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Politica

Trattativa a oltranza. Governo al lavoro, i conti non tornano. Lo scoglio principale è il condono

Simona Granati - Corbis via Getty Images
Simona Granati - Corbis via Getty Images 

Al tavolo sulla manovra convocato in serata a palazzo Chigi non siedono né Matteo Salvini né Luigi Di Maio. Mancano meno di 24 ore a una delle riunioni del Consiglio dei ministri più delicate per il governo gialloverde. C'è il Documento programmatico di bilancio che deve essere inviato entro la mezzanotte di lunedì a Bruxelles, ma soprattutto ci sono due provvedimenti - la manovra e il decreto fiscale - che navigano ancora in cattive acque. Luigi Di Maio va da Barbara D'Urso a dire che "i soldi ci sono", ma i conti ancora non tornano. Non c'è neppure l'accordo su uno dei temi più spinosi, cioè la pace fiscale. Ci si aspetterebbe, quindi, una presenza dei pesi massimi, ma le sedie vuote dei due vicepremier diventano l'immagine di una consapevolezza: il lavoro da fare è ancora tanto, troppo per chiudere già stasera. È ancora stallo. Ancora trattativa. Spazio, quindi, alla pletora dei sottosegretari, che al loro fianco si ritrovano il premier Giuseppe Conte, nel ruolo del moderatore, e nove ministri che si preparano a capire cosa li aspetta domani, il giorno del redde rationem.

La decisione di convocare le seconde linee politiche e metterle a confronto con il ministro dell'Economia Giovanni Tria, che si tira dietro lunghi giorni di amarezza e nuovi pressing per la vicenda Alitalia, nasce quindi dalla necessità di provare a districarsi tra il "lavoro sporco". Un lavoro preparatorio per quantomeno provare ad apparecchiare il tavolo che conta, quello di lunedì mattina, quando ci saranno Salvini e Di Maio, da soli con Conte e Tria. La riunione si terrà prima del Consiglio dei ministri atteso per le 18 e sarà quella decisiva. È lo stesso schema adottato con la Nota di aggiornamento al Def: le questioni pesanti si affrontano in forma ristrettissima, quando sul tavolo si portano non tanto i numeri ma le richieste politiche che arrivano dai rispettivi elettorati.

È stato così quando bisognava portare a casa il reddito di cittadinanza e il superamento della Fornero, sarà così anche questa volta. Solo che con la cornice della manovra la spartizione si inseriva in una logica di divisione paritaria, cioè il reddito ai 5 Stelle e la quota 100 per le pensioni al Carroccio. Ora c'è da trovare un'intesa sulla pace fiscale: la versione definitiva deve essere una, ma ad oggi sono ancora due. La Lega spinge per un decreto fiscale - il veicolo normativo della pace tributaria - a maglie larghe: vuole un saldo e stralcio con un tetto considerevole, pari a 500mila euro, e la possibilità per il contribuente non in regola di rimettersi in linea con il Fisco attraverso il pagamento del 25% sul debito totale. Una percentuale che si è alzata rispetto all'iniziale 15% e anche sul tetto i leghisti sono disposti a rimodellare l'importo, ma ai pentastellati non basta. L'unica strada percorribile per Di Maio e i suoi è quella di un rafforzamento del ravvedimento operoso perché la linea degli alleati di governo è considerata un condono, quindi un tabù. Meglio una versione più soft, che rientri nella cornice del pagamento ridotto di interessi e sanzioni in caso di omissioni o errori nei versamenti.

Ai sottosegretari e ai tecnici, come si diceva, il compito di cercare di mettere in fila ipotesi di conciliazione sulle opzioni e le aliquote. Lavoro indispensabile perché senza la pace fiscale viene a mancare una delle coperture più importanti per la manovra. E a livello politico significa che se non si approva il decreto fiscale allora anche la legge di bilancio è destinata a slittare. Di Maio professa sicurezza e vuole il via libera già domani, provando a forzare la mano su un tema caro ai 5 Stelle, cioè il taglio alle pensioni d'oro che nell'ipotesi del vicepremier pentastellato porterebbe a un incasso di un miliardo attraverso una nuova stretta sugli assegni, non più a 4.500 ma a 3.500 euro. Ma i numeri e il relativo incasso non vengono confermati da alcune fonti di governo e le sue dichiarazioni assumono le sembianze di un pressing politico più che di una possibilità concreta di fare passare la misura domani. Il risparmio sarebbe una boccata d'ossigeno per la manovra, che tuttavia sul fronte delle coperture deve ancora fare i conti con altre entrate mancanti. I tagli ai ministeri, ad esempio, restano un tema molto caldo dentro ai delicati equilibri del governo gialloverde. Si tratta a oltranza, annaspando.

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