, hanno quattro diversi colori e rappresentano i quattro colori della pelle umana. Rosso, nero, bianco e giallo. Col tacos devi prendere tutte le salse e, da questa speciale "scarpetta", viene fuori un gusto unico e omogeneo. Come l'opera di Davide, il mio piatto è un ponte tra gli uomini. Una ricetta per l'umanità.

Quindi il cibo come filo conduttore per l'uguaglianza?

Certo, ma mantenendo comunque l'individualismo. Nel senso di particolarità, non di egoismo. Credo che ognuno debba sentirsi libero di vivere senza dover sottostare alle mode. Credo nella diversità, non per ribellione. Sono una persona eticamente e moralmente corretta e spesso sono costretta a scontrarmi con chi non lo è.

Ora vi è un grande risalto mediatico intorno alla cucina, come mai?

Perché il cibo è diventato una specie di religione. Vegani, vegetariani, crudisti. Io credo serva un senso critico. Come per la rivoluzione francese si dice fu la borghesia ad armare il popolo, allo stesso modo non possiamo essere inconsapevoli di tutto quello che accade. Penso agli interessi delle multinazionali. Bisogna saper scindere. Prendi la guerra al glutine, in America non si parla d'altro. Se così fosse noi Europei saremmo morti da un pezzo. Quando penso a queste cose mi viene in mente "Il Diavolo veste Prada". La scena in cui Meryl Streep, in un favoloso monologo, spiega che anche chi è contro la moda finisce per caderci dentro pure se inconsapevolmente. Credo si possa declinare a tutti.

E gli chef diventati maître à penser?

Se è giusto o meno lo dirà la storia. Il cibo è strabiliante e la gente ha bisogno di credere in qualcosa.

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