Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Esteri

Bolsonaro e Netanyahu, come nasce un amore politico

youtube
youtube 

Dopo Donald Trump e Viktor Orban, "Bibi" ha un altro carissimo amico. E un amico che conta. Perché è il neo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro. Il premier israeliano è stato tra i primi a congratularsi con Bolsonaro dopo l'ufficializzazione della sua vittoria al ballottaggio che lo vedeva contrapposto al candidato della sinistra, Fernando Haddad. "Sono fiducioso che la vostra elezione porterà ad una grande amicizia tra i due popoli e al rafforzamento dei legami tra Brasile e Israele", ha detto Netanyahu a Bolsonaro, secondo una dichiarazione rilasciata dall'Ufficio del Primo Ministro. "Attendiamo la tua visita in Israele", ha aggiunto Netanyahu. In precedenza, una fonte diplomatica di alto livello aveva confidato ad Haaretz che, per quanto riguarda Israele, "il Brasile sarà ora colorato in blu e bianco", riferendosi ai colori della bandiera israeliana. Ad agosto, Bolsonaro aveva annunciato che, se fosse stato eletto, avrebbe chiuso l'ambasciata palestinese a Brasilia e trasferito l'ambasciata del suo paese da Tel Aviv a Gerusalemme.

Quella tra Netanyahu e Bolsonaro, afferma l'ambasciatore israeliano in Brasile, Yossi Shelley, è stata molto più di una conversazione amichevole: "E' stata – rivela – una conversazione eccellente, aperta, tra amici". E ancora: "I due – annota l'ambasciatore – si sono incontrati una volta sola, due anni e mezzo fa, a Gerusalemme, ma è bastato per stabilire una amicizia calorosa e per verificare una convergenza politica". In quell'occasione, l'allora deputato federale dichiarò che se fosse stato eletto presidente, la sua prima visita ufficiale sarebbe stata in Israele. Il presidente eletto non rinnega le promesse da candidato e confermato la sua intenzione di spostare l'ambasciata brasiliana da Tel Aviv a Gerusalemme. In un'intervista al quotidiano Israel Ha-Yom, che ne ha diffuso un'anticipazione, Bolsonaro ha affermato: "Israele è un Paese sovrano. Se decide quale è la sua capitale, noi concordiamo. Quando mi è stato chiesto in campagna elettorale se una volta eletto avrei spostato la nostra ambasciata ho risposto di sì. Voi siete gli unici a decidere quale debba essere la vostra capitale, non altri Paesi". Le stesse, identiche considerazioni fatta da Donald Trump per spiegare la scelta statunitense. Bolsonaro ha poi detto al direttore del quotidiano Boaz Bismuth – che ha condotto l'intervista per telefono – che "Israele può contare" sul voto del Brasile all'Onu "su quasi tutte le tematiche che coinvolgono il Paese". "So – ha spiegato – che il voto alle Nazioni Unite è spesso solo simbolico ma questo aiuta a definire la posizione che un Paese desidera adottare". "Sono stato in Israele due anni fa e intendo ritornarci. L'ambasciatore israeliano in Brasile – ha proseguito – mi ha fatto visita due volte questa settimana e abbiamo da sempre una eccellente relazione. Sono molto contento di essere stato trattato in modo così caloroso e che un rappresentante ufficiale dello Stato di Israele mi tratti in questo modo, il sentimento è reciproco. Amo il popolo e lo Stato di Israele. Potete essere certi che promuoverò strette relazioni e una cooperazione produttiva per entrambe le parti a partire dal 2019". Rispondendo poi a una domanda di Bismuth se intenda cambiare "lo status dell'ambasciata di Palestina in Brasile", Bolsonaro ha risposto: "È stata costruita troppo vicino al palazzo presidenziale... nessuna ambasciata può essere così vicina e per questo intendiamo spostarla da dove è e per me non c'è altra possibilità. Inoltre, la Palestina deve essere prima uno Stato per avere il diritto ad un'ambasciata.

Netanyahu ha assicurato la sua presenza alla cerimonia di investitura, l'1 gennaio 2019, di Bolsonaro. Sarebbe la prima visita di un capo di governo israeliano in Brasile dalla fondazione dello Stato ebraico nel 1948. Già questo dà conto dell'investimento che Netanyahu intende fare sul "nuovo Brasile" che svolta a destra. Una destra identitaria, sovranista, nemica dei migranti. E dei Palestinesi. "La Palestina è uno Stato? No, non lo e dunque non deve avere una sua ambasciata", aveva sostenuto l'allora candidato Bolsonaro in campagna elettorale. Per Israele è una svolta radicale, che cambia completamente lo scenario, di forte frizione, che aveva caratterizzato i rapporti tra lo Stato ebraico e i precedenti governi presidenziali a guida Pt. L'ex presidente Lula, aveva riconosciuto unilateralmente lo Stato di Palestina nel 2010, concedendo 10 milioni di dollari come contributo pubblico del Brasile all'Autorità nazionale palestinese (Anp). Una linea portata avanti anche da colei che ne prese il posto presidenziale: Dilma Rousseff. Negli anni della sua presidenza, le relazioni diplomatiche tra Brasile e Israele hanno avuto momenti di forte attrito. Nel 2014, nel vivo della guerra di Gaza tra Israele e Hamas, l'allora ministro degli Esteri Luiz Alberto Figueiredo richiamò in patria per consultazioni l'ambasciatore brasiliano a Tel Aviv Henrique Sardinha Filho.In risposta, il portavoce del governo israeliano, Ygal Palmor, definiì il Brasile un "nano diplomatico".

Due anni dopo, nell'agosto 2015, il governo brasiliano non accettò le credenziali di ambasciatore d'Israele a Brasilia di Dani Dayan. La ragione è che Dayan era stato membro del Consiglio degli insediamenti di Giudea e Samaria, l'organismo rappresentativo degli oltre 400mila coloni della Cisgiordania. Parlare di rapporti freddi, è un eufemismo. Il Brasile di Lula e Rousseff era per la destra israeliana una delle entità ostili nella comunità internazionale. Si spiega così la decisione di Netanyahu di escludere il Brasile dai Paesi dell'America Latina visitati, in missione ufficiale, nel 2017. Un altro momento di fortissima frizione si è consumato durante lo scontro all'Assemblea generale delle Nazioni Unite su Gerusalemme. Non solo il Brasile si schierò apertamente contro la decisione di Trump di spostare l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, ma fece "campagna elettorale" tra i Paesi latinoamericani perché non seguissero la strada indicata dall'inquilino della Casa Bianca. Un'opera di persuasione riuscita. Uno smacco per "Bibi" accresciuto dopo il ripensamento del Paraguay che ha fatto marcia indietro, riportando la propria ambasciata in Israele da Gerusalemme a Tel Aviv. Una decisione arrivata pochi mesi dopo l'annuncio di voler seguire la traccia di The Donald.

A seguire quella traccia, a maggio, era stato l'ex presidente Horacio Cartes. "Il Paraguay vuole contribuire a intensificare gli sforzi diplomatici regionali per raggiungere una pace ampia, equa e duratura in Medio Oriente", ha affermato il ministro degli esteri Luis Alberto Castiglioni aggiungendo che la decisione dell'ex presidente Horacio Cartes era stata "viscerale e senza giustificazione". Apriti cielo! In un'infuocata nota del premier Netanyahu si legge che "Israele considera molto seriamente la decisione del Paraguay" e che essa "danneggerà le relazioni tra i nostri paesi". Cartes era arrivato in Israele per inaugurare la nuova ambasciata a maggio. Il suo successore Mario Abdo, anch'egli membro del partito conservatore, è entrato in carica il mese scorso. Dunque, cinque mesi e mezzo dopo lo storico trasloco statunitense, solo il Guatemala del presidente ed ex comico Jimmy Morales è stato reclutato. Da Trump più che da Netanyahu. Ma ora, sono convinti nell'entourage di Netanyahu, l"amico Jair" eserciterà tutta la sua influenza per spostare su posizioni filo-israeliane altri Paesi latinoamericani. Ma il sostegno senza se e senza ma di Bolsonaro a Israele non è spiegabile solo da ragioni geopolitiche o chiamando in causa il feeling personale instaurato tra il neo presidente brasiliano e Netanyahu. C'è anche un'altra ragione, che chiama in causa una delle componenti della società brasiliana che hanno determinato il successo dell'ex ufficiale dell'esercito di Brasilia: gli evangelici. Quanto al Brasile, le chiese evangeliche, in costante crescita, contano 42 milioni di fedeli, un salto in avanti di oltre il 60% negli ultimi dieci anni. A Rio de Janeiro uno ogni quattro elettori si dichiara evangelico. Una lobby politica trasversale: il Fronte parlamentare evangelico può contare su 194 deputati e 6 senatori: li chiamano la bancada evangelica, la "tribuna evangelica", spesso decisiva per approvare o cassare leggi importanti. Ed evangelico è anche Jair Bolsonaro, convertitosi due anni fa. La comunità evangelica ha dirottato su l'ex capitano dell'esercito la maggior parte dei suoi voti potenziali, trainandone l'ascesa elettorale.

Bolsonaro ha colto l'importanza di un supporto tanto massivo, segnalando il suo legame con l'elettorato religioso nel nome stesso scelto per la coalizione che lo ha sostenuto, "Dio sopra tutto" (Deus acima de todos). Il demografo José Eustáquio Alves prevede che nel 2040 il Brasile passerà dall'essere il più grande Paese cattolico del mondo al più grande Paese evangelico del pianeta. E gli evangelici, in Brasile come negli Usa, sono stati tra i più accaniti sostenitori della "Grande Gerusalemme" ebraica. Evangelico, convertito, è il presidente eletto del Brasile. E fervente evangelico, e pure lui convertitosi dal cattolicesimo, è un altro dei suoi più ferventi sostenitori esterni: il vice presidente degli Stati Uniti, Mike Pence. Fede e politica, nei due, sembrano intrecciarsi indissolubilmente. Così, nel suo discorso al Parlamento israeliano, il 22 gennaio 2018, l'evangelico Pence parlava di Gerusalemme e del popolo eletto: "Oggi, mentre mi trovo nella terra promessa di Abramo, credo che quanti amano la libertà e auspicano un futuro migliore" debbano volgersi verso Israele...E' stata la fede a ricostruire le rovine di Gerusalemme e a fortificarle nuovamente", aveva aggiunto. Jair Bolsonaro può tradurre in portoghese queste affermazioni. Nel contenuto, la condivisione è totale. Jair&Bibi: molto più che un "matrimonio" d'interessi.

I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione