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Politica

Manca solo l'annuncio. Marco Minniti si rifugia in Hegel nella scala per la candidatura

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All'ultimo gradino prima dell'annuncio che si candiderà al congresso del Pd. Consapevole che "il tempo si sta consumando". Marco Minniti cita persino Hegel, per spiegare qualche altro giorno di attesa: "La scala della ragione si sale un gradino per volta, consentitemi di salire questa scala un gradino per volta".

Manca solo il sì, ma il senso politico della presentazione del suo libro a Roma è quello di una discesa in campo. Dopo il suo discorso ad alta intensità politica in una sala, anch'essa politicamente significativa, sarebbe clamoroso il contrario. Ci sono più prefetti e diplomatici che giornalisti, molto Stato e molto governo, o meglio il grosso del centrosinistra di governo degli ultimi anni, da Paolo Gentiloni a Roberta Pinotti a Graziano Delrio, l'ex capogruppo Luigi Zanda. E ci sono gli opposti di questi anni. In prima fila, un po' laterale, Massimo D'Alema. Dall'alto lato, Francesco Bonifazi e parecchi parlamentari di stretto rito renziano. Secondo il linguaggio alla moda di questi tempi "establishment", che consuma i suoi riti all'insegna di un colpevole trasversalismo. Oppure, semplicemente e senza malizia, "una sala – come dice Vetroni - di persone che hanno idee politiche diverse, in un'epoca di recinti alti". Sia come sia, è una fotografia che, almeno questa è l'intenzione, può diventare un messaggio politico, di una possibile sintesi attorno alla sua candidatura: "Vedo persone – dice Minniti rispondendo a Lucia Annunziata – con le quali abbiamo condiviso un pezzo importante della nostra vita, altro che divisività".

Al momento nel suo discorso, ed è una novità, si intravedono, almeno questa è l'intenzione, tratti di una certa autonomia di impostazione, sia pur nelle condizioni date, senza polemiche e senza rotture. I tratti di quella autocritica del tutto assente nell'approccio renziano, otto mesi dopo il 4 marzo: "Il mio discorso è drastico – prosegue il quasi candidato – ed è che non si può archiviare la sconfitta, più dura di quella del '48". Minniti parla di una "rottura sentimentale" col popolo e della necessità di "non mettere la polvere sotto il tappeto", accennando una analisi della sconfitta: "Noi non siamo riusciti ad ascoltare la rabbia e la paura. E abbiamo dimostrato un approccio aristocratico, quasi che la rabbia e la paura fossero i segni di una intesa col nemico. E non c'è cosa peggiore che il sentimento possa essere biasimato".

Alla destra dell'ex ministro dell'Interno c'è Walter Veltroni. Alla sua sinistra il cardinale Angelo Becciu, che nel governo Vaticano si occupa di "affari generali" e Gianni Letta, da più lustri il principe della diplomazia berlusconiana. Il fil rouge è l'elogio della competenza, manifestata nei mesi in cui Minniti al Viminale ha gestito il dossier immigrazione. E di uno stile, discreto e da uomo dello Stato, assolutamente distonico rispetto a quello del suo successore, misurato e senza ostentazione: "Marco – dice Veltroni – ha un'elevata competenza, qualità ormai diventata un optional, in un'epoca in tutto è diventato normale. Ed è come se fossimo tutti sul tavolo di un chirurgo senza sapere se è laureato in medicina".

Sembra un edorsement di fatto, anche se Veltroni assicura che non lo è, fedele al suo proposito di stare fuori dalle dinamiche interne del Pd. La competenza in questione, però, è una piattaforma politica il cui titolo è proprio il titolo del libro: Sicurezza è Libertà. Ovvero il superamento dell'idea, tutta novecentesca, che i due concetti siano antitetici e che la dilatazione del primo provochi un restringimento del secondo e viceversa: "Di fronte a un bisogno di sicurezza – si chiede Minniti – si può rinunciare alla libertà? La mia risposta è no a questo scambio ed è, secondo me, una risposta unitaria". È questa la piattaforma della candidatura Minniti, in perfetta continuità con i suoi sedici mesi al Viminale.

La domanda, posta da Lucia Annunziata, su quanto questo approccio sia divisivo per la sinistra, resta (parzialmente) senza risposta. Forse perché la risposta sarà lunga quanto il congresso del Pd. In fondo è il tema di questa fase: se le politiche di Minniti siano state un cedimento, politico e culturale, "a destra" e dunque la preparazione del salvinismo o se invece siano l'unico terreno per contrastarlo. È una discussione che investì anche il mondo cattolico con l'Avvenire che titolò sul "reato umanitario" delle Ong, contro la svolta dell'allora ministro dell'Interno, e l'Osservatore Romano che invece benedì il suo realismo.

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