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Amnesty contro l'Italia: "Gestione repressiva delle migrazioni"

Stefano Montesi - Corbis via Getty Images
Stefano Montesi - Corbis via Getty Images 

"Gestione repressiva del fenomeno migratorio", "erosione dei diritti umani dei richiedenti asilo", "retorica xenofoba nella politica", "sgomberi forzati senza alternative". È un quadro terribile dell'Italia quello delineato dal rapporto "La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019", pubblicato da Amnesty International in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

CONTRO IL DECRETO SICUREZZA

Il governo Conte, scrive la ong, "si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio", in cui "le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio marittimo". Parlando del Decreto Sicurezza, Amnesty afferma che contiene misure che "erodono gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e avranno l'effetto di fare aumentare il numero di persone in stato di irregolarità presenti in Italia".

LINGUAGGIO RAZZISTA E XENOFOBO

Amnesty International Italia segnala inoltre il "massiccio ricorso" da parte di alcuni candidati e partiti politici a "stereotipi e linguaggio razzista e xenofobo per veicolare sentimenti populisti, identitari nel corso della campagna elettorale" di quest'anno. Nel 2018 gli sgomberi forzati "sono continuati", colpendo soprattutto famiglie rom e gruppi di rifugiati e migranti, "senza l'offerta di alternative abitative adeguate da parte delle autorità". La "linea dura" dettata dal nuovo esecutivo sugli sgomberi "rischia di fare aumentare nel 2019 il numero di persone e famiglie lasciate senza tetto e senza sistemazioni alternative".

Nel corso del 2018 è proseguita la fornitura di armi a paesi in guerra come Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, esportazioni che violano la legge e il Trattato internazionale sul commercio delle armi" ratificato nel 2014. A settembre è partita la sperimentazione sulle pistole a impulsi elettrici (Taser) in dotazione alle forze di polizia, per le quali l'organizzazione ha espresso preoccupazione sui rischi per la salute"

EUROPA, 2018 DI ODIO

In Europa, il 2018 è stato caratterizzato "dall'aumento dell'intolleranza, dell'odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile" e in cui "richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati". A guidare questa tendenza sono stati "Ungheria, Polonia e Russia mentre nel più ampio contesto regionale in stati come Bielorussia, Azerbaigian e Tagikistan vi sono stati nuovi giri di vite nei confronti della libertà d'espressione e in Turchia ha proseguito a espandersi un clima di paura". Tuttavia, Amnesty sottolinea che in Europa "l'ottimismo è rimasto invariato e sono cresciuti attivismo e proteste: un coro di persone ordinarie dotate di una passione straordinaria chiede giustizia e uguaglianza".

LE BATTAGLIE DELLE DONNE

Il 2018 è stato "un anno di fiere battaglie per i diritti delle donne contro le politiche oppressive e sessiste", nel quale "attiviste di ogni parte del mondo sono state in prima linea nella battaglia per i diritti umani", nonostante "l'azione di leader che si definiscono "duri" che promuovono politiche misogine, xenofobe e omofobe ha messo in pericolo libertà e diritti conquistati tempo addietro". "Nel 2018 abbiamo visto molti di questi autoproclamati leader 'duri' mettere a rischio il principio di uguaglianza", ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International. "Loro pensano che le loro politiche li rendano 'tosti' ma si tratta di poco più che tattiche da bulli che cercano di demonizzare e perseguitare comunità già marginalizzate e vulnerabili". Il volume riporta che nel 2018 gruppi come Ni una menos in America Latina hanno dato vita a movimenti di massa sui diritti delle donne di una dimensione mai vista in passato. In India e Sudafrica migliaia di donne sono scese in strada per protestare contro l'endemica violenza sessuale. In Arabia Saudita le attiviste hanno rischiato di finire in carcere per aver sfidato il divieto di guida, in Iran per aver protestato contro l'obbligo d'indossare il velo. In Argentina, Irlanda e Polonia manifestazioni hanno chiesto la fine delle opprimenti leggi sull'aborto. Negli Usa, in Europa e in parti dell'Asia in milioni hanno preso parte alla seconda manifestazione #MeToo per dire basta alla misoginia e alla violenza. L'analisi di Amnesty International punta il dito su un crescente numero di politiche e legislazioni che intendono sottomettere e controllare le donne, soprattutto nella sfera dei diritti sessuali e riproduttivi. In Polonia e in Guatemala sono state fatte proposte per rendere ancora più rigide le leggi sull'aborto mentre negli Usa il taglio dei fondi ai centri per la pianificazione familiare hanno messo a rischio la salute di milioni di donne. Il divario salariale di genere nel mondo è pari al 23 per cento, e 104 paesi hanno leggi che impediscono a oltre 2,7 milioni di donne di svolgere determinate professioni. Quasi il 60 per cento delle donne lavoratrici nel mondo (circa 750 milioni di donne) non beneficia del diritto al congedo di maternità. A livello mondiale, il 40 per cento delle donne in età fertile vive in paesi in cui l'aborto è ancora soggetto a gravi restrizioni. Il 23% delle donne che hanno partecipato a un sondaggio realizzato in otto paesi ha subìto abusi o molestie online. Per Amnesty, l'anno prossimo, il 40esimo anniversario della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, sarà un'occasione fondamentale, e l'organizzazione sta sollecitando i governi ad agire per assicurare che i diritti delle donne siano rispettati. "Amnesty International può e deve fare di più sui diritti delle donne. Mentre ci apprestiamo a entrare nel 2019 credo più che mai che dobbiamo stare accanto ai movimenti delle donne, amplificare le loro voci in tutte le loro diversità e combattere per il riconoscimento di tutti i nostri diritti", ha concluso Naidoo.

SPERANZE E TIMORI PER IL 2019

Da Angola ed Etiopia arrivano "segnali di speranza", mentre nelle Americhe preoccupa l'ascesa di leader "ostili ai diritti umani" come il brasiliano Jair Bolsonaro. In Asia Orientale vi sono stati passi avanti sui diritti Lgbti, mentre in quella sudorientale la situazione è peggiorata. Il documento riporta che in Africa, nonostante alcuni progressi, molti governi dell'area subsahariana hanno fatto ricorso a tattiche repressive per ridurre al silenzio difensori dei diritti umani, giornalisti, manifestanti e altre voci dissidenti. Tuttavia, nel continente non sono mancati segnali di speranza, anche a seguito di cambi di leadership, come in Angola ed Etiopia. Per quanto riguarda le Americhe, l'ong riporta che un ambiente repressivo nei confronti dei diritti umani ha determinato uccisioni di ambientalisti e leader sociali a livelli allarmanti, come nel caso della Colombia, e l'ascesa di leader che hanno fatto "sfoggio di una retorica estremamente ostile ai diritti umani", come il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Le crisi dei diritti umani in Venezuela e in America centrale hanno costretto un numero senza precedenti di persone a lasciare i loro paesi, e se alcuni stati le hanno accolte, gli Usa hanno reagito separando e imprigionando nuclei familiari e restringendo il diritto d'asilo. Secondo Amnesty, in Asia orientale vi sono stati passi avanti sui diritti delle persone Lgbti ma gli spazi di libertà per la società civile si sono ristretti. Uno dei peggiori sviluppi è stata la detenzione di massa, da parte delle autorità della Cina, di un milione di uiguri, kazachi e altre minoranze prevalentemente musulmane. Colloqui senza precedenti hanno avuto luogo tra le due Coree, con possibili importanti effetti per i diritti umani nella penisola coreana. In Medio Oriente e Nordafrica, in un contesto regionale segnato da perduranti conflitti (Yemen, Siria, Libia), l'attivismo delle donne ha segnato alcuni dei momenti più importanti dell'anno: dalla vittoriosa fine del divieto di guida per le donne in Arabia Saudita alla resistenza contro l'obbligo d'indossare il velo in Iran. L'esercito israeliano "ha causato un elevato numero di vittime civili palestinesi come non si vedeva da anni". Gli spazi per l'espressione pacifica delle opinioni si sono ristretti in Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran. Amnesty riporta che i governi dell'Asia meridionale hanno continuato a minacciare, intimidire e processare difensori dei diritti umani. In Bangladesh e Pakistan le autorità hanno fatto ricorso a leggi drastiche per colpire la libertà d'espressione. In India, il governo ha cercato di demonizzare e perseguitare i gruppi della società civile. Ma ci sono stati anche segnali di speranza: a maggio il parlamento del Pakistan ha approvato una delle leggi più progressiste al mondo sui diritti delle persone transgender. Infine, in Asia sudorientale, la violenta campagna di uccisioni, stupri e incendi delle forze armate di Myanmar ha costretto oltre 720.000 rohingya a lasciare lo stato di Rakhine e a trovare riparo in Bangladesh. È aumentata l'intolleranza nei confronti del dissenso pacifico e dell'attivismo, così come in Cambogia verso le opposizioni politiche e gli organi d'informazione indipendenti. Nelle Filippine, altre vite umane sono state perse nell'ambito della "guerra alla droga" del governo del presidente Duterte.

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